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processo-eternitDura condanna per Schmidheiny. I legali delle vittime dell’amianto: “Capitali blindati in Sud America. Sarà dura”
di Andrea Giambartolomei - 4 giugno 2013

Torino. Ieri pomeriggio, alla fine del processo d’appello contro l’Eternit, sull’autobus verso Casale Monferrato, Romana Blasotti Pavesi e i suoi concittadini non sanno se rallegrarsi o rammaricarsi. Da una parte c’è la condanna a 18 anni appena inflitta dalla Corte d’appello di Torino all’ultimo proprietario di Eternit spa, Stephan Schmidheiny, e il riconoscimento delle vittime di Bagnoli e Rubiera inizialmente escluse. Dall’altra, i risarcimenti a rischio per familiari di chi è morto, per i comuni, per chi si è ammalato per aver lavorato nello stabilimento sotto la dirigenza (fino al ‘72) del barone belga Louis de Cartier de Marchienne, deceduto lo scorso 21 maggio a 92 anni. I giudici hanno confermato le responsabilità dei manager per il disastro ambientale doloso permanente che ha colpito la città alessandrina. E anche Cavagnolo (To), Rubiera (Re) e Bagnoli (Na).

Alle 15,30 di ieri i giudici, presieduti dal Alberto Oggé, entrano nell’aula 1 del palazzo di Giustizia e segnano un altro punto fermo nella lotta contro l’amianto portata avanti da cittadini, associazioni, sindacati, dai pm Gianfranco Colace, Raffaele Guariniello, Sara Panelli e dal pg Ennio Tomaselli. Il giudice Oggé riforma la sentenza del 13 febbraio 2012 stabilendo il “non doversi procedere” verso il belga (prima condannato a 16 anni). Mentre per l’altro proprietario, lo svizzero, prescrizione del reato di “omissione dolosa di cautele” e condanna a 18 anni per il disastro ambientale doloso, a cui si aggiungono 89 milioni di euro di risarcimenti per più di novecento tra sindacati, associazioni e vittime delle malattie provocate dall’amianto. Escluso, invece, l’Inail che aveva sostenuto le spese sanitarie dei malati.
“ABBIAMO cercato di dare verità e giustizia a tremila morti e alle persone che sono qui perché hanno perso parenti e amici”, afferma il pm Colace dopo il verdetto. Alcuni familiari però restano nell’aula anche quando la corte è uscita. “È una fregatura”, afferma Rosangela Tamiso, cittadina di Casale Monferrato. La morte del padre, avvenuta dopo trent’anni di lavoro nello stabilimento sotto la dirigenza belga, non troverà giustizia perché de Cartier de Marchienne è morto e la sua società, la Etex Group SA, non può essere condannata. Sono timorose due donne di Cavagnolo, che non hanno sentito nominare i loro cari nell’elenco: forse non otterranno niente. Pure chi si è visto riconoscere un risarcimento avrà problemi a ottenere qualcosa: “Schmidheiny ha le sue ricchezze blindate in trust in Costa Rica e in America Latina. In Svizzera non ha molto - spiega al Fatto Enrico Dagna, avvocato del Comune di Casale Monferrato -. Bisognerebbe rintracciare i suoi patrimoni con agenzie specializzate che hanno costi alti e risultati incerti”. È un procedimento molto lungo e costoso. “Per la sola traduzione della sentenza nella lingua dell’imputato ci vogliono 100 mila euro. La procedura richiederà quasi due milioni”, afferma Roberto Lamacchia, avvocato e presidente di Giuristi democratici. Così, mentre i giudici si ritirano per decidere, lui e i legali delle parti civili incontrano i colleghi belgi e svizzeri per capire come operare a livello internazionale. I politici lanciano delle idee. Per Giorgio Demezzi, sindaco di Casale Monferrato (comune a cui la corte ha riconosciuto un risarcimento di 30,9 milioni), “serve un mandato di cattura internazionale” per recuperare parte del patrimonio del magnate elvetico convertito alla filantropia e alle battaglie ambientaliste. Ci aveva provato l’anno scorso RobertoCota, presidente della Regione Piemonte a cui sono stati riconosciuti quasi 40 milioni di euro: aveva fatto mobilitare la Finanza, ma finora senza risultati.
IL DEPUTATO Pd Antonio Boccuzzi rilancia la mozione per costringere il governo a impegnarsi e a coprire le spese di questa caccia al tesoro su scala mondiale. Nicola Pondrano, un volto importante di questa lotta insieme a Bruno Pesce (“per ottenere i risarcimenti ci vuole l’aiuto dello Stato. Specie ora che è stata esclusa l’Inail”, ha detto) e Romana Blasotti Pavesi, sostiene che “dal punto di vista strategico mondiale l’obiettivo era dare un colpo al business dell’amianto”. Se Schmidheiny non pagasse ci sarebbe meno l’effetto deterrente per tutti gli altri responsabili di disastri e morti. “Questa condanna - aggiunge Pesce - deve far riflettere sulla qualità dello sviluppo industriale in Italia e nel mondo. Bisogna smettere di fare profitti sulla pelle dei cittadini”. Per gli avvocati di Schmidheiny invece questa sentenza terrà lontani gli investitori dall’Italia, come era stato affermato da altri in occasione della sentenza Thyssen-Krupp. Intanto Guariniello e colleghi portano avanti le altre indagini sull’Eternit.

Tratto da: Il Fatto Quotidiano

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