25 marzo 2013
Palermo. L'ex capo del Ros Mario Mori e il colonnello Mauro Obinu, imputati di favoreggiamento aggravato in relazione alla mancata cattura del boss Bernardo Provenzano nei primi anni '90, non avrebbero agito perchè "collusi" o "per paura" ma perche' "in un determinato e delicato frangente storico, obbedendo ad indirizzi di politica criminale per contrastare le stragi, hanno ritenuto di trovare un rimedio assecondando l'ala piu' moderata di Cosa nostra". Lo ha sostenuto il Pm Nino Di Matteo, che ha iniziato oggi la sua requisitoria davanti al Tribunale di Palermo, presieduto da Mario Fontana. Gli imputati, ha detto ancora Di Matteo, si sarebbero mossi "per favorire la fazione riconducibile a Provenzano" e al fine di garantirne "la leadership in Cosa nostra hanno ritenuto necessario garantire il perdurare della sua latitanza". Secondo il Pm "Mori ha coperto la latitanza di Provenzano, anche in ossequio a parallele trattative, per garantire l'abbandono dello scontro violento con le istituzionie l'adizone di quella apparente normalizzazione che ha effettivamente caratterizzato quel periodo fino alla cattura di Provenzano nell'aprile del 2006. Il Pm ha poi sottolineato come "il meccanismo sia frutto di precise scelte politiche" e come "Mori e' stato ampiamente ricompensato, diventando direttore generale del servizio segreto civile". Di Matteo ha affermato che "nessuna ragione puo' giustificare l'impunita' di Mori e Obinu, al termine di un processo drammatico, perche' lo Stato sta processando se stesso, con dolore, ma con la consapevolezza che altrimenti avrebbe perso la sua credibilita' e consegnato alla mafia l'arma del ricatto, il solito ricatto che ha permesso di insabbiare, di difendere i suoi uomini anche di fronte a tradimenti". Il Pm ha invitato i giudici a non avere "pericolosi e istintivamente comprensibili pregiudizi di fronte ad accuse cosi' imbarazzanti nei confronti di due uomini dello Stato", ma invece a valutare "con intelligenza, senza paura, che di fronte alla violazione della leggeanche uomini cosi' potenti non possono sottrarsi alle loro condotte". Infine Di Matteo ha parlato di processo "drammatico" anche in considerazione delle "dichiarazioni rese o no, fingendo di non ricordare da parte di politici, funzionari dello Stato e alti ufficili dei carabinieri" e si e' riferito in particolare alle deposizioni del senatore Nicola Mancino, degli onorevoli Martelli e Scotti, degli appartenenti al Ros che di fronte agli stessi fatti "hanno reso dichiarazioni dichiarazioni contraddittorie e incompatibili fra loro. Noi sappiamo -ha detto Di Matteo- chi tra di loro ha mentito".
AGI
Mafia: pm, Mori coprì Provenzano per aiutare la trattativa
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