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12 marzo 2012
Roma. L'ipotesi di individuare gli specifici comportamenti che devono essere considerati reato nell'ambito del concorso esterno in associazione mafiosa può rischiare di essere «lo strumento, con questa tipizzazione, per indebolire l'attività di contrasto al fenomeno mafioso». A dirlo, con un intervento sulla Stampa, Carlo Federico Grosso, avvocato, docente di diritto penale ed ex vice presidente del Csm, secondo il quale «anche soltanto sul terreno dell'immagine» se il tentativo di «innovazione» suonasse come «un'inversione di rotta rispetto alla grande intuizione di Falcone e Borsellino» sarebbe «un segnale molto grave». Grosso ricorda che «la Cassazione» ha già «contribuito ad armonizzare l'interpretazione» di questo reato «enunciando i criteri sulla base dei quali è possibile stabilire se il contatto con la mafia costituisca concorso esterno punibile o fatto penalmente irrilevante». Contatti che sono punibili quando contribuiscano «al rafforzamento dell'organizzazione criminale o quantomeno alla conservazione della sua forza». Ma «se si tipizzassero i singoli comportamenti punibili» se da un lato «la tassatività delle fattispecie penali diventerebbe indubbiamente più stringente» dall'altro potrebbero emergere «specifiche controindicazioni» come il rischio di «tagliare fuori situazioni che nella concretezza dell'esercizio dell'attività giudiziaria potrebbero rivelare una sicura caratura criminale».

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