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2 marzo 2012
Palermo. «È finito il tempo: Amato non deve più stare lì»: con queste parole l'ex presidente della Repubblica Oscar Luigi Scalfaro avrebbe comunicato, a giugno del 1993, a due sacerdoti, la rimozione dall'incarico del capo del Dipartimento dell'amministrazione penitenziaria Nicolò Amato. A riferire l'episodio è monsignor Fabio Fabbri, ex vice-ispettore generale dei cappellani delle carceri, che ha deposto oggi al processo per favoreggiamento aggravato alla mafia al generale dei carabinieri Mario Mori. L'ex capo dello Stato, nella primavera del '93, avrebbe convocato monsignor Cesare Curioni, suo amico di vecchia data e capo dei cappellani delle carceri, insieme a Fabbri. I due prelati andarono al Quirinale dove ricevettero dal capo dello Stato l'indicazione di dare una mano al Guardasigilli Giovanni Conso per individuare il nuovo direttore generale del Dap. «Riceveste la delega di scegliere il nuovo dirigente?», ha chiesto al teste il pm Nino Di Matteo. «Praticamente sì», ha risposto monsignor Fabbri. Una richiesta che sarebbe dipesa, secondo il prelato, dalla «ruggine esistente tra Amato e il presidente della Repubblica». Diversa la tesi della Procura che vede nella sostituzione del direttore il tentativo di mettere alla guida del Dipartimento un uomo che, a differenza di Amato, avrebbe garantito il suo sostegno al dialogo sul carcere duro ai boss avviato da parte dello Stato con la mafia. Per evitare nuove stragi e omicidi eccellenti, secondo la Procura, pezzi delle istituzioni avrebbero trattato con Cosa nostra concedendo, oltre all'impunità al boss Provenzano, un alleggerimento dei 41 bis realizzato, nel novembre del '93, con la mancata proroga di oltre 300 provvedimenti di carcere duro.

ANSA

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