Secondo l'accusa, le prove erano fondamentali e la mancata presentazione ha influenzato il corso del processo
La Procura di Brescia ha chiesto otto mesi di reclusione per due pubblici ministeri di Milano, Fabio De Pasquale e Sergio Spadaro, entrambi accusati di aver omesso di presentare delle prove durante il processo milanese Eni-Nigeria. Secondo l’accusa, i due pm avrebbero nascosto intenzionalmente i documenti, favorendo così le difese degli imputati nel caso di presunta corruzione internazionale legato a una concessione petrolifera in Nigeria. I documenti riguarderebbero in maniera particolare l’ex manager di Eni, Vincenzo Armanna, una figura chiave nel processo. I due pm De Pasquale e Sapdaro avrebbero, infatti, “selezionato” e messo da parte i documenti da presentare al processo. Tra questi, anche quelli che provavano l’azione intrapresa da Armanna per manipolare alcune chat e pagato dei testimoni, oltre ad un video in cui, lo stesso Armanna avrebbe mostrato intenzioni di natura ritorsiva nei confronti di alcuni membri della dirigenza Eni. Le prove in questione sono state raccolte dal pm Paolo Storari, che nel febbraio 2021 aveva esplicitamente richiesto a De Pasquale e Spadaro di depositarle, ma i due avrebbero ignorato la richiesta, giudicando quei documenti come irrilevanti e definendoli “ciarpame” e “polpettificio”. L’accusa - scrive “La Repubblica” - ha sottolineato anche l’atteggiamento dei due pm nei confronti degli accertamenti di Storari: “Un senso di disagio, di fastidio, in quanto erano una minaccia per lo stesso processo. Nei messaggi scambiati tra De Pasquale e Spadaro si dice che quegli atti non dovevano essere depositati”. Massimo Dinoia, l’avvocato dei due pm, ha provato a smontare la tesi accusatoria, sostenendo che non esiste una norma che impone l’obbligo di depositare immediatamente gli atti. “Non c’è alcuna norma che impone in via immediata e diretta il deposito degli atti contestati - ha ribadito l’avvocato Dinoia -. Non si ritenevano padroni del procedimento e non si sono mai arrogati il privilegio di essere gli unici arbitri della rilevanza di quegli atti”. Citando un messaggio inviato da Spadaro a De Pasquale, l’avvocato Dinoia ha spiegato che la decisione finale riguardante il deposito degli atti spettava all’allora procuratore Francesco Greco. Ad ogni modo, la Procura di Brescia ha sottolineato che il comportamento omissivo dei due magistrati ha violato il diritto alla difesa degli imputati. Secondo l'accusa, le prove riguardanti l’inattendibilità di Armanna erano fondamentali e la loro mancata presentazione ha influenzato il corso del processo.
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