Questo sito utilizza cookie tecnici e di terze parti per migliorare la navigazione degli utenti e per raccogliere informazioni sull’uso del sito stesso. Per i dettagli o per disattivare i cookie consulta la nostra cookie policy. Chiudendo questo banner, scorrendo questa pagina o cliccando qualunque link del sito acconsenti all’uso dei cookie.

toniolo ivanodi Andrea Sceresini
Con lui se n’è andato l’ultimo grande testimone delle stragi impunite che hanno insanguinato il nostro Paese tra il 1969 e i primi anni Ottanta. L'ordinovista padovano da tempo viveva in Angola, dove è deceduto per febbre malarica senza essere mai stato interrogato nonostante gli appelli in tal senso dell'allora Presidente della Repubblica Napolitano

Nessuno sa, con esattezza, che cosa abbia fatto negli ultimi quarant’anni. Neppure i magistrati, che pure, dopo le recenti rivelazioni sul suo conto, non lo hanno mai cercato. E ormai è troppo tardi: Ivano Toniolo è deceduto in Angola circa un anno fa – ironia della sorte - proprio a ridosso del 12 dicembre, l’anniversario della strage di piazza Fontana. La data esatta non è chiara, così come non lo sono molti particolari della vita di questo misterioso personaggio, il cui nome, probabilmente, risulterà ignoto ai più. Eppure, se avesse parlato, Toniolo avrebbe potuto forse fare chiarezza su una delle pagine più oscure e drammatiche della storia repubblicana: l’eccidio del 12 dicembre 1969 presso la Banca nazionale dell’agricoltura.

Era il maggio del 2000, quando in un’aula di Assise di Milano, durante il primo grado dell’ultimo processo sulla strage, l’ex ordinovista padovano Gianni Casalini ammise clamorosamente che gli attentati ai treni dell’8 e 9 agosto 1969 – considerati dalla magistratura come la “prova generale” della strage di piazza Fontana – erano stati opera sua e dei suoi camerati. Casalini stesso aveva partecipato al collocamento di due ordigni all’interno di altrettanti convogli in sosta presso la Stazione Centrale di Milano (uno dei quali era esploso, pur non causando vittime). Casalini aggiunse spontaneamente un altro particolare importante: colui che lo aveva arruolato per l’operazione, e che fisicamente aveva recuperato l’esplosivo e innescato le bombe, era proprio Ivano Toniolo, il “duro” della cellula nera guidata da Franco Freda e Giovanni Ventura, che la Cassazione avrebbe indicato, nel 2005, come il “gruppo eversivo” responsabile dell’eccidio del 12 dicembre.

Padovano, classe 1946, figlio di una dirigente locale dell’Msi, amico fraterno di Franco Freda, Ivano Toniolo era considerato un uomo d’azione. Già militante della Giovane Italia, durante gli anni dell’università si era spostato verso posizioni sempre più estreme, aderendo poi alla cellula padovana di Ordine Nuovo, che di lì a poco avrebbe abbracciato lo stragismo. La grande svolta – stando alle ricostruzioni della magistratura – sarebbe avvenuta durante una riunione riservata che si tenne a Padova il 18 aprile 1969, presenti Freda, Ventura, il bidello neofascista Marco Pozzan, Toniolo e due misteriosi personaggi arrivati da Roma, le cui identità non sono mai state accertate: in quell’occasione, gli ordinovisti patavini pianificarono i primi attentati dinamitardi che sarebbero culminati, otto mesi più tardi, nell’esplosione di piazza Fontana.

L’incontro – secondo quanto emerge dalle intercettazioni telefoniche dell’epoca, i cui contenuti sono stati poi confermati da Gianni Casalini – si sarebbe svolta proprio a casa di Toniolo. “Dopo l’udienza del 2000 nessuno si è più occupato di Casalini - racconta il giudice Guido Salvini, autore dell’ultima istruttoria sulla strage -. Nel 2009 egli mi ha scritto una lettera, sono andato a trovarlo diverse volte a Padova e mi ha raccontato molte altre cose. Ivano Toniolo, a quanto riferito dal suo ex camerata, era un elemento operativo di primo piano, gestiva uno degli arsenali del gruppo e aveva partecipato alla strage, o quantomeno sapeva ciò che era successo. Sin da allora avevo scritto alla Procura di Milano, nella persona del dottor Spataro, invitandola ad attivarsi per sentire Toniolo, e lo stesso aveva fatto il difensore delle vittime l’avvocato Federico Sinicato.

Non vi fu nessuna risposta. Eppure per trovarlo sarebbe bastato fare una telefonata al Consolato in Angola. Proprio nel 2009 il presidente Napolitano aveva esortato i magistrati a cercare ancora ogni “ogni elemento di verità”: un invito che purtroppo è rimasto del tutto inascoltato”. L’ipotesi del coinvolgimento di Toniolo nella strage è stata recentemente confermata dal generale Gian Adelio Maletti, ex numero due del Sid, il servizio segreto militare, condannato in via definitiva per i depistaggi alle indagini e tuttora latitante in Sudafrica. “Il commando stragista era composto da quattro persone - ha dichiarato in un’intervista del 2009 – Io conosco dei nomi, anche di gente mai indagata. Quello di Toniolo è uno di essi, e sto parlando di chi partecipò attivamente all'organizzazione dell'iniziativa”. Toniolo fu interrogato in un’unica occasione, nel 1972, dal giudice Giancarlo Stiz, che per primo - quando gli unici indagati per la strage erano ancora gli anarchici - intuì l’esistenza di una “pista nera”. Proprio all’indomani di quell’interrogatorio, Toniolo lasciò precipitosamente l’Italia. Prima si rifugiò nella Spagna franchista, poi in Angola, dove ha trascorso indisturbato il resto della sua vita. Quali sono le ragioni di una fuga così precipitosa? Quali segreti custodiva il “duro” del gruppo padovano di Ordine Nuovo?

Probabilmente non lo sapremo mai.

Con Toniolo se n’è andato, forse, l’ultimo grande testimone delle stragi impunite che hanno insanguinato il nostro Paese tra il 1969 e i primi anni Ottanta (l’unico bombarolo nero reo confesso e condannato in via definitiva dalla magistratura è stato l’ordinovista Vincenzo Vinciguerra, autore, nel 1972, dell’attentato di Peteano). Durante gli anni del suo “esilio” angolano, Toniolo era riuscito a edificare intorno a sé un vero e proprio sistema di protezione. Aveva sposato una donna del posto, nipote di un importante esponente dell’Mpla, il movimento fino-cubano che da quarant’anni governa il Paese, e, a quanto sembra, aveva persino cambiato cognome.

“E’ un uomo molto schivo, soprattutto con i connazionali – ci aveva rivelato qualche anno fa uno dei pochi imprenditori italiani residenti in pianta stabile a Luanda -. Sappiamo che è fuggito dall’Italia per ragioni politiche, ma la nostra convinzione era che avesse militato in qualche formazione dell’estrema sinistra, non certo in Ordine Nuovo”. Non deve essere stato facile farla franca per una vita intera. Eppure Ivano Toniolo ce l’ha fatta: il decesso – a quanto apprendiamo – è avvenuta “per febbri malariche”. Non sappiamo se abbia lasciato qualcosa di scritto, né dove si trovi la sua tomba. Quello che è certo, è che nessuno potrà più interrogarlo.

Tratto da: espresso.repubblica.it

ANTIMAFIADuemila
Associazione Culturale Falcone e Borsellino
Via Molino I°, 1824 - 63811 Sant'Elpidio a Mare (FM) - P. iva 01734340449
Testata giornalistica iscritta presso il Tribunale di Fermo n.032000 del 15/03/2000
Privacy e Cookie policy

Stock Photos provided by our partner Depositphotos