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moro auto cadaveri polizia rilievi rapimentoIn auto con il brigatista Mario Moretti c’era qualcun altro?
di Francesco Grignetti
Roma. Di nuovo un 16 marzo, anniversario della strage di via Fani. Trentotto anni fa, i brigatisti rossi assalivano Aldo Moro e la sua scorta. Sterminati gli agenti, rapito lui. Cominciavano i 55 giorni del sequestro dello statista. Nonostante gli anni, ci sono molte zone d’ombra. Troppe. E’ ancora al lavoro la magistratura. E c’è una commissione parlamentare d’inchiesta, presidente Giuseppe Fioroni, Pd, che crede molto nelle indagini scientifiche applicate al delitto Moro. Il Dna, ad esempio, può fissare senza ombra di dubbio chi c’era in alcuni passaggi topici dei 55 giorni. Ecco dunque - come si può leggere nella relazione depositata di recente in Parlamento - che è stato richiesto ai carabinieri del Ris «l’estrazione di profili genetici da reperti rinvenuti nel covo di via Gradoli, nella Fiat 128 con targa diplomatica usata per l’agguato in via Fani e nella Renault 4 nella quale venne ritrovato il corpo di Aldo Moro, come pure dagli abiti da lui indossati».

Uno dei principali misteri che la commissione vuole sbrogliare ha a che fare con la strage di via Fani. Dato che la polizia nel 1978 trovò 39 mozziconi di sigaretta nella Fiat 128 con targa diplomatica che aveva bloccato la corsa dell’auto di Aldo Moro e della scorta, ora si sta lavorando all’estrazione del Dna. Il laboratorio del Ris potrebbe dire quindi, una volta per tutte, se nella 128 all’atto dell’assalto alla scorta c’era qualcuno con Mario Moretti - che ha sempre sostenuto di essere stato solo.  

«All’esito degli accertamenti condotti – riferisce la relazione di Fioroni al Parlamento - sono stati isolati otto profili Dna, tutti rinvenuti sulle sigarette. Si procederà ora ad ulteriori attività dirette: a circoscrivere l’ambito delle comparazioni da eseguire (acquisendo, ad esempio, il Dna dei proprietari e degli usuari della Fiat 128) e a comparare i profili genetici identificati con quelli dei brigatisti per i quali è già stata accertata la partecipazione all’eccidio». Si cercano altri punti fermi. «Qualora, all’esito di tali accertamenti, alcuni profili rimanessero non associati a soggetti noti, saranno condotte ulteriori indagini. In ogni caso, la Commissione auspica che un contributo alla corretta ricostruzione dei fatti possa giungere anche dai responsabili dell’agguato finora accertati e rei confessi».  

L’altro nodo che la commissione vuole diradare riguarda il covo dove si nascondeva il capo delle Br, Mario Moretti. Quel famoso appartamento di via Gradoli che fu scoperto per un’inspiegabile perdita d’acqua. «Sulla base delle analisi condotte sui reperti rinvenuti nel covo di via Gradoli – scrive la commissione - è stato possibile isolare quattro profili genetici mentre non è stata trovata alcuna traccia biologica di Aldo Moro». Adesso che c’è il Dna di quattro ignoti - due donne e due uomini - che frequentavano il covo brigatista di Via Gradoli, il prossimo passo sarà dare loro un nome e un cognome.  

Ed è già un importante punto fermo: è plausibile, non essendo stato trovato alcun segno che riconduce allo statista, che davvero Moro non è mai stato portato in quell’appartamento. Con buona pace delle ultime presunte “rivelazioni” di chi sosteneva di avere saputo, ascoltando presunte confidenze di Raffaele Cutolo, che secondo la camorra napoletana Moro era nascosto a via Gradoli e non nel covo-prigione di via Montalcini.  

A distanza di tanti anni, insomma, più che alla memoria dei testimoni, ovviamente evaporata, ci si affida alle nuove tecniche di indagine di cui, grazie ai telefilm, sappiamo quasi tutto: profilo del Dna, balistica, comparazione delle voci, impronte digitali, evidenze chimiche, biologiche, informatiche, telematiche. E non a caso la commissione d’inchiesta si affida ai reparti scientifici. Ai famosi Ris, ad esempio, che dal giallo di Yara Gambirasio a quello di Sarah Scazzi, a Elisa Claps, a Melania Rea, vantano centinaia di casi risolti con l’ausilio delle analisi di laboratorio.  

«In effetti se n’è fatta di strada - spiega il generale Aldo Iacobelli, che comanda il Raggruppamento investigazioni scientifiche, che conta ormai su 400 esperti, suddivisi in 4 laboratori principali e 29 sezioni - dalla strage di Capaci. Era il maggio 1992, e per la prima volta si cercava di isolare il Dna dai mozziconi di sigaretta trovati vicini al cratere. L’Italia quella volta dovette chiedere aiuto all’Fbi. Oggi non accadrebbe più. I nostri laboratori sono perfettamente allineati con le tecniche delle migliori polizie del mondo». Il suggello viene dall’European Network of Forensic Science Institutes, consesso scientifico delle migliori polizie d’Europa, di cui il Raggruppamento investigazioni scientifiche dei carabinieri è socio fondatore.  

Quello che un tempo sarebbe stata fantascienza, oggi è prassi quotidiana. I Ris ormai sono in grado di isolare una traccia di Dna anche da una traccia infinitesimale, degradata, e mescolata con altri Dna (vedi il caso Gambirasio). Sono in grado di certificare ogni passaggio in laboratorio, sapendo che la vera battaglia in tribunale si gioca sul sospetto che un campione possa essere stato contaminato. Sono dietro l’angolo altre analisi avveniristiche: grazie a un protocollo battezzato “Irsiplex”, partendo da un campione di Dna prelevato su una scena del crimine si risalirà al colore degli occhi del soggetto in questione. Utile. Sono in corso sperimentazioni; si è visto che può funzionare su tracce addirittura risalenti a 35 anni prima. Prossimamente si potrà associare il genotipo di un soggetto con il colore dei capelli e della pelle.  

La speranza della commissione è di diradare il campo una volta per tutte dalle nebbie di sciacallaggi, mitomanie, false piste. E infatti Fioroni ha affidato alle indagini scientifiche di carabinieri e polizia «la ricostruzione dell’esatta dinamica dell’omicidio di Aldo Moro, anche mediante la verifica della presenza di tracce di sangue, di residui di spari e di impatti di proiettili sulla Renault 4 rinvenuta in via Caetani». 

lastampa.it

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