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ustica3Un documentario rilancia l’ipotesi del missile. Lo strazio dei familiari
Venezia.
Non c’era solo il Festival di Sanremo, l’altra sera in tivù. Perché purtroppo la storia d’Italia non è fatta soltanto di canzonette, bensì anche di stragi come quella di Ustica del 27 giugno 1980, su cui il documentario «Il missile francese» di Canal+ (ospitato da Matrix su Canale 5) ha tentato di fare luce, rilanciando con riscontri testimoniali e documentali l’ipotesi dell’abbattimento del Dc9 da parte di caccia transalpini. Una tesi, quella del razzo «sparato da aereo ignoto» e non della bomba o dell’avaria come troppo a lungo era stato raccontato, contenuta anche nella sentenza che meno di un mese fa ha condannato i ministeri della Difesa e dei Trasporti a risarcire i familiari di alcune delle 81 vittime, fra cui 5 veneti.

A oltre 35 anni dal disastro, lo scorso 18 gennaio il giudice Giuseppe Rini della terza sezione civile del tribunale di Palermo ha accertato le responsabilità ministeriali «per non aver garantito la sicurezza del volo del Dc9 Itavia e, in definitiva, per aver determinato la sciagura aerea e la morte dei familiari degli attori». Fra loro Elisabetta Monti, originaria di Camposampiero, che quella sera perse il marito bancario Emanuele di 38 anni e i figlioletti Alessandro di 7 e Nicola di 5, a cui è stato riconosciuto un danno di 1.637.159,30 euro. E poi Giovannina Giau, vedova di Alberto Bonfietti, 37enne avvocato mantovano che all’epoca viveva a Mestre: per lei 482.531,16 euro. Stesso importo per Rosalia Pirrotta, figlia di Paola Papi, 39enne impiegata di Verona. Non tutti hanno fatto causa. «Nessuna somma potrà mai restituirci i nostri cari», mormora Linda Lachina, figlia del fotografo Giuseppe e di Giulia Reina, 58 e 51 anni, emigrati da Caltanissetta a Montegrotto Terme, dov’è stata loro intitolata una strada.

Su quel velivolo ci sarebbe dovuta essere anche lei, in vacanza-premio per la promozione, solo che non c’erano più biglietti, così i genitori partirono da soli e quattro ragazzi restarono orfani: Elisabetta, Ivano, Riccardo e appunto Linda, che insieme ai fratelli ha dovuto subire anche l’offesa del processo per alto tradimento a quattro generali dell’Aeronautica, finito fra assoluzioni e prescrizioni per i depistaggi nelle indagini. «Quando venne letta la sentenza - ricorda la donna - gli amici militari degli imputati esultarono con grida da stadio: “Abbiamo vinto!”. Peccato però che avesse perso la giustizia, sconfitta dai loro continui “non ricordo”, come se i colpevoli fossimo noi che chiedevamo semplicemente di conoscere la verità. Perché ormai è chiaro che la verità c’è, ma nessuno vuole prendersi la responsabilità di dirla, se non qualche giornalista coraggioso. Per noi è un massacro che continua da quasi 36 anni». Una ferita ancora aperta anche per i congiunti degli altri passeggeri veneti. Il 33enne Pierantonio Torres, famiglia di industriali tessili di Vittorio Veneto, cugino acquisito dell’ex procuratore Antonio Fojadelli. La 25enne trevigiana Cinzia Benedetti, morta col marito Luigi Andres. La 57enne Maria Antonietta Cappellini di Rovigo. La veneziana Maria Grazia Croce, di appena 7 anni. Il 32enne Antonio Casdia, che lavorava all’ufficio delle Dogane di Treviso. La 29enne Daniela Valentini, nata a Dolo come il figlio Francesco Di Natale, che aveva solo 2 anni e morì con lei.

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