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giordano-pippo-web9di Classe 3ªB Scuola media Zangheri Forlì - 8 aprile 2014
LA MAFIA è un complesso di organizzazioni criminali sorte in Sicilia nel XlX secolo. Il termine ‘mafia’ venne utilizzato per la prima volta nel 1863 da Giuseppe Rizzotto per un’opera teatrale: ‘I mafiusi de la Vicaria’. Essa, inizialmente, utilizzò il fenomeno del brigantaggio come copertura per espandersi fino ad avere il monopolio del Sud Italia. La politica giolittiana favorì notevolmente lo sviluppo delle cosche. Col tempo la mafia si è arricchita principalmente attraverso il commercio illegale (stupefacenti, armi, prodotti di contrabbando), estorsione, riciclaggio dei rifiuti. Oggi si parla di ecomafia, agrimafia. E’ noto che il problema non è più isolato al sud dell’Italia e già da molti anni si cerca di combattere questo fenomeno.
PER APPROFONDIRE tale argomento, il giorno 27 febbraio 2014 abbiamo invitato il signor Giuseppe Giordano, detto Pippo. Ex agente della DIA (Direzione Investigativa Antimafia), fu in prima linea a Palermo nella lotta a Cosa Nostra negli anni ’80 e ‘90, collaborando in prima persona con i magistrati Falcone e Borsellino e con l’FBI di New York. Oggi è in pensione, è un nonno felice che interviene in molte scuole per riferire la propria esperienza ai ragazzi, trasmettendo loro i valori della legalità.
Durante l’incontro, noi alunni gli abbiamo posto alcune domande.

Perché ha deciso di entrare in polizia?
«Durante la mia infanzia, nell’estate del 1964 a Ciaculli, un piccolo paesino siciliano vicino a dove abitavo, scoppiò una delle prime autobombe. Tra i sette morti ci fu un mio grande amico, così da quel giorno decisi che avrei combattuto la mafia».

Ha mai pensato di interrompere il suo mestiere?
«Sì, quando negli anni ’80 lo Stato iniziò a collaborare con la mafia. Gli agenti di polizia chiesero aiuto, supporto e nuove automobili al governo ma quest’ultimo rimase indifferente, nonostante gli orrori commessi da questa organizzazione criminale. Un altro episodio che mi fece pensare di dare le dimissioni riguarda il ritrovamento del cadavere di un ragazzo, ancora ritto sul suo scooter . Questa immagine è ancora impressa nella mia mente per la sua tragicità e per la paura che ho provato, vedendo in quel cadavere tutte le brutalità attuate dalla mafia e addirittura la mia stessa morte. E poi ancora quando fu ucciso il piccolo Giuseppe Di Matteo...».

Ci può illustrare la vicenda di Di Matteo?
giordano-di matteo figlio«Giuseppe Di Matteo era il figlio di Santino, famoso pentito mafioso. La sua unica ‘colpa’ era quella di essere figlio di suo padre. Infatti, Giovanni Brusca, potente mafioso in conflitto con la famiglia Di Matteo, rapì il bambino il 3 novembre 1993 nel maneggio di Villabate, per vendetta nei confronti del padre. Giuseppe visse quasi tre anni insieme a Brusca, condividendo tutto con lui. Il giorno 11 gennaio del ’96 venne strangolato e sciolto nell’acido. Questo fatto mi coinvolse molto perché partecipai alle indagini sul caso. Riuscimmo ad individuare la casa dove il bambino era tenuto prigioniero, a San Giuseppe Jato, ma quando facemmo irruzione (nella foto in basso il blitz degli agenti) non c’era nessuno: il ragazzo era stato già portato in un altro luogo. Durante l’interrogatorio del padre, fui io a dargli la notizia che suo figlio era stato ucciso».

A Forlì esiste la mafia?
«A Forlì non esiste alcun tipo di criminalità organizzata ma tra Rimini e Cattolica ci sono clan camorristi, mentre a Ravenna, già negli anni ’80, esisteva un giro mafioso».
L’INCONTRO con Pippo Giordano ci ha arricchito molto. Ci ha fatto capire che combattere la mafia non è un problema da delegare solo a poliziotti o magistrati. Occorre unire le forze per riuscire finalmente a sconfiggere il ‘mostro’ che diffonde morte e paura tra la popolazione e rallenta la nostra economia. Anche il semplice parlarne a scuola è un buon inizio.

Classe 3ªB Scuola media Zangheri (Il Resto del Carlino Forlì-Cesena)

19luglio1992.com

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