di Anna Maria De Luca - 16 marzo 2012
A Genova, a porte chiuse, l'incontro fra i familiari delle vittime, con i racconti di una vita quotidiana spezzata dalla mafia. "Il 21 marzo per l'impegno e per la memoria".
"Il 21 marzo è una data che ci siamo costruiti insieme. Nessuno ce la può togliere, anche se nella commissione affari costituzionali è stato detto che il 21 non deve essere la giornata dell'impegno e della memoria. Libera non appartiene a nessun gioco politico. Non si strumentalizzano il dolore, le vite, le morti". Tuona don Luigi Ciotti, davanti a cinquecento famiglie di vittime innocenti della mafia, raccolte da Libera nel teatro Carlo Felice di Genova (in rappresentanza di cinquemila). Serrare le fila, andare avanti, sempre. Come un allenatore prima della partita, don Ciotti scalda e rincuora le famiglie che scenderanno in piazza a Genova, incontreranno gli studenti, la società civile, parteciperanno agli incontri pubblici, ai seminari. Per dire ancora una volta no alle mafie. Per rilanciare i diritti delle famiglie colpite al cuore per mano delle organizzazioni criminali. E mentre si susseguono le storie di vite spezzate e si alzano alte le voci innervate di forza, dolore ed amarezza, rimbalza in sala la notizia dei funerali di Stato concessi dal Consiglio dei Ministri per Placido Rizzotto 1, dopo 64 anni.
"Una vittoria", commenta il nipote Placido Rizzotto, seduto accanto a don Ciotti e a Nando dalla Chiesa ed al prefetto di Genova. E subito il suo pensiero va "al presidente Napolitano, che ringrazio" ed a due poliziotti: "Nino Melita - figlio dell'uomo che arrestò Riina, Provenzano e Liggio - e Calipari - cugino del Calipari ucciso durante la liberazione di Giuliana Sgrena a Bagdad".
"Studiando il rapporto che aveva fatto Carlo Alberto Dalla Chiesa e percorrendo il cammino che aveva fatto mio zio, questi due uomini si sono convinti che non fosse, quella indicata, la buca dove era stato buttato il corpo di mio zio. E così hanno cominciato a cercare, fino ad individuare il punto giusto che corrispondeva esattamente alle indicazioni del rapporto di Dalla Chiesa. Senza di loro non avremmo oggi i funerali per mio zio. Non bastava il Dna, c'è stato bisogno di una tecnica nuova, sperimentata in questi mesi, per dire che quelli erano i resti del figlio di Carmelo Rizzotto. E'una vittoria che dedico a tutti e 42 i sindacalisti uccisi dalla mafia".
Bisogna andare avanti. A cominciare dai diritti perché "non può esistere una data per morire di mafia, non è possibile - denuncia don Ciotti - che chi è stato ucciso prima del '61 non possa essere riconosciuto vittima di mafia". Perché i diritti sono la speranza che rimane quando il silenzio incombe, quando gli assassini ottengono gli sconti di pena o restano impuniti, quando il dolore viene riconosciuto solo dopo decenni, in alcuni casi dopo 42 anni.
Giovanni Tizian: "E'la prima volta che parlo di mio padre, Giuseppe, ucciso il 23 ottobre dell'89 a Bovalino mentre tornava a casa da lavoro. Era un funzionario di banca. Secondo gli investigatori era persona integerrima. Mia nonna gli aveva preparato la cena ma la 'ndrangheta aveva deciso di ucciderlo. Gli spararono con la lupara dalla matricola abrasa. Nelle scuole dell'Aspromonte, dove vado con Libera per riprenderci quel posto che è stato per anni simbolo dei sequestri, dico sempre che il dolore più grande non è la perdita fisica ma i ricordi. Io avevo sette anni ed ho pochissimi ricordi di mio padre. E non è possibile che un ragazzo non abbia ricordi, o ne abbia pochi, di suo padre".
"Non posso accettare lezioni di dignità dal figlio di Provenzano, dice Benny Calasanzio Borsellino. Fino a tre mesi fa si chiamava solo Benny Calasanzio poi, "qualche settimana fa, dopo tre anni, il Ministero dell'Interno ha deciso che posso usare anche il cognome di mia madre". E continua: "Capisco che il figlio di Provenzano avrà subito le conseguenze delle scelte di suo padre, ma manteniamo distinti i ruoli. Lui conduce la sua battaglia, noi la nostra. Ed è una battaglia, la nostra, che merita di avere l'attenzione che i giornali hanno riservato alla sua".
Concorda con lui Nando Dalla Chiesa: "E'offensivo sentirsi fare lezioni di dignita' da chi viene da storie di mafia, come abbiamo letto sui giornali. Qui c'e'cun pezzo della storia d'Italia, una storia che fa fatica ad entrare nella testa di chi rappresenta le istituzioni. Ma la storia a volte, più'che le istituzioni, la fanno quelli che non pensano di farla, quelli che sono qui oggi con noi".
La sorella di Simonetta Lamberti, una bambina uccisa dalla camorra mentre era a passeggio con il padre: "Non l'ho mai conosciuta, io sono nata un anno dopo. Fu uccisa il 29 maggio dell'82, a undici anni. Per tutta la vita ho vissuto da sola il mio dolore. Il fatto di non averla conosciuta non significa che non le voglia bene anzi è peggio perché ho solo delle foto che porto sempre con me. Solo da poco ho iniziato a buttare fuori il dolore e la rabbia. Qualche mese fa un pentito ha fatto riaprire il caso autoaccusandosi di aver fatto parte del commando. Lei non era una donna che lottava contro la mafia, era solo una bambina. E voglio che tutti la ricordino".
Il papà di Domenico Gabriele, ucciso ad undici anni, nel 2009, a Crotone mentre andava a giocare una partita di calcetto. "Io ho portato mio figlio a giocare. Mi dicono: si è trovato al posto sbagliato nel momento sbagliato. Non è cosi: Domenico era in un campetto di calcio, dove i bambini giocano. Era al posto giusto. Questa primavera per me è importante perché mi aspetto giustizia dallo Stato. Hanno ucciso un bambino di undici anni, e con lui hanno ucciso me e mia moglie. Non devono mai uscire di galera questi farabutti, altro che indulto".
"Mia sorella doveva andare a scuola di musica. Quel pomeriggio non l'ho accompagnata perché avevo un appuntamento con una ragazza e lei è uscita sbattendo la porta. Quante volte mi sono chiesto cosa sarebbe successo se io l'avessi accompagnata": il fratello di Emanuela Orlandi vuole sapere, vuole capire, non si ferma. "Lo Stato italiano e lo Stato Vaticano hanno cercato di far dimenticare questa storia. Emanuela è stata vittima di un affare tra Stato, Vaticano e criminalità. Mafia è anche impedire ad un Papa di pronunciare il nome di Emanuela Orlandi. La segreteria di Stato glielo impedisce. Io sogno un Papa coraggioso e libero di pronunciare il nome di mia sorella".
"Qualcuno - continua don Ciotti - vorrebbe spostare al 21 maggio la data della nostra giornata per l'impegno e la memoria, perché la lotta alla mafia, secondo alcuni, comincerebbe in quella data. Non è così. La lotta alla mafia comincia nel giorno in cui la mafia ha spezzato le vite dei vostri cari. Sentite questa giornata come un atto di grande amore".
Tratto da: repubblica.it
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