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caselli-gian-carlo-webdi Giovanni Bianconi - 21 febbraio 2012
Il procuratore di Torino che ha ottenuto l'arresto di alcuni esponenti del movimento: «Non la do vinta ai violenti, gli incontri si faranno in luoghi sicuri. Mi ricordano i camorristi».

ROMA - L'appuntamento era fissato per lunedì alle 18, libreria Feltrinelli di piazza Duomo a Milano, presentazione del libro del procuratore di Torino Gian Carlo Caselli Assalto alla giustizia , con Armando Spataro e Nando dalla Chiesa. Da giorni però il tam tam trasmesso soprattutto via computer faceva sospettare che dentro e fuori non ci sarebbero stati solo gli interessati al dibattito, ma anche i contestatori del magistrato accusato di voler criminalizzare il movimento No Tav con i recenti arresti per gli scontri dell'estate scorsa in Val di Susa: «Andiamo a esprimergli il nostro punto di vista a proposito di "assalti" e di "giustizia"». Risultato: presentazione annullata «per evitare problemi di ordine pubblico». Era già successo a Torino, per un altro incontro con Caselli relatore.

Che accade, procuratore? S'è spaventato di qualche probabile fischio o slogan aggressivo?
«No, semplicemente non ho intenzione di coinvolgere in possibili disordini persone perbene e ignare di tutto, interessate alla circolazione delle idee e non della violenza. Ormai non ci sono più solo le minacce e gli insulti, ma scritte sui muri che trasudano odio come "Caselli boia", "Caselli brucerai", "Caselli come Ramelli" (il giovane militante missino ucciso a sprangate, a Milano, nel 1975, ndr ) o "ti faremo a brandelli". A Torino e in altre città. Sono preso di mira sistematicamente, vogliono impedirmi di parlare, e questo non è degno di un Paese civile».

Ma annullando gli incontri non la si dà vinta ai contestatori?
«Le presentazioni le rifaremo in situazioni logistiche di maggiore sicurezza, l'incolumità delle persone viene prima di tutto. E io non voglio offrire occasioni di pubblicità a chi vuole imporre il silenzio. Figuriamoci se voglio darla vinta ai violenti, è solo il sintomo che viviamo in un Paese che sta cambiando in modo pericoloso».

Non si ha il diritto di dissentire da un'operazione giudiziaria?
«Qui non c'entra il dissenso, siamo molto al di fuori della legittima divergenza di opinioni. Quanto al merito dell'indagine mi limito a ricordare che per gli arresti, tra gli uffici di Procura, del giudice delle indagini preliminari e del tribunale dei minori, si sono pronunciati ben dieci magistrati. E adesso altri nove di tre diverse sezioni del tribunale del riesame hanno confermato in pieno l'impianto accusatorio parlando di "devastante e incontenibile violenza collettiva, preventivamente e strategicamente pianificata", e di "configurazione tipicamente sovversiva". Siamo intervenuti in maniera chirurgica, sezionando le situazioni in cui riteniamo di aver raggiunto la prova della singola responsabilità. Altro che sparare nel mucchio!».

È per via di quel contesto di violenza che prende sul serio le scritte sui muri contro di lei?
«A quegli scontri hanno partecipato alcuni "professionisti della violenza". E non siamo di fronte a banali scritte sui muri, bensì alla convocazione preventiva per impedire la libera espressione delle idee. Sono anni che mi muovo e parlo in mezzo a gente che talora fischia e contesta, ma non ho mai visto iniziative organizzate come queste. Fatte le debite proporzioni, questi episodi mi ricordano i familiari dei camorristi che circondano le auto delle forze dell'ordine per impedire gli arresti dei loro congiunti».

Non teme di esagerare? O sta preconizzando un possibile ritorno della violenza stile anni Settanta, prologo di scenari ben peggiori?
«Non preconizzo niente, registro solo situazioni che non mi piacciono e mi allarmano, perché non si può dire a quali conseguenze potrebbero portare. E perché avvengono in un sostanziale silenzio altrettanto preoccupante, o suscitano al massimo qualche balbettio di maniera da parte della politica, che invece dovrebbe capire la gravità di quel che sta accadendo. Insultare o intimidire un magistrato significa insultare e intimidire la sua funzione. C'è una curiosa assonanza tra le aggressioni nei miei confronti e quel che c'è toccato sentire in quasi vent'anni di berlusconismo a proposito di giustizia e controllo della legalità».

Cioè?
«Sento riecheggiare una certa voglia di impunità registrata tante volte da parte di certa classe politica. Ma il rispetto della legalità non è come un paio di ciabatte che si usa quando servono e si butta via quando non sono più utili; il nostro ruolo non può andar bene nel contrasto alla mafia e alla 'ndrangheta, per le indagini sull'assalto al campo nomadi o i processi Eternit e ThyssenKrupp, ed essere osteggiato sino a livelli di inciviltà quando si colpiscono reati che non si vogliono ammettere».

Negli arresti dei militanti No Tav vi contestano di aver usato la mano pesante per intimorire il movimento e scoraggiare la protesta e le prossime manifestazioni. In nome di interessi o poteri superiori.
«La protesta anche energica è e resta legittima, mentre la violenza organizzata no. I No Tav possono avere tutte le ragioni di questo mondo e pretendere quel che ritengono giusto. Ma sostenere che la nostra inchiesta criminalizza il movimento è come dire che chi persegue uno stupro criminalizza il sesso: la protesta e la violenza sono due cose diverse, esattamente come il sesso e lo stupro. E solo chi viene da un altro pianeta può pensare che io sia al servizio di qualche potere forte o di chi ha interessi nell'Alta velocità».

Che effetto le fa trovare tra i più accesi detrattori dell'inchiesta persone con cui in passato s'è trovato d'accordo, o addirittura amici di vecchia data come l'ex giudice Livio Pepino?
«Ai tempi del terrorismo, a sinistra mi chiamavano "servo sciocco" del generale Dalla Chiesa. Non mi sono impressionato allora né mi impressiono oggi, quando si fa il proprio dovere si mette in conto tutto».

Tratto da: milano.corriere.it

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