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di Antonio Ingroia - 28 ottobre 2011

Pubblichiamo la prefazione di Antonio Ingroia, procuratore aggiunto della Dda di Palermo, a “Mafia Spa” di Benny Calasanzio, uscito ieri.


Il libro, attraverso una cospicua mole di dati e documenti, cerca di offrire un panorama completo sugli affari delle mafie, sugli investimenti e le infiltrazioni nelle aziende e nelle pubbliche amministrazioni italiane.
 
Non è il primo libro sulla mafia e non sarà certamente l’ultimo, perché la letteratura che si è formata intorno a questa materia è ormai ampia e affollata di titoli. Questo non è un titolo fra i tanti, anche perché ha un approccio diverso da quelli tradizionali. I libri di mafia, infatti, generalmente si dividono in due  categorie: i saggi che analizzano da angolazioni diverse l’universo mafioso, e i libri di memorie, biografici o autobiografici che siano. Il libro di Benny Calasanzio trova la sua originalità e il suo merito nel saper integrare i due punti di osservazione, usare i due stili, intrecciare le due impostazioni, riuscendo così a sviluppare un doppio discorso, senza confusioni di piani e senza approssimazioni di superficie.
 
Si tratta, infatti, in primo luogo, di un libro straordinariamente documentato che perciò, sulla base di studi e pubblicazioni ufficiali, ci fornisce dati, numeri, schemi, prospetti, elenchi, percentuali, statistiche. Insomma, una radiografia aggiornata, una mappa attendibile della mafia finanziaria di oggi, la “Mafia  Spa” appunto. Quel “sistema criminale mafioso” emerso in questi anni e che emerge giorno per giorno da ogni indagine, da Palermo a Milano, da Napoli a Torino, fino a Reggio Calabria, in un intreccio di affari e poteri che ha fatto di tutte le organizzazioni mafiose un solo network criminale integrato. La stagione della mafia corleonese è stata una parentesi e tale è destinata a rimanere, al di là della mitografia che si è costruita attorno alla famiglia mafiosa dei Riina e dei Provenzano. E perfino la strategia stragista corleonese è stata una parentesi nella storia della mafia, perché la strategia naturale di Cosa nostra non è mai stata quella “eversiva” della contrapposizione militare, della guerra contro lo Stato. Il delirio di onnipotenza di Salvatore Riina e compagni, nonostante gli esiti benefici della “trattativa” con lo Stato, che ha consentito alla mafia di stipulare una vantaggiosa tregua, è stato accantonato, chiuso dentro una parentesi. L’estenuante “braccio di ferro” con lo Stato non poteva proseguire in eterno e anche perciò da allora la mafia è cambiata, ha mutato strategia, ha scelto itinerari più tradizionali.
 
Ecco quindi, che adotta la strategia della sommersione, cerca di dare l’illusione di essere scomparsa, e invece si inabissa. E la strategia dell’invisibilità dà luogo e spazio alla mafia finanziaria, l’unica che consente periodi di sommersione. La mafia smette le bombe e indossa i guanti, e non è un caso che, contestualmente, si registri un mutamento “classista” ai vertici di Cosa nostra: agli esponenti dello stragismo, corrispondenti al cliché del mafioso, subentra la mafia dei “colletti bianchi”, come dimostrano le vicissitudini di un mandamento mafioso strategico come quello di Brancaccio, alla cui guida dei fratelli Graviano, protagonisti ed artefici della stagione stragista del ’92-93, subentra un medico come il dottor Filippo Giuseppe Guttadauro, capace di gestire indifferentemente gli affari della famiglia e le sorti della politica locale e della sanità pubblica e privata. Insomma, potremmo dire che il sistema mafioso è entrato in clandestinità. E meglio sarebbe dire che la mafia è entrata in una fase di mimetizzazione, per farsi dimenticare dall’opinione pubblica nazionale, ma soprattutto per mimetizzarsi nei meandri del fenomeno della globalizzazione, per mischiare meglio flussi del denaro sporco e profitti dell’economia lecita, perciò sperimentando nuovi settori e nuovi territori di investimento. Il testo di Calasanzio, nel consegnarci questo panorama, è completo e convincente. E soprattutto documentato, perché ricostruisce come la mafia stia diventando sempre più sistema economico integrato dell’illegalità, grazie al suo sempre più diffuso e stabile insediamento nei territori delle regioni più ricche del Nord Italia e alla sua penetrazione in settori economici prima sconosciuti, dalle “ecomafie” alle “agromafie”, fino alle varie e più fantasiose forme di riciclaggio, senza dimenticare mai le forme più tradizionali, dal racket agli appalti. Ma l’aspetto più originale del libro è che l’analisi delle più recenti evoluzioni del fenomeno mafioso si inserisce nella storia personale di chi la mafia l’ha subita sulla propria pelle, avendo avuto familiari vittime di mafia: Giuseppe e Paolo Borsellino, nonno e zio dell’autore, piccoli imprenditori uccisi a Lucca di Sicilia per aver osato sfidare il sistema criminale mafioso. Una vicenda che ovviamente ha dato una speciale sensibilità all’autore, che perciò ha deciso, accanto alla radiografia della mafia, di raccontare anche le storie delle vittime di mafia, da quella del nonno e dello zio a quella di Franca De Candia, vittima del racket dell’usura e della burocrazia statale.
  
Un quadro disperato e pessimista? No, soltanto uno sguardo lucido e spietato sull’Italia di oggi, che sfata il luogo comune di una mafia in ginocchio e ci ricorda invece che la “Mafia Spa” è la prima azienda nazionale, in termini di fatturato, dall’alto del suo giro d’affari pari a 138 miliardi di euro l’anno. Ma, nel contempo, anche un atto di grande fiducia nella possibilità dei cittadini “consapevoli” e “attivi” di cambiare le cose, espresso con la dichiarata adesione finale al grido di battaglia di Salvatore Borsellino, fratello dell’”altro” Paolo Borsellino, il magistrato antimafia ucciso il 19 luglio 1992: “Resistenza!”. Un’adesione che è una scelta di campo, uno schierarsi, un appello ai cittadini-lettori per una nuova assunzione di responsabilità in una fase di delicata transizione del nostro Bel-paese.

Tratto da: Il Fatto Quotidiano

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