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di AMDuemila - 14 ottobre 2011
Roma.
Da ieri è entrato in vigore il nuovo codice antimafia, varato con decreto legislativo n. 159 del 6 settembre del 2011. Si tratta di un vero e proprio testo unico approvato dal Governo nell’esercizio della delega conferitagli dal Parlamento (praticamente all’unanimità) con la legge 136 del 13 agosto 2010 (“Piano straordinario antimafia”).
Il Codice è suddiviso in cinque libri: la criminalità organizzata di tipo mafioso; le misure di prevenzione; la documentazione antimafia; le attività informative ed investigative nella lotta contro la criminalità organizzata. L’amministrazione e la destinazione dei beni sequestrati e confiscati alla criminalità organizzata; modifiche al codice penale e alla legislazione penale complementare. Abrogazioni. Disposizioni transitorie e di coordinamento.
I punti dolenti del nuovo codice sono diversi. La disciplina dei beni confiscati è un tassello fondamentale della lotta alla criminalità organizzata, dato che i mafiosi mostrano di temere la sottrazione del loro patrimonio più della reclusione in carcere. Con in più il valore simbolico della riassegnazione di quei beni a fini pubblici o sociali. La nuova legge fissa un limite al tempo che può passare tra il sequestro e la confisca: 18 mesi, con due possibili proroghe di sei mesi con richiesta motivata del tribunale. “Sappiamo bene – ha spiegato Don Ciotti – che quei signori possono permettersi ottimi avvocati, che sanno molto bene come fare scadere il tempo”.
Altra “singolarità” del Codice è la sostanziale assimilazione del procedimento di prevenzione (ossia sequestro più confisca) a quello fallimentare: “Il giudice della prevenzione – ha raccontato Francesco Menditto, Procuratore capo di Lanciano – deve appurare se il mafioso oggetto del provvedimento di confisca abbia dei creditori, esattamente come un giudice fallimentare. Se i creditori sono in buona fede, vanno pagati. Questo significa che se una persona vanta un credito, mettiamo, di mille euro a fronte di un immobile che vale dieci milioni, quell’immobile si deve vendere. E allo Stato rimane quel che resta. Insomma, se prima il principale obiettivo era sottrarlo alla criminalità e riconsegnarlo alla società, ora l’intenzione è quella di fare cassa. Un altro aspetto grave è quello della disciplina di revoca della confisca in caso di errore. Prima, in caso di riforma di una sentenza, era lo Stato a liquidare il danno. Il nuovo Codice prevede invece che l’obbligo di rifondere sia a carico dei Comuni, che hanno le casse vuote. Quanti comuni si faranno carico di un bene confiscato con il rischio di doverlo ripagare con gli interessi?”.
Il nuovo codice antimafia, insomma, è una grande occasione attesa da anni da chi si occupa di lotta alla mafia, ma il governo ha fatto prevalere altre ragioni.

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