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da caffeletterario-bologna.blogautore.repubblica.it - 11 ottobre 2011
«La prima reazione è stata la rabbia, perché aveva preferito altro a me». Sono parole che vengono dal profondo, sincere, quelle di Maddalena Rostagno, alla libreria Ambasciatori venerdì scorso per presentare Il suono di una mano sola. Storia di mio padre Mauro Rostagno, scritto con Andrea Gentile.

Quel 26 settembre 1988, a Trapani, contrada Lenzi, si spengono tutte le luci. Strano. In quel buio è ucciso Mauro Rostagno, giornalista che denuncia nel suo telegiornale locale fatti di mafia, “promiscuità” tra politica e mafia. Omicidio di mafia? Be’, sembrerà strano, ma per oltre 20 anni si è guardato soprattutto in altre direzioni: persino la compagna, Elisabetta Roveri, per tutti “Chicca”, e gli ambienti di Lotta Continua da cui proveniva. Strano? No, purtroppo.

Maddalena reagì con rabbia verso il padre, in quei giorni. «Non sapevamo nulla delle minacce ricevute, né io né mia madre. Almeno non precisamente. La rabbia mi ha portato a disinteressarmi delle indagini, e nell’immediato a non andare al funerale, cosa su cui molti hanno espresso giudizi che io mai mi sarei permessa di dare. Eppure, nonostante la rabbia, Mauro è sempre stato con me».

Poi tutto cambia. «Il 22 luglio del 1996 entrano in casa mia 5 o 6 poliziotti con un pezzo di carta: hanno l’obbligo di perquisire, cercano anche armi. Mia madre viene arrestata per favoreggiamento nell’omicidio di Mauro. Io mai ho avuto dubbi sulla sua innocenza, ma ero sola contro tutti: radio, tv e giornali, anche il Manifesto. Ho aperto il baule di Chicca dove teneva tutte le carte, per difenderla, e guardando quei documenti ancora non mi spiego perché ci sono voluti 23 anni per arrivare al processo».

Andrea Gentile ricorda che Mauro dava fastidio: «non era trapanese, ma diceva di esserlo più di tutti, perché aveva deciso di diventarlo. Era milanese, estraneo per origini e per cultura, considerato un pagliaccio perché vestito di bianco. In una tv di provincia fa nomi e cognomi, collega fatti e persone, forse scopre un traffico di armi verso la Somalia in cui sono coinvolti mafia, massoneria e altro ancora, capisce perché è stato ucciso Ciaccio Montalto. Dava fastidio, anche perché sapeva entrare nel cuore della gente, con parole semplici, gesticolando come fosse a cena con chi guardava la tv. Conduceva una battaglia culturale. Era creativo: un giorno un assessore chiama in redazione e dice che Rostagno deve andare a zappare la terra; il giorno dopo fa il tg da in mezzo a un campo, zappa in mano». «Per primo – aggiunge Maddalena – ha ripreso un mafioso al processo, e le persone a casa lo vedevano nell’aula di un tribunale».

Tra le varie piste seguite nelle indagini, quella su un regolamento di conti tra ex compagni di Lotta Continua «è quella che più mi fa arrabbiare – dice Maddalena – Il 19 luglio 1988 Mauro riceve un avviso di comparizione per le indagini sulla morte del commissario Calabresi. Nomina due avvocati, chiede di essere sentito subito, fa comunicazioni ufficiali alla città e un editoriale nel tg. Spiega cos’è stata Lotta Continua e perché si è sciolta, che è parte del suo passato a cui è molto legato, che spera di essere sentito presto per scagionare tutti. Bastava leggere le sue parole per capire che quella pista era assurda». Invece, si pensò possibile che qualche ex compagno lo avesse ucciso perché non facesse nomi.

Il processo è stato aperto, ora. E sul banco degli imputati c’è finalmente la mafia. «Siamo grandi, sappiamo come vanno i processi in questo paese, ma aprirlo significa innescare un meccanismo, un processo di verità». E ha una parola anche per ringraziare il presidente dell’associazione tra i familiari delle vittime della strage di Bologna del 2 agosto 1980, Paolo Bolognesi: «l’ho contattato subito per chiedergli un avvocato per costituirmi parte civile. Un giorno dovremo incontrarci per parlare di molte cose».

Tratto da:
caffeletterario-bologna.blogautore.repubblica.it

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