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da livesicilia.it - 11 ottobre 2011
Oggi i giornalisti palermitani
protestano per la libertà di stampa davanti alla prefettura. Noi celebriamo in silenzio la stessa aspirazione, ricordando un cronista estremo, ucciso forse dalla verità che aveva scoperto. Si chiamava Giuseppe Francese, figlio di Mario, a sua volta assassinato dalla mafia. Fu lui, Giuseppe, a raccogliere i cocci di vetro che avrebbero composto gran parte del mosaico dell’esecuzione di suo padre, dando impulso e nerbo alle indagini.  Tra i suoi appunti, sul sito della fondazione Francese, si legge: “Avevo dodici anni quando la sera del 26 gennaio del 1979 ho sentito da casa quella tragica sequenza di colpi di arma da fuoco. Sei per l’esattezza. Dal lì a poco scoprii che quei colpi avevano centrato il bersaglio, e che il bersaglio era mio padre, il giornalista Mario Francese. Da quel tragico momento la mia vita è stata sconvolta, come se quel lugubre rosario di colpi avesse leso irrimediabilmente qualche punto nevralgico della mia esistenza.

“Accadono cose che sono come domande. Passa un minuto, oppure anni, e poi la vita risponde” Intanto crescevo ma contemporaneamente cresceva dentro me, diventando sempre più grande, un immenso vuoto ed un’incredibile ansia di giustizia. Ammetto che per un breve periodo la sete di verità si è trasformata in rassegnazione per una giustizia assai lenta ad arrivare. Ma la rassegnazione presto si è trasformata in rabbia. Già, di ‘Castelli di rabbia’ in questi quasi venti anni ne ho costruiti, e tanti. La mia rabbia cresceva e si alimentava soprattutto per certi comportamenti inspiegabili da parte di ‘amici’ e ‘colleghi’ di mio padre, che più di tutti avrebbero dovuto in qualche modo intervenire, fare qualcosa, lottare: invece, nulla. Dimenticato. Come se quel corpo martoriato in viale Campania non fosse mai esistito, come se quell’ uomo semplice, corretto, buono, ma nello stesso tempo forte e tenace, non lo avesse meritato. Ma cos’è che li bloccava? Paura? O c’era qualcos’altro?”.

Un quesito ineludibile, violento, causa di intima e inesorabile consunzione. Ancora si legge negli appunti di fine anni Novanta: ” Quel 1979 terribile dove, in un crescendo impressionante di vittime eccellenti non a caso si inizia con un giornalista come Mario Francese. Con lui i corleonesi hanno voluto colpire non soltanto l’uomo, ma anche minacciare e cercare di assoggettare l’istituzione (cioè il giornale) per cui lavorava. Il 12 novembre 1998, il giudice per le indagini preliminari “ del Tribunale di Palermo, dottor Gioacchino Scaduto, su richiesta avanzata dal Pubblico Ministero, dottoressa Enza Sabatino, ha emesso un’ordinanza di custodia cautelare contro l’intera ‘Cupola’ di Cosa Nostra, o meglio, contro i superstiti della ‘Commissione mafiosa’ operativa nel 1979: Salvatore Riina, Bernardo Provenzano, Bernardo Brusca, Giuseppe Calò, Giuseppe Farinella, Nenè Geraci, Michele Greco, Francesco Madonia, Matteo Motisi, quali mandanti dell’omicidio Francese. Mario Francese, secondo la Procura della Repubblica di Palermo, sarebbe stato ucciso per le sue inchieste giornalistiche ed in particolare per quelle riguardanti il clamoroso omicidio del tenente colonnello dei Carabinieri Giuseppe Russo, e per quelle sui rilevanti interessi mafiosi, ed in particolare della parte corleonese facente capo a Totò Riina, nella ricostruzione del Belice e, più specificamente, nella realizzazione di una delle più imponenti opere pubbliche quegli anni, la diga Garcia. A confermare questa tesi ci sono ben cinque collaboratori di giustizia: Gaspare Mutolo Angelo Siino, Gioacchino Pennino, Francesco Di Carlo e Giovanni Brusca. Dall’indagine sono emerse anche frequentazioni tra alcuni editori e giornalisti del Giornale di Sicilia ed esponenti di spicco di Cosa Nostra. Mi auguro che si faccia al più presto piena luce e che paghino non soltanto i soliti noti, ma chiunque abbia avuto una qualche responsabilità nell’omicidio, a qualsiasi livello, noto e ignoto. Siamo soltanto all’inizio, ma è già qualcosa. “Accadono cose che sono come domande. Passa un minuto, oppure anni, e poi la vita risponde”. Sono passati quasi venti anni e la vita sta rispondendo. A tutti loro. Spero adesso che i miei ‘Castelli di rabbia ’ si trasformino presto in semplici castelli di sabbia costruiti in una quieta spiaggia, spianata dalla verità e dalla giustizia”.

Non è andata così. Giuseppe Francese è stato inghiottito dalla sua disperazione che l’ha condotto al suicidio. La lucida cronaca della morte di Mario a un certo punto si è presumibilmente trasformata nella trama della fine di un figlio, vittima dell’incantesimo e del coraggio da lui stesso evocato. Oggi, nel giorno in cui i cronisti palermitani protestano, lo ricordiamo. Ricordiamo la viltà di chi lasciò solo Mario Francese. Ricordiamo Giuseppe, cronista estremo e vero, senza tesserino da professionista e senza pace, perché adesso sappiamo. Conosciamo al milligrammo il peso e le conseguenze della sua terribile libertà.

(R.P.)

Tratto da:
livesicilia.it

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