Nella valle del porfido, in Trentino, già durante la prima intifada (1987) si esprimeva solidarietà nei confronti del popolo palestinese. Il Comitato Popolare di Lona-Lases, in valle di Cembra, promuoveva allora una serie di iniziative per far conoscere la tragedia del popolo palestinese, sostenendo sul quotidiano L’Adige (allora diretto da un grande giornalista come Piero Agostini) una serrata polemica con l’allora presidente della comunità ebraica regionale (Trentino-Alto Adige/Sudtirolo) Federico Stainhaus. Si trattava di far conoscere la Nakba palestinese, vale a dire la cacciata dalla loro terra e dai loro villaggi, nel 1948-49, di ben 700 mila persone ad opera del neonato Stato di Israele. Pulizia etnica sistematicamente negata e nascosta dietro la vulgata che voleva la Palestina “una terra senza popolo, per un popolo senza terra”. Nel 1988 l’iniziativa di quei giovani portò ad un gemellaggio tra il Comune di Lona-Lases e il villaggio palestinese di Beita, minacciato di distruzione dall’avanzata degli insediamenti israeliani nella parte meridionale della Cisgiordania, poco lontano da Gerusalemme. La mozione presentata da Dario Avi e Graziano Ferrari venne approvata dal Consiglio comunale e l’intera comunità venne coinvolta in occasione dell’incontro del Sindaco Vigilio Valentini con il rappresentante palestinese Amjad Jaakba. Allora i palestinesi erano rappresentati dall’O.L.P. di Yasser Arafat, da poco affrancatosi dalla definizione di organizzazione terroristica, etichetta oggi appiccicata ad Hamas e alle altre formazioni della Resistenza palestinese. Per questo non poche furono le resistenze all’iniziativa del Comitato Popolare, ma alla fine si riuscì a portare a termine l’impresa (accollandosi per vari anni anche l’adozione a distanza di alcuni bambini palestinesi), e inoltre ad istituire una sezione di Storia e Cultura del Medio Oriente e del Mondo Arabo presso l’allora Consorzio interbibliotecario di Albiano e Lona-Lases, alla quale si dedicò con grande passione il bibliotecario Giulio Bazzanella. Erano gli anni nei quali per la prima volta in un comune della zona estrattiva del porfido (il più importante distretto minerario della Provincia Autonoma di Trento) era stata eletta una amministrazione non emanazione della potente lobby imprenditoriale locale. Fatto che fece salire notevolmente la tensione tra le due fazioni in cui si divideva la comunità locale, tensione che sfociò in violenti atti intimidatori nei confronti dei nuovi amministratori e dei loro sostenitori. Atti, come l’incendio della macchina dell’assessore alle cave sul piazzale del Comune, durante una riunione di giunta, non certo usuali all’epoca a queste latitudini e che oggi, dopo le risultanze dell’indagine “Perfido” condotta dai Carabinieri del ROS e la loro conferma in sede giudiziaria, possiamo ipotizzare siano stati opera di “picciotti” già da qualche tempo stanziatisi in questo piccolo comune.
A distanza di tanti anni, dopo la riconquista dell’amministrazione comunale da parte del potentato locale nel 1995, ben poco rimane di quelle iniziative, anche le insegne sono state rimosse e il fondo librario disperso. Tuttavia qualcuno ha mantenuto viva la memoria e soprattutto non ha mai smesso di prestare attenzione alle sofferenze del popolo palestinese e ora in questa valle è fiorita una nuova iniziativa, questa volta per l’impegno di un artista coraggioso, un poeta dialettale e musicista originario di Sover. Giuliano Natali, nome d’arte Diaolin, ha infatti costruito e rappresentato nei mesi scorsi per ben cinque volte il suo “Un’altra verità – spettacolo dal racconto di Suaad, prigioniera palestinese”. Uno spettacolo tratto dal libro “Il racconto di Suaad, prigioniera palestinese” (Edizioni Q, 2024), scritto da Suaad Genem, esule palestinese che nel 1983 venne arrestata e subì due anni di detenzione amministrativa nelle carceri israeliane. Accompagnato da due musicisti, Martino alla tromba e al didgeridoo e Nicola alla viola, Diaolin ha letto alcuni passaggi del racconto della sua amica palestinese, laureata in giurisprudenza in Italia, successivamente ricercatrice e docente ad Exeter nel Regno Unito. Il crudo e toccante racconto di Suaad, che poco più che ventenne ha trascorso due anni in detenzione amministrativa nelle carceri israeliane, è preceduto dalla lettura di alcuni passi della lettera inviata da Nelson Mandela (allora presidente del Sudafrica) a Thomas Friedmann, articolista del New York Times, nella quale Mandela parla apertamente di apartheid d’Israele nei confronti dei palestinesi. Per la chiusura Diaolin ha scelto le parole che il prof. Angelo D’Orsi ha rivolto a Edith Bruck e Liliana Segre il 7 dicembre 2024, con le quali invita le sue insigni interlocutrici a riflettere sullo “strabismo” che le ha portate entrambe, sia pure in sedi e con modalità diverse, a negare che a Gaza si potesse legittimamente parlare di “genocidio”. Il poeta cembrano evidenzia come il nostro disinteresse venga spesso alimentato dal luogo comune che vuole i resistenti palestinesi come feroci terroristi imbevuti di odio religioso, ricordando come pure i nostri partigiani, negli anni tra il 1943 e il 45, venissero comunemente etichettati come banditi o terroristi dall’occupante tedesco e dai suoi fiancheggiatori fascisti. Egli però chiude la sua rappresentazione con un invito a restare umani (usando le parole di Vittorio Arrigoni), indicando nell’intreccio di due lettere (“kaf” e “mim”) degli alfabeti ebraico e arabo, la chiave per uscire da un conflitto le cui cause vanno riconosciute nel carattere coloniale di Israele e nella pulizia etnica operata ai danni della popolazione palestinese fin dal 1948. Non a caso il racconto di Suaad inizia con i suoi ricordi sulla spiaggia di Tantura, villaggio di pescatori palestinesi distrutto proprio durante la catastrofe (Nakba) del 1948, con violenze e uccisioni nei confronti della popolazione civile palestinese, raccontate nel 2023 in un film dal regista israeliano Alon Schwarz (titolato col nome di quel villaggio cancellato per sempre dalle mappe), dando voce a Teddy Katz, ricercatore dell’Università di Haifa che trent’anni fa aveva ricostruito quelle vicende e per questo era stato addirittura cacciato e processato. L’appello che Diaolin lancia per una via d’uscita fa leva sul coraggio da parte israeliana di rispettare i legittimi diritti della popolazione palestinese (“kevod”, in ebraico rispetto) e nell’altrettanto coraggiosa capacità dei palestinesi di perdonare i torti subiti (“musaamaha”, in arabo perdono).
Altrettanto determinante sarà la capacità nostra di superare l’ignavia dominante che fin qui ha permesso ai governi europei di intrattenere regolari rapporti commerciali (comprese le forniture d’armi) e di collaborazione con il governo israeliano (rendendosi e rendendoci complici del genocidio in atto a Gaza). A questo proposito Diaolin, già lo scorso 5 gennaio, ha scritto e reso pubblici dei versi (in dialetto dell’alta valle di Cembra) assolutamente appropriati:
fòrsi la giustizia…
Che ghe contànte a chiche ne farà gió ‘l cònt
qoanche ‘l ne buterà sul piat qoel che noi sén?
Ne basteràlo dirghe che no èren chive ‘n qoel dì
sul campo de bataglia ‘ndoche i mazza gió i putati?
E po’ che ghe contante a la resón, senèstra?
Che aveven da vardar se convegnìva o men
meter su ‘n sciopero par no copar i arlévi?
El pagheren segùr qoél cònt de i òci mòri
lassadi bater gió da bombe inteligenti
e sorisi desperàdi sbrindoladi dale bàle de canón.
El pagheren dalbòn el nòss tegnìrne fõra
dai mistéri che ne sfrisa e no ne pànde niànca ‘n cin.
E no ‘l sarà che ‘l dio de la coscienza a roncàr fónt
e la giustizia umana la gavrà da dir la sòa
fòrsi sarà na s’ciopetada a farne dir le colpe nòsse
fòrsi…
Giuliano
La giustizia, forse…
Cosa racconteremo a chi ci presenterà il conto | quando riempirà la bilancia con ciò che siamo stati? | Sarà forse sufficiente dirgli che quel giorno eravamo altrove e non sul campo di battaglia dove ammazzavano i bambini? | E cosa diremo alla nostra ragione? | Che dovevamo controllare se a noi conveniva o meno | il fare una rivolta per non uccidere il futuro? | Lo pagheremo comunque il conto a quegli occhi scuri | lasciati sterminare da bombe intelligenti | e ai sorrisi disperati dilaniati dai cannoni. | La pagheremo, certo, la nostra immane ignavia | nascosti dietro un velo di vaga sicurezza. | E non sarà che il dio della coscienza a scavarci dentro | e la giustizia umana darà l’ultimo vagito | forse sarà dopo una fucilata l’ultima confessione | speriamo…
Elaborazione grafica by Paolo Bassani. Realizzata con il supporto dell'IA
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