L'obbligo è stato sospeso nel 2004 ma potrebbe tornare in vigore su decreto del Capo dello Stato in caso di emergenze per la nazione
Si inasprisce la guerra nell'Est Europa, il clima si è fatto sempre più teso negli ultimi due anni con lo scoppio del conflitto in Ucraina, e molti paesi cominciano a interrogarsi su possibili futuri scenari bellici. E c’è chi si chiede già che ne sarà degli italiani in caso di ostilità, chi dovrà indossare anfibi e abbracciare un fucile e quali saranno i criteri. In questi giorni si è quindi tornati a parlare di leva militare: in caso di guerra, infatti, anche l'Italia - in quanto membro della NATO - sarebbe chiamata in causa. Ma chi dovrà andare al fronte a combattere? L’articolo 78 della Costituzione chiarisce che sono le Camere a deliberare lo stato di guerra e a conferire al governo i poteri necessari per intervenire. Nell'ordine, i primi a dover rispondere alla chiamata alle armi sarebbero i diversi corpi armati, come Esercito, Marina, Aeronautica militare, Carabinieri e Guardia di Finanza (esclusi i corpi dei Vigili del Fuoco e della Polizia Penitenziaria). A seguire sarebbero interessati anche tutti gli ex militari che hanno lasciato le Forze Armate da meno di 5 anni e, in ultima istanza, i civili, che verrebbero chiamati solo in caso di estrema necessità. Più nello specifico, verrebbero chiamati alle armi tutti i cittadini di sesso maschile di età compresa tra i 18 e i 45 anni. La leva obbligatoria in Italia è stata sospesa nel 2004. Si parla di sospensione, quindi potrebbe essere rievocata nel caso di emergenza. Come? Tramite decreto del Presidente della Repubblica, che ha il comando delle Forze Armate. Riguardo la leva obbligatoria, poi, c'è una recente proposta depositata dalla Lega. Nell'ipotetico caso di una chiamata alle armi, questa non potrà essere rifiutata. Lo specifica l'articolo 52 della Costituzione, dove si legge che “la difesa della Patria è sacro dovere del cittadino. Il servizio militare è obbligatorio nei limiti e modi stabiliti dalla legge. Il suo adempimento non pregiudica la posizione di lavoro del cittadino, né l’esercizio dei diritti politici".
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