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La direttrice del DIS testimonia: “Gentiloni informò Renzi, ma non ricordo se il 30, il 31 o il 1° febbraio”

Dalle autorità del Cairo non sono mai arrivate aperture in merito a responsabilità egiziane sulla vicenda di Giulio Regeni. Gradualmente ci siamo resi conto della mancanza di collaborazione egiziana, e il sospetto di un coinvolgimento degli apparati egiziani lo abbiamo avuto tutti”. Lo ha detto Elisabetta Belloni, direttrice del DIS (Dipartimento delle informazioni per la sicurezza), testimone durante il processo relativo al rapimento, alla tortura e all'omicidio di Giulio Regeni, il giovane ricercatore friulano scomparso il 25 gennaio 2016 al Cairo e ritrovato morto il 3 febbraio dello stesso anno. All’epoca dei fatti Belloni era segretaria generale della Farnesina. Durante il suo intervento in aula presso la Corte d’Assise di Roma, Belloni ha ricostruito i fatti dall’inizio: “Ricordo che fui contattata telefonicamente dall’allora ambasciatore al Cairo, Maurizio Massari, il 26 gennaio 2016. Mi disse della sparizione di Giulio.” - prosegue - “Le segnalazioni di scomparse sono frequenti, ma l’ambasciatore era da subito preoccupato per la coincidenza della data e per la scomparsa durante le manifestazioni a piazza Tahrir. Ci furono molte telefonate con l’ambasciatore e attivammo immediatamente il protocollo, che include anche l’unità di crisi”. Uno degli aspetti su cui Belloni è stata interrogata riguarda il momento in cui l’allora presidente del Consiglio, Matteo Renzi, venne informato della drammatica vicenda che si stava consumando in Egitto. “Io avevo avvertito Paolo Gentiloni il 26 gennaio 2016, e il ministro degli Esteri agì immediatamente: il 31 gennaio - ha ricostruito la direttrice del DIS - ebbe una telefonata con il suo omologo egiziano. Il 28 gennaio, l’ambasciatore Massari inviò un messaggio a più destinatari. Non posso sapere se qualcuno abbia portato il messaggio all’attenzione del presidente del Consiglio, quindi quanto dico non contraddice le dichiarazioni di Renzi”, il quale aveva affermato di essere venuto a conoscenza del caso solo il 31 gennaio. “Quello che posso certamente dire - ha continuato Belloni - è che in quei giorni chiamai il consigliere diplomatico del presidente del Consiglio, l’ambasciatore Varricchio; non ricordo se il 26 o il 27 gennaio 2016. Fu uno scambio tra uffici, io non chiamai direttamente Renzi. Gentiloni chiamò Renzi, ma non ricordo se il 30, il 31 o il 1° febbraio. Se Renzi dice di aver saputo il 31, sarà stato il 31”. Il punto centrale della testimonianza di Belloni riguarda il crescente sospetto che le autorità egiziane stessero nascondendo qualcosa, forse perché direttamente coinvolte nel caso. Infatti, fin dai primi momenti, l’Egitto non ha mai offerto alcun tipo di collaborazione, limitandosi a dare risposte vaghe, come “non abbiamo notizie”. “Gradualmente ci siamo resi conto della mancanza di collaborazione egiziana”. Per questo motivo è maturato “il sospetto di un coinvolgimento degli apparati egiziani. Cominciammo a pensare che non c’era alcuna volontà di collaborare, soprattutto dopo il ritrovamento del corpo di Giulio sull’autostrada, che ci lasciò molto perplessi”. A inizio febbraio ci fu un incontro tra Gentiloni e il suo omologo egiziano a Londra, descritto come “molto teso”. Belloni ha inoltre ricordato come l’ambasciatore italiano a Londra avesse cercato il sostegno delle autorità inglesi e del rettore di Cambridge, l’università presso cui Giulio Regeni studiava, senza però ricevere risposte concrete o rilevanti. Il processo proseguirà il 10 ottobre con le testimonianze di Paolo Gentiloni e, in videoconferenza, di Maha Abdelrahman, la tutor di Regeni all’università di Cambridge, un altro attore chiave nella vicenda.

Fonte: Il Fatto Quotidiano

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