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"Io rifletto su un fatto: negli anni '70 e '80 Totò Riina, da latitante, faceva nascere i figli nelle migliori cliniche di Palermo. Oggi, nel 2023, il ricercato numero uno della mafia viene catturato in una delle più importanti case di cura private, ancora una volta, di Palermo". Inizia così il colloquio con l'Agi del procuratore generale di Palermo Lia Sava, che a Caltanissetta, dove ricoprì lo stesso incarico, ha fatto processare e condannare all'ergastolo Matteo Messina Denaro per la strage di Capaci. "Cosa voglio dire - ha detto - quando faccio il parallelo con gli anni '70 e '80? Che se ancor oggi un superlatitante si può permettere di curarsi in una frequentatissima clinica palermitana, di andare tranquillamente al bar, in ospedale, al ristorante, farsi i selfie e tutto quello che ha a che vedere con la vita di tutti noi di ogni giorno, c'è da fare una riflessione per dire che no, non è affatto finita, la lotta contro la mafia".
Il procuratore generale ha rimarcato le parole del procuratore di Palermo, Maurizio De Lucia, che ha parlato di "una fetta di borghesia" che ha coperto Messina Denaro e la sua latitanza: "La sfida non è finita perché c'è un mondo, anche imprenditoriale, colluso e interessato agli affari, al Pnrr, all'eolico e al dark web. Chi ha enormi disponibilità di denaro, come Cosa Nostra, può influenzare ed essere agevolato da questo mondo border line". Come procuratore generale, Lia Sava guarda l'intero distretto di Corte d'appello: non solo Palermo dunque, ma anche Agrigento e Trapani: "Se leggo i dati e tutto quello che emerge, in preparazione dell'inaugurazione dell'anno giudiziario - ha detto il magistrato - devo rilevare purtroppo che in queste tre province, soprattutto nell'Agrigentino e nel Trapanese, una parte consistente, certe aree in particolare, devono ancora essere disinfettate dal virus mafioso. La soluzione non è solo repressiva e giudiziaria: sarebbe dare lavoro e prospettive a tutti. Lo abbiamo visto già con il Covid: nel periodo del lockdown, con la povertà che si diffondeva, le organizzazioni criminali hanno pensato anche al pacco di pasta per chi non aveva nemmeno quello. Se noi, come Stato, vogliamo togliere la manovalanza a Cosa Nostra, dobbiamo agire sul piano sociale. Al tempo stesso, sul piano investigativo, non ci devono spuntare le armi. Le intercettazioni, a questo proposito, sono fondamentali". Non solo per la lotta alla mafia in sé: "Sono decisive per venire a capo delle collusioni e delle interazioni tra Cosa Nostra e la pubblica amministrazione. Possono darci - ha insistito Lia Sava - una via per la lettura di certi rapporti che e' fondamentale, in chiave di sfruttamento di risorse economiche". Chi comanderà adesso, in provincia di Trapani, nella attivissima - dal punto di vista criminale - zona in cui Messina Denaro era il dominus incontrastato? "Quanto al futuro - ha detto ancora all'Agi il Pg di Palermo - Cosa Nostra è una organizzazione di regole e la sostituzione dei capi risponde alle regole: l'importante è che noi non ci fermiamo, come non si fermerà l'organizzazione, che andrà avanti anche senza Matteo Messina Denaro. Una volta il rischio era che si dicesse che la mafia non esisteva; questo avveniva negli anni Settanta e Ottanta, oggi il rischio è l'inverso, è dire cioè: l'abbiamo sconfitta, non c'è più bisogno di combatterla. Invece - ha continuato - bisogna che si vinca la guerra, dopo avere vinto questa battaglia fondamentale. La gente paga ancora le estorsioni, ci sono una convivenza e una connivenza che perdurano. Ciò che vorrebbero i mafiosi è dire che è finita". E invece non lo è: "Ad Agrigento c'è una grande disponibilità di armi, a Trapani continue interlocuzioni tra la borghesia mafiosa e la mafia. I boss cercano in tutti i modi di fare da mediatori nei rapporti di vicinato, nelle liti tra confinanti e questo avviene pure in provincia e nella città di Palermo: la mafia si insinua dappertutto e noi ancora non l'abbiamo sconfitta".

Fonte: Agi

Foto © Deb Photo

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