Il libro di Lirio Abbate in uscita con L’Espresso e Repubblica
Giusy, Rosa, Simona, Elvira, Maria Concetta. Sono nomi di donne di diversa età e provenienza ma che condividono un dramma comune e una lotta comune: quella contro i loro parenti e compagni ‘ndranghetisti. Storie difficili le loro, di grande sofferenza e solitudine, che il giornalista e scrittore Lirio Abbate ha raccolto in un libro dal titolo “Fimmine ribelli” da oggi in uscita per due mesi con Repubblica e L’Espresso. Un racconto dei vissuti di giovani donne, forti e coraggiose, che hanno trovato la forza di ribellarsi e denunciare quelli che un tempo erano loro cari minando dall’interno il loro mondo di prepotenza e omertà e restituendo a loro stesse e a tante altre come loro il diritto alla libertà di vita, d’amore, di carriera. Insomma restituendo a loro stesse la libertà di poter scegliere il proprio destino. “Madri, mogli, sorelle schiacciate da leggi arcaiche e retrive che fanno pagare il tradimento con la vita. Perché ancora oggi ci sono vittime di una brutalità antica che ha cambiato volto ma resta atavica nella sua ferocia atavica: il delitto d’onore. Nel ventunesimo secolo, come nel remoto Afghanistan dei talebani, anche in Calabria resiste ancora il codice che punisce con la morte il tradimento femminile”, scrive Lirio Abbate. “Se io non cambio strada e non li porto con me, quando uscirò il bambino potrebbe già essere in un carcere minorile e comunque gli metteranno al più presto una pistola in mano; le due bimbe invece dovranno sposare due uomini di ‘Ndrangheta e saranno costrette a seguirli”, dice Giusy Pesce, figlia e nipote dei mammasantissima di Rosarno e madre di tre figli, il primo avuto in giovanissima età tra solitudine e botte del marito a lei promesso sposo prima che compiesse 18 anni. “Mio padre ha due cuori, la figlia e l’onore. In questo momento dice che vuole la figlia, però dentro di lui c’è anche quell’altro fatto”, afferma Maria Concetta Cacciola (30 anni) anche lei madre di tre figli, condannata a morte dalla sua famiglia per aver tradito il marito.
E se non possono più avere le figlie ribelli provano a tenersi i nipoti, a ricattarle portandogli via quello che più conta per loro. È stato così per Rosa, per Simona, persino per Elvira Muborakshina, giovane russa finita nella rete del clan Pesce dopo aver conosciuto a Milano un loro emissario.
L’auspicio è che sia proprio il coraggio di queste “fimmine ribelli” a salvare la Calabria dalla ‘Ndrangheta. “Ognuno deve avere una seconda possibilità scegliere di cambiare è un dovere. Essere ‘ndranghetisti non conviene”, scrivono Annarita Molè e Roberta Bellocco, 17 anni, figlie di due boss, il primo ucciso, l’altro detenuto, vincitrici di un concorso a scuola sulla legalità. Un monito, il loro, che lascia ben sperare.
Fonte: La Repubblica