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di AMDuemila
Dagli anni ’90 la ‘ndrangheta è insediata nel veronese. E’ questo ciò che è emerso nel corso dell'inchiesta 'Isola Scaligera' coordinata dalla Pm di Venezia Lucia D'Alessandro durata quasi tre anni sul clan a Sona (Verona) guidato dal boss Antonio 'Totareddu' Giardino che ieri ha portato a 26 arresti. Dalle indagini si è scoperto che il clan agiva sì come tramite per riciclare il denaro che giungeva dalla Calabria - con partecipazioni, riciclaggio, l'usura anche in modo violento - ma era autonomo.
Oltre alla classica attività di indagine, la polizia è entrata nelle maglie dell'organizzazione, fatta a rete, che si allargava su più attività del settore pubblico e privato o legate tra loro, come la gestione dei rifiuti attraverso il controllo del territorio, e le dichiarazioni di collaboratori di giustizia. Come detto da Francesco Messina, dell'anticrimine, "la 'Ndrina veronese aveva costruito una serie di rapporti stretti in un gioco 'do ut des' tale da controllare le più svariate attività del territorio, forte di licenze e permessi contrattati anche con pubblici funzionari". Il modo classico era quello di dare denaro chiedendone la restituzione maggiorata, con l'impresa che riciclava soldi illeciti, e scaricare la fattura eludendo il fisco mentre l'azienda erogatrice, nel frattempo, spariva. A 'Totareddu' l'ordinanza restrittiva è stata notificata in carcere, da dove gestiva l'attività. L'inchiesta è sbarcata a Verona dopo analoghe operazioni in Lombardia ed Emilia.
Significative le parole del procuratore di Venezia Bruno Cherchi. L’indagine tocca per la prima volta Verona, dopo Padova e la zona del Veneto orientale, che dimostra la presenza strutturata della criminalità organizzata in Veneto e nello specifico la 'Ndrangheta della cosca Arena-Nicoscia di Isola Capo Rizzuto, con capo la famiglia Giardino". "Ancora una volta abbiamo potuto evidenziare - ha proseguito Cherchi - che la 'Ndrangheta ha valorizzato dei rapporti diversi dalla casa madre con imprese fittizie che riciclavano denaro coinvolgendo imprenditori specie edili e uomini della Pubblica amministrazione compiacenti, creando fondi cassa che poi venivano utilizzati per le più svariate attività criminali a cominciare dallo spaccio di stupefacenti. Quanto accaduto nel Veronese - ha concluso - conferma quanto accaduto in altri luoghi del Veneto ed è preoccupante".

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