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brusca giovanni 850di Fabrizio Assandri
In una auditorium affollatissimo, ha parlato l’investigatore della squadra mobile di Palermo che ha fatto parte della sezione che ha arrestato Brusca, Provenzano e i Lo Piccolo. Ora gira le scuole per promuovere la cultura della legalità

Anche un ragazzo può combattere la mafia. Studiando, preparandosi, imparando le lingue. «Solo se diventate cittadini consapevoli, aggiornati, capaci, sarete voi a fare “il governo del cambiamento”». I.M.D. parla agli studenti del liceo scientifico Cattaneo, in un auditorium affollatissimo. Per ragioni di sicurezza la sua identità si cela dietro uno pseudonimo e durante l’incontro non si possono scattare foto. «Quando ho messo le manette ai polsi di Giovanni Brusca è stata l’emozione più grande della mia vita dopo veder nascere i miei figli. Eppure quando ho deciso di entrare in polizia avevo la vostra età». I.M.D. insiste: «Chi dice che i diciottenni non possono fare niente non sa di cosa parla».

La barba lunga, al collo una pashmina, i pantaloni verde militare. Il poliziotto-scrittore, o “sbirro”, come si definisce lui, è un investigatore della squadra mobile di Palermo e ha fatto parte della sezione “Catturandi” che oltre a Brusca ha arrestato boss del calibro di Bernardo Provenzano e Salvatore e Sandro Lo Piccolo. Ora si occupa di criminalità organizzata straniera. È autore di romanzi e saggi e ha fondato l’associazione “100x100 in movimento”, che fa parte della Rete 100 Passi. Gira le scuole per promuovere la cultura della legalità, a Torino era già stato al liceo classico Cavour, alla media Alvaro Modigliani, alla media dell’Istituto Maria Ausiliatrice. Al Cattaneo è stato invitato dal docente Gabriele Maschietti e dal preside Giorgio Pidello.

Dall’infanzia a Palermo, i giochi in balcone interrotti dai colpi di kalashnikov in strada e il padre che lo faceva correre in casa e tirava giù le tapparelle, alle uscite con la scorta con la prima fidanzatina, figlia del capo della squadra mobile. Sono alcuni degli episodi della sua adolescenza che lo hanno spinto a entrare in polizia, come l’incontro con Borsellino, che era andato a parlare a degli studenti pochi giorni prima di saltare in aria. «La “catturandi” ha arrestato i trenta latitanti palermitani più pericolosi della vecchia mafia. Abbiamo una delle migliori polizie del mondo forse perché dove nasce il male nascono anche gli anticorpi». I.M.D. ha invitato gli studenti a fare la loro parte. Ad esempio non rifiutando la politica e non cedendo al qualunquismo. «La politica viene spesso vista come collusa, ma è una delle cose più belle che possa esserci. Entrate in politica, candidatevi anche a scuola come rappresentanti».

Altri modi di fare la propria parte nella lotta alla mafia sono il rispetto del bene comune, fare il proprio lavoro con coscienza, combattere le regole che non si condividono, ma nel frattempo rispettarle, su tutti i temi droghe leggere comprese. Insomma, «non bisogna pensare di essere più furbi degli altri. Anche il panificatore che usa solo farine certificate e non quelle di dubbia provenienza sta combattendo le mafie, come pure l’ingegnere che pianifica la gestione dell’immigrazione». A questo proposito, I.M.D. ha detto che sbaglia chi considera l’immigrazione un problema: «È un fenomeno, e come tale va gestito. L’allarmismo non è giustificato dai numeri, non bisogna lavorare sull’emergenza, ma pianificare». Dalle mafie sommerse al timore del ritorno delle stragi, sono tante le domande fatte dagli studenti. L’incontro si è concluso con la promessa di I.M.D. a due classi, che andranno in gita scolastica a Palermo: «Vi porterò all’ufficio scorte, e vi parleremo dei colleghi che sono stati uccisi per difendere lo Stato».

lastampa.it

In foto: l’arresto di Giovanni Brusca nel 1996

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