La serie su Canale 5. Taodue ha il grande merito di continuare a rinverdire quella stagione in cui il nostro cinema provava a raccontare misteri e storture del nostro Paese
di Aldo Grasso
Azzardo: uno dei motivi della crisi del cinema italiano è questo. Che un film bello come «A testa alta, Libero Grassi» non lo trovi più nelle sale. E spero che il ministro Franceschini abbia ben presente la cosa e la smetta di imporre ai network di trasmettere la robaccia che nessuno va più a vedere. Taodue ha avuto il grande merito di continuare a rinverdire quella stagione in cui il nostro cinema provava a raccontare misteri e storture del nostro Paese e, con grande perizia, lo fa ancora oggi con quattro film «civili» che ripercorrono la biografia di Grassi, Mario Francese, Emanuela Loi, Renata Fonte (Canale 5, domenica, ore 21,30). Scritto da Pietro Valsecchi e Graziano Diana, diretto dallo stesso Diana, «A testa alta, Libero Grassi» racconta la storia tragica di un imprenditore che rivendicava «semplicemente» il diritto di gestire la sua azienda di biancheria intima, la Sigma, senza dover pagare pedaggio alla mafia, come all’epoca faceva la stragrande maggioranza degli imprenditori e commercianti di Palermo e della Sicilia.
La sua morte sollevò il velo anche sull’omertà e l’acquiescenza che permeava la stessa associazione degli industriali di Palermo. Uno degli aspetti più interessanti del film, peraltro interpretato da uno strepitoso Giorgio Tirabassi, ben affiancato da Michela Cescon, nel ruolo della moglie Pina, è la fiducia che l’imprenditore aveva nella comunicazione: «Credo nella comunicazione, nei mass media». E lo rivediamo a «Samarcanda», ospite di Michele Santoro su Rai3, dove afferma: «Io non sono pazzo, non mi piace pagare, è una rinunzia alla mia di dignità d’imprenditore». Purtroppo, la visibilità e la successiva notorietà gli furono fatali. Pochi mesi dopo l’intervista, la mattina del 29 agosto 1991, Libero Grassi fu ucciso a colpi di pistola a Palermo da uomini del clan Madonia. E c’è chi parla di crisi del cinema. Il cinema è altrove.
corriere.it
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