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cavalli-giulio-web1di Giulio Cavalli - 30 gennaio 2015
Alla fine il testimone di giustizia Ignazio Cutrò ha dovuto chiudere la propria attività: niente clienti, troppa burocrazia e un isolamento che uccide più di un bel colpo di pistola. Dopo avere denunciato i propri estorsori a Bivona Ignazio ha cominciato a percorrere il lungo tunnel del programma di protezione riservato ai testimoni di giustizia contribuendo con le proprie denunce all’operazione “Face Off” nella quale vengono arrestati i fratelli Luigi, Marcello e Maurizio Panepinto e che porta nel gennaio 2011 ad un totale di 66 anni e mezzo di carcere. Ignazio è un siciliano lavoratore, con le mani grosse e l’ostinazione di chi ama il proprio lavoro e la propria famiglia come un personaggio verghiano, aveva promesso al padre di curare l’azienda edile che aveva ricevuto in eredità e ha deciso dopo le denunce di non trasferirsi sotto falso nome in qualche angolo d’Italia ma di rimanere lì, a Bivona, in Sicilia, a casa sua, per dimostrare che la mafia non solo non deve fare paura ma che può essere sconfitta nel proprio territorio. E invece si è sbagliato, Ignazio: questo Paese è sempre pronto a celebrare le vittime di mafia prêt-à-porter ma è incapace di rassicurare i propri cittadini più esposti, lasciandoli soli a scontrarsi con l’inumanità di leggi che non vengono mai rispettate. In un Paese normale il fallimento di Ignazio Cutrò dovrebbe essere un fallimento di Stato, iniziare una ridda di richieste di chiarimenti, sollevare un’indignazione corale e invece rimane una notizia breve in qualche sito locale o specializzato (perché è una specializzazione l’antimafia qui in Italia, mica un dovere costituzionale, si vede); conosco Ignazio da anni e ho avuto modo con lui di assistere a tutti i passaggi della fondazione dell’Associazione dei Testimoni di giustizia di cui è Presidente ma questa volta non ho trovato il coraggio di chiamarlo, no, non saprei cosa dirgli, non saprei nemmeno rassicurarlo o fingere di potere fare qualcosa in questa Italietta che si riduce al massimo all’antimafia per cognome e continua tranquillamente a collezionare “scarti sociali” che non riesce a proteggere. Abbiamo perso tutti, ancora una volta, ma non abbiamo più nemmeno il vocabolario per scoraggiarsi, si vede.

cavalli.blogautore.espresso.repubblica.it

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