di Beatrice Borromeo - 25 gennaio 2015
Ventinove stanze, arcate di marmo, soffitti a cassettoni e un parco da sessantamila metri quadri: per sposarsi nel fiabesco Castello di Miasino, con la sua vista sul lago d’Orta e l’intero piano terra adibito a salone da pranzo, c’è la lista d’attesa. “Giugno? Intende del 2016, vero?”, risponde il responsabile quando chiedi la disponibilità dell’immobile ottocentesco in provincia di Novara, stimato quasi cinque milioni di euro. Per un solo pomeriggio a spasso tra rododendri, azalee, prato inglese e le magnifiche sale da ballo volute dai marchesi Solaroni, si pagano oltre tremila euro.
Ma a chi vanno questi soldi? Il castello è infatti uno degli oltre diecimila immobili confiscati in via definitiva ai mafiosi e tuttavia ancora in mano ai criminali o ai loro parenti. In questo caso a occuparsene (e dunque a incassare) è Grazia Ca-lise, moglie del camorrista Pasquale Galasso, che negli anni Ottanta diventa noto per le sue affiliazioni e per il gusto particolare (in una delle sue ville è stato trovato pure un trono dei Borbone). La signora ha preferito ignorare sia le condanne sia l’ordinanza di sgombero del 2011, continuando a organizzare battesimi, compleanni, e persino incontri pubblici voluti dai Comuni limitrofi.
“A Torino ci siamo resi conto che gente indagata continuava ad abitare in case sequestrate anni prima – spiega Antonio Patrono, procuratore aggiunto della Direzione nazionale antimafia –. Quindi abbiamo chiesto alla Dia di indagare anche nel resto d’Italia ed è emerso che non si tratta affatto di casi isolati”.
Qualche numero: sappiamo che oltre 1.300 immobili sui 10 mila confiscati in via definitiva risultano ancora occupati (dai mafiosi o dalle loro famiglie). Ma c’è un dato ancora più allarmante: su (quasi) tutti gli altri – per la precisione 8.500 beni – “non si dispone di elementi certi”, e dunque “non si può escludere l’occupazione”, come scrive la Direzione investigativa antimafia nel suo rapporto.
Questo monitoraggio ha spinto il procuratore generale di Torino Marcello Maddalena a usare parole durissime, ieri, nella relazione per l’inaugurazione dell’anno giudiziario: “L’impressione che se ne ricava è quella di un sistema allo sbando, che frana da tutte le parti”, dato che “riuscire a ripristinare la legalità (…) anche laddove le responsabilità sono state accertate addirittura con decisioni passate in giudicato (…) è quasi impossibile”.
E pensare che nel 2009, proprio per combattere l’inefficienza dell’Agenzia del demanio, era nato un organismo col compito specifico di amministrare i beni confiscati, assegnandoli a enti pubblici (per trasformarli in caserme o cooperative) o battendoli all’asta, così da versare nelle casse dello Stato milioni di euro.
Ci ha provato prima il prefetto Giuseppe Caruso, che ha lasciato l’Agenzia nazionale per l’amministrazione e gestione dei beni confiscati – la cui sede principale è a Reggio Calabria – ammettendo: “Non ho le forze”. Poi il governo Renzi, su proposta di Angelino Alfano, ha nominato Umberto Postiglione, già prefetto di Palermo. A proposito: la Sicilia è la regione italiana “dai dati più incompleti”: su 2.266 beni confiscati, 536 sono occupati (da chi non è dato sapere) mentre sul resto – annota la Dia – “non si ha cognizione della esatta situazione in atto”.
Lo scandalo è così diffuso da far ipotizzare, più che casi di corruzione, una mala gestione sistemica . Patrono parla di “disfunzione dovuta a un ente che non va” e che non è controllato da nessuno, se non dal ministero degli Interni: “Non posso escludere altre responsabilità né connivenze, ma il problema è così massiccio da suggerire, nella maggioranza dei casi, una profonda incapacità gestionale. Con tutta la fatica che facciamo per recuperare questi beni è inaccettabile che tornino così facilmente ai mafiosi”.
Anche perché, diceva ieri Maddalena, “un boss senza patrimonio non è più un boss, non conta più. Un boss in carcere continua invece a contare, eccome”. Ma a rottamare per davvero i padrini non ci ha ancora provato nessuno.
Tratto da: Il Fatto Quotidiano del 25 gennaio 2015
I beni mafiosi? Ai mafiosi. Il buco nero delle confische
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