da Enza Galluccio
Vincenzo Calcara ha sempre parlato. Per molto tempo ha raccontato la sua storia di uomo di mafia “riservato”, considerato un killer di alta precisione obbligato ad allenarsi tutti i giorni. I suoi colpi centravano sempre l’obiettivo senza possibilità di scampo, però sostiene di aver compiuto un unico omicidio perché il secondo … sarebbe dovuto essere quello di Paolo Borsellino. Ma a quel punto, Vincenzo decide di fermarsi.
Al servizio della famiglia mafiosa di Castelvetrano sotto la guida di Francesco Messina Denaro, Calcara si è occupato per lungo tempo del traffico di droga e sembra essere tra i più informati sulle relazioni tra Vaticano, massoneria e Cosa Nostra.
Dice di aver ancora molte cose da svelare e dimostra di essere a conoscenza di particolari che, negli anni, sono stati confermati dalle dichiarazioni di altri pentiti e collaboratori.
In particolare nelle ultime settimane ha fatto sentire più volte la sua voce; chiede di essere ricevuto dal Papa per raccontare quel che sa su Emanuela Orlandi e insiste per essere ascoltato come testimone al processo Borsellino-quater.
È l’uomo che ha descritto in modo dettagliato l’esistenza delle cinque entità; le descrive come parti di un unico corpo reciprocamente dipendenti tra loro, che decidono il bene e il male del nostro Paese …
Parla con tono deciso, a volte sarcastico ed è molto arrabbiato.
"Io sono un libero cittadino e quando parlo metto la mia faccia, la mia vita. Non sono come certi falsi pentiti … no, pentito è una parola nobile mentre quelli sono collaboratori per convenienza. Non mi metto a confronto con loro. Io non ho mai ammazzato bambini, donne … Ha capito? Io sono un libero cittadino e quando mi viene voglia di tornare a Castelvetrano, ci vado a viso aperto. Sono sempre stato un ribelle, un uomo d’azione e lo sono anche adesso a 57 anni , ma ho trasformato le “cose del male” in bene, consegnandole alla legge. Non mi voglio vantare di queste cose, ma la verità è verità …"
Quale era il suo vero ruolo all’interno di Cosa Nostra?
Confermo che ero uno che sapeva sparare meglio degli altri, velocissimo e preciso, ma all’interno di Cosa nostra non facevo parte del gruppo di fuoco, ero un uomo d’onore riservato. In una famiglia ci possono essere decine e decine di uomini d’onore, ma ogni famiglia ha diritto ad avere anche i propri uomini riservati di cui gli altri non sanno nulla. Solo la commissione - cioè la cupola - è a conoscenza della loro esistenza. Questi uomini vengono usati nelle cose più importanti e segrete. A capo della cupola c’erano Riina, Provenzano … Io facevo parte della famiglia di Castelvetrano di Francesco Messina Denaro, che era il mio capo assoluto e ha ritenuto che io dovessi essere un suo uomo riservato; quindi, venivo usato per le azioni più importanti come l’omicidio di Borsellino.
… Ed è stato proprio lei a cercare Paolo Borsellino e a rivelargli di aver ricevuto l’incarico di ucciderlo. Per questo la definirei un’anomalia in quel sistema … È andata così?
Io sono stato condannato per la morte di Francesco Tilotta e anche se mi sono sempre dichiarato innocente, devo ammettere che ho concorso in quell’omicidio, ma non l’ho ucciso io.
Io ho ucciso una sola volta perché ho dovuto. Mi era stato ordinato di sparare.
Al processo sono stato assolto in primo grado per insufficienza di prove, mentre in appello vengo condannato a 15 anni. Nel periodo che è intercorso tra il giudizio di appello e la Cassazione rimango a piede libero. Siamo nell’80 … ’81, su decisione di Cosa nostra e di altre entità inizio a lavorare dentro la dogana dell’aeroporto di Linate con l’incarico di controllare il traffico di droga, morfina base e altro. A prova di questo ci sono i riscontri dei contributi versati all’Inps. Tra settembre e ottobre del ’91, quando Borsellino viene trasferito a Marsala, mi viene assegnato l’incarico di ucciderlo. Francesco Messina Denaro lo chiamava “Borsalino” e diceva “di lui non devono rimanere neanche le idee”. A quel tempo io odiavo quel magistrato, per me era uno “sbirro”, inoltre cercavo di farmi strada all’interno di Cosa nostra ed ero orgoglioso di quell’incarico. Ma quando zio Ciccio [Francesco Messina Denaro- n.d.a.] mi dice che dopo quell’omicidio diventavo un latitante e per questo dovevo trasferirmi in Australia, per essere più tranquillo, capisco l’inganno. In quell’occasione dice anche che, prima, dovevo andare a trovare la persona che mi aveva accolto in casa quando lavoravo a Milano. Io sapevo di aver fatto uno sgarro molto grave nei confronti di quell’uomo e, secondo le regole di Cosa nostra, mi attendeva una condanna a morte. A quel punto, senza far prevalere il sentimento sulla ragione, sono stato più bravo di loro. Pur avendo capito che mi avrebbero ammazzato, non ho lasciato trasparire alcuna emozione. Nei giorni seguenti, anziché andare personalmente a trovare quella persona, ho mandato un mio parente con una scusa e dopo una decina di giorni, verso il 5 novembre, mi fanno una bella spiata, quindi, sono stato arrestato.
Lì ho capito che era arrivato il momento della mia condanna a morte, perché si sa che in carcere si muore facilmente … O con un finto suicidio o con una pillola che ti fa venire l’infarto … Queste cose io le sapevo. Così, dentro di me c’è stata una lunga introspezione; ho analizzato tutto ciò che è stata la mia vita e mi si sono aperti gli occhi. Allora ho ripensato a quel magistrato, Paolo Borsellino. Decido di salvare la sua vita informandolo delle intenzioni di Cosa nostra, di conseguenza lui diventa la mia ancora di salvezza.
Che cosa sono e chi fa parte delle cinque entità ? In che cosa consiste l’idea madre di cui parla?
Esistono cinque cupole, commissioni in italiano. Sono Cosa nostra, la ‘Ndrangheta, la massoneria, lo Stato italiano … cioè i servizi segreti deviati e il Vaticano. Se non si scende a patti con la massoneria non si può fare nulla, però non si deve generalizzare. Anche io sono stato un massone, deviato ovviamente. Nella massoneria ci sono degli ideali bellissimi come la fratellanza, che io rispetto, ma nel cuore della massoneria, di questa massoneria autorizzata dallo Stato, c’è una parte maligna, deviata. Essa forma un’entità, una cupola come quella di Cosa nostra.
Anche all’interno dello Stato italiano ci sono cose nobili che si tramandano da secoli, così come c’è uno Stato dentro lo Stato. I servizi segreti italiani servono a proteggere lo Stato e i suoi cittadini, ma anche nel cuore di questi servizi puliti c’è una parte malvagia che forma una sua entità in grado di manipolare e manovrare la parte pulita. Gli uomini che ne fanno parte sono estremamente potenti e agli occhi dei loro colleghi si trasformano in modo da sembrare ancora più puliti di loro. Anche per questo hanno un potere enorme. Se qualcuno intuisce qualcosa soccombe perché non riesce a reagire; quindi rimane soffocato, sopraffatto. La stessa cosa succede all’interno del Vaticano.
L’insieme delle cinque entità forma una super commissione nazionale dove si decide tutto … Vita, morte e miracoli. Queste entità, è come se fossero parti di un corpo umano; chi è il braccio, chi la testa, chi il cuore … In comune hanno principalmente la necessità di sopravvivere; poi hanno interessi su tutto, economici, di potere e comando. È una cosa sublime.
L’antica Roma era potente non per il suo imperatore, ma per l’idea stessa di Roma … A me viene spiegato in questo modo “Vincenzo, noi siamo più forti dell’antica Roma, della sua idea sublime … siamo indistruttibili” L’idea madre è la super commissione ed è una cosa molto potente. Roma alla fine è stata distrutta perché non si è più creduto alla sua idea come si doveva … mentre l’idea di Cosa nostra, di quest’entità sono molto più forti.
Al di sopra di queste entità da lei descritte, c’è un’ulteriore cupola che decide?
Automaticamente, si parla a livello internazionale. Mi fermo qua, non so più niente.
Ora lei chiede di essere sentito al processo Borsellino-quater. Vuole un confronto con Brusca, che cosa si aspetta?
Confronto? Io sono stato il primo a parlare di queste cose, poi per molti anni mi sono dovuto fermare perché non c’erano conferme alle mie parole. Ora, altri personaggi, collaboratori, anche uomini politici cominciano ad avvallare le mie dichiarazioni. Prima cercavano di distruggermi, di togliermi credibilità, ora non sono più da solo. Per questo non vedo l’ora di andare al Borsellino-quater, per distruggere quel traditore di Brusca, che si è fermato solo al “vassoietto” del processo Andreotti e di Albano …
Sembra fantascienza, ma le cose che ho detto vengono confermate anche dalla seconda carica dello Stato, Piero Grasso. Questo mi ha fatto molta rabbia, perché non si può confermare una cosa così, dopo il silenzio di tutto questo tempo.
Non si può immaginare cosa ho passato in questi vent’anni … Ma sorrido in faccia alla morte.
Ben venga la morte perché io ho fatto una scelta reale. Finché ho creduto in queste entità ero pronto a morire per esse, ma dal momento in cui ho smesso di credere le ho combattute e ancor di più sono pronto a morire per quei nobili motivi, per quegli ideali di verità e giustizia che mi ha trasmesso Paolo Borsellino. Mi creda.
Intervista realizzata in data 1/7/2014 da Enza Galluccio - autrice di libri sulle MAFIE e sulle relazioni tra Stato e criminalità organizzata