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carabinieri-elicotteroIl retroscena emerge dalle motivazioni della sentenza di condanna per l’operazione “Spiga” dei carabinieri
di Giulio Gavino Ventimiglia - 2 Settembre 2013
La denuncia di un panettiere marocchino vittima di usura ha messo in ginocchio i boss della ’ndrangheta calabrese del Ponente. Sono le motivazioni della sentenza del processo «Spiga», sette condanne per 27 anni di reclusione, a svelare nuovi retroscena delle ultime attività del Nucleo Investigativo dei carabinieri di Imperia. «Le intercettazioni immediatamente attivate - scrive il giudice Anna Bonsignorio - oltre ad offrire piena conferma dei fatti denunciati (per l’usura ndr.) rivelavano l’esistenza di un complesso quadro di attività illecite sul territorio di Ventimiglia rivolte a traffici di stupefacenti ed armi, che imponevano la trasmissione degli atti per competenza alla DDA. da cui l’origine dell’operazione “La Svolta”». Ma non solo. Sempre in quel 2009, dalle intercettazioni dei carabinieri, emergono dettagli che porteranno all’inchiesta sul presidente dei tribunali di Sanremo e Imperia, Gianfranco Boccalatte, arrestato per corruzione in atti giudiziari (e per questo condannato in primo grado a tre anni).
Il personaggio chiave si chiama Filippo Spirlì, 40 anni, detto «Baiocco», condannato nel processo «Spiga» a sei anni e sei mesi per prestito ad usura, tentata estorsione e spaccio di cocaina. Di lui scrive il giudice: «Appare responsabile di condotte sintomatiche di capacità a delinquere decisamente elevata ed esplicata in più settori». «Condotte criminose gravi e allarmanti» che non l’avevano però messo al riparo da una microspia che i carabinieri del Nucleo Investigativo erano riusciti a piazzare sulla sua Mercedes.

Per la Direzione distrettuale antimafia di Genova Spirlì non c’entra nulla con il «locale» della ’ndrangheta di Ventimiglia e Vallecrosia guidato da Giuseppe Marcianò o con quello di Bordighera in capo ai Pellegrino-Barilaro (per entrambi gli scenari investigativi l’udienza preliminare è fissata a fine mese). Ma le indagini hanno determinato punti di collegamento. Lo spaccio di cocaina, ad esempio, da Spirlì al figlio di Marcianò, Vincenzo, ritenuto affiliato alla ’ndrangheta. E poi c’è la vicenda della soppressata calabrese «ripiena» di droga, hashish e cocaina, che la moglie di Spirlì Angela Versace aveva preparato per farla recapitare al marito detenuto. È ancora una microspia a svelare «l’interessamento di un imputato per introdurre in carcere stupefacente destinato all’amico (Spirlì ndr.) con la collaborazione dei familiari». L’intercettazione racconta di «modalità escogitate con la droga nascosta dentro il cibo con la complicità di qualcuno all’interno del carcere».

In merito allo spaccio di stupefacenti, di cocaina, è emerso anche una «gestione/baratto» dello spaccio al dettaglio. Spirlì in pratica «vende» la droga al proprio meccanico in cambio di una coppia di collaudi per l’automobile. In un’altra occasione si accorda con una donna per un rapporto sessuale per una «striscia».

lastampa.it

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