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'Ndrangheta - cinque «picciotti» sguinzagliati in tutta la Brianza
di Marco Mologni - 15 giugno 2012
Era agli arresti domiciliari, ma dalla sua villa continuava i suoi affari e il traffico di droga
Milano. «Mi manda Compare Turì». Ufficialmente Salvatore Mancuso era agli arresti domiciliari. In realtà l’ultimo discendente dei Mancuso, la «cosca maggiore» di Limbadi (Vibo Valentia), con affari radicati in Lombardia e in particolare in Brianza, continuava a dirigere una intensa attività malavitosa dalla sua villa a Giussano. Una fitta tela di ragno fatta di estorsioni, furti, ricettazioni, traffico di droga che il boss 45enne tesseva servendosi di «picciotti» che seminavano il terrore tra commercialisti, commercianti, imprenditori. Senza neppure uscire di casa. Bastava che i suoi «uomini di fiducia» facessero il suo nome. E i malcapitati non dormivano più la notte, accettando di pagare e subendo furti e soprusi senza fiatare.

Giovedì i carabinieri di Desio hanno posto fine a questa attività criminale. Le indagini, iniziate nel novembre 2011 e coordinate dal pm del Tribunale di Monza, Donata Costa, hanno messo in luce che commercianti, imprenditori e liberi professionisti erano costretti a elargire somme di denaro, beni e prestazioni professionali ai propri aguzzini, accusati anche di attività di spaccio tra Milano e Monza Brianza. Sono sei le ordinanze di custodia cautelare, emesse dal gip di Monza Anna Magelli. In manette oltre a Salvatore Mancuso sono finiti Antonio Robertone di Muggiò, Massimiliano Rossetti di Gorgonzola, Giuseppe Andolina di Lissone, Antonino Crisafulli di Vignate e Giovanbattista Sorbara di Fano.

Sono accusati di estorsione aggravata continuata, tentata estorsione, detenzione ai fini di spaccio di sostanze stupefacenti, furto aggravato e ricettazione. Nel corso dell’operazione, nome in codice «Gateway», sono stati sequestrati due chili di cocaina purissima. Almeno tre i filoni dell’inchiesta: una commerciante che aveva acquistato un bar in via Pellegrino Rossi a Milano, intestato a una società della moglie di Mancuso, ai quali suoi «collaboratori» chiedevano non solo il pagamento delle cambiali, ma anche di altri 20mila euro. Le altre due vittime sono un commercialista di Brugherio, al quale non è stata pagata la parcella per gli «F24» di fatture false, e un mediatore di Cinisello Balsamo, incaricato di vendere la Edil Scavi di Paderno Dugnano, una impresa edile di proprietà della moglie di Antonio Tedesco, affiliato alla 'ndrangheta e coinvolto nell’operazione «Infinito»: la maxi inchiesta che ha portato all’arresto di 300 affiliati alla malavita in Lombardia.

Il principale business della cosca dei Mancuso era il traffico internazionale di stupefacenti, con un canale privilegiato con i cartelli colombiani. Nel 2006 in un garage di Seregno i carabinieri scoprono un arsenale: fucili a canne mozze, pistole e mitra kalashnikov forse utilizzati anche per uccidere Rocco Cristello, freddato a colpi di pistola davanti alla sua villetta a Verano Brianza. Il boss stava seguendo l’affare del cinema multisala Magic Movie Park da vendere all’imprenditore cinese Song Zhicai. Ma la vendita andò male e la 'ndrangheta perse 40 milioni di euro. A Paderno Dugnano aveva aperto una raffineria di droga dove i carabinieri scoprono 66 chili di droga e una vera e propria zecca per stampare denaro falso, con 40mila euro fasulli. Salvatore Mancuso è figlio di Francesco «Ciccio» Mancuso: il boss che risultò primo degli eletti al consiglio comunale di Limbadi nel 1983. Per questo il presidente della Repubblica Sandro Pertini lo sospese: primo Comune d’Italia sciolto per mafia.

Tratto da: milano.corriere.it

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