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22 aprile 2012
Roma. Dal novembre del 2003 al novembre del 2005, presso la direzione nazionale antimafia di Via Giulia a Roma, si svolsero tre colloqui investigativi tra magistrati e un commercialista con precedenti penali che sosteneva di essere in contatto con il boss Bernardo Provenzano, il quale avrebbe voluto trattare per consegnarsi in cambio di due milioni di euro e di un mese di silenzio sul suo arresto, periodo nel quale il boss sarebbe stato disponibile a collaborare con gli inquirenti. Lo scrive, oggi, l'Unità. Il primo incontro tra il faccendiere, già informatore della polizia giudiziaria portato a Via Giulia dalla Gdf, e l'allora capo della Dna Pierluigi Vigna insieme ai sostituti Vincenzo Macrì e Alberto Cisterna - scrive il quotidiano - avvenne nel novembre 2003. Il commercialista disse di non voler parlare con magistrati palermitani e indicò le condizioni dettate da Provenzano. Il secondo incontro, sempre a Via Giulia, avvenne - riporta ancora L'Unità - nel luglio 2004 e l'informatore ribadì le richieste di denaro e segretezza. Nell'agosto 2005, Vigna andò in pensione, per cui il terzo e ultimo incontro avvenne nel novembre del 2005: a condurlo fu Pietro Grasso, nuovo 'capò della Dna, che chiese al faccendiere di fornire una prova biologica sul boss latitante da poter comparare con il Dna di Provenzano già in possesso degli investigatori. La richiesta cadde nel vuoto. Secondo Grasso, il faccendiere «era più un truffatore che altro», scrive l'Unità, mentre per Macrì l'uomo era credibile. Nel marzo 2006, la 'primula rossà di Cosa Nostra venne arrestata dalla polizia. Il Procuratore di Palermo Giuseppe Pignatone in una recente intervista all'Espresso - riporta sempre l'Unità - ha detto che, semmai fosse esistito un «patto» per prendere Provenzano, con tutta evidenza «sarebbe stato serenamente violato da chi ha condotto le indagini che hanno portato alla cattura del boss».

ANSA

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