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6 dicembre 2011
Palermo. Sarebbero numerose le contraddizioni emerse tra le dichiarazioni rese tra ieri e oggi dagli ex ministri dell'Interno Vincenzo Scotti e Nicola Mancino. È quanto emerge alla fine dell'audizione dell'ex presidente del Senato Nicola Mancino davanti ai magistrati della Dda di Palermo che indagano sulla presunta trattativa tra lo Stato e Cosa nostra dopo le stragi del '92. Sono diversi i punti, secondo quanto si apprende, che non collimano tra i racconti fatti dai due politici che hanno ricoperto la carica di capo del Viminale a cavallo delle stragi del '92 in cui furono uccisi prima il giudice Giovanni Falcone e poi il giudice Paolo Borsellino. I magistrati che hanno interrogato Scotti e Mancino adesso stanno valutando le dichiarazioni rese in questi due giorni. In particolare a Mancino il procuratore Francesco Messineo, l'aggiunto Antonio Ingroia e il pm Nino Di Matteo, Lia Sava e Paolo Guido, hanno chiesto dei chiarimenti su due circostanze: la lettera che sarebbe stata inviata nel marzo del '93 dai famigliari di un gruppo di detenuti mafiosi sottoposti al regime del 41 bis all'allora Presidente della Repubblica Oscar Luigi Scalfaro. Nella lettera i famigliari tentarono di fare pesanti pressioni sull'allora Capo dello Stato in cui si chiedeva a Scalfaro di attenuare le «angherie», come venivano chiamate, nei confronti dei detenuti. Il contenuto della lettera, depositata agli atti dell'indagine, viene messa in relazione con la trattativa tra lo Stato e la mafia. Una delle richieste contenute nel cosiddetto 'papellò, cioè l'elenco delle richieste di Cosa nostra per fermare la strategia stragista, mirava proprio all'abolizione del 41 bis, cioè il regime del carcere duro. Alcuni mesi effettivamente l'allora Guardasigilli Giovanni Conso non rinnovò il regime carcerario duro nei confronti di alcune centinaia di detenuti. E Mancino in quel periodo era ministro dell'Interno.L'altro episodio riguarda proprio la mancata proroga del 41 bis di 370 mafiosi. Inoltre, nel 1992, poco prima della strage di Capaci, l'allora ministro dell'Interno Vincenzo Scotti lanciò l'allarme di possibili attentati contro esponenti politici, tra cui Carlo Vizzini e Calogero Mannino, oltre all'ex presidente del Consiglio Giulio Andreotti. Nonostante Vincenzo Scotti, ministro dell'Interno fino al 28 giugno del '92, avesse parlato di «elementi seri e concreti, l'allarme passò praticamente sotto silenzio. Adesso i magistrati tentano di fare chiarezza su alcuni 'buchi nerì. Tra questi l'improvvisa sostituzione dell'ex ministro Scotti, che fu spostato agli Esteri, con Nicola Mancino. Gli inquirenti non capiscono perchè in quel periodo l'allarme annunciato da Scotti cadde nel silenzio. È stato lo stesso Scotti, nell'interrogatorio di ieri, a lamentare l'improvviso cambio di dicastero. »All'improvviso mi ritrovai al ministero degli Esteri«, ha detto ieri Scotti ai pm. Sembra, ma sono al momento solo indiscrezioni, che Scotti sospetta che il cambio di ministero sia stato dovuto proprio per l'allarme lanciato qualche mese prima sui possibili attentati ai politici. Nelle prossime settimane i magistrati continueranno ad ascoltare altri pezzi delle istituzioni con incarichi ricoperti tra il '92 e il '93. uesta mattina hanno ascoltato per alcune ore l'ex direttore del Dap Adalberto Capriotti. Nei prossimi giorni sentiranno anche a Roma l'ex ministro della Giustizia Giovanni Conso, che nel '93 firmò l'abolizione del 41 bis per 370 mafiosi. Una decisione presa »autonomamente«, come ha detto lo stesso Conso già sentito l'anno scorso dai pm. Non è escluso che i magistrati alla fine iscriveranno nel registro degli indagati qualche ex politico con l'accusa di falsa testimonianza.

Adnkronos

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