Correva l’anno 2014…. per qualcuno anche quell’anno, così come i precedenti, si era trascinato a fatica: salari pagati con molti mesi di ritardo o non pagati affatto, sostituiti da acconti o somme irrisorie nella più totale precarietà lavorativa. Ricatti, estorsioni e fame per centinaia di operai extracomunitari e le loro famiglie, totalmente in balia dei propri datori di lavoro in molte aziende artigiane di lavorazione del porfido e pure in alcune aziende concessionarie gestite da soggetti oggi accusati di essere legati a potenti clan della ‘Ndrangheta calabrese.
Se gran parte delle comunità locali, primi gli amministratori comunali, si girano dall’altra parte, qualcuno però guarda in faccia la realtà e molti di questi operai incontrano così uno sguardo compassionevole, trovando un fattivo sostegno. Si tratta di una realtà feroce che proprio il 2 dicembre di quell’anno, da dimostrazione tangibile della sua ferocia con il sequestro e il selvaggio pestaggio di un operaio cinese in un cantiere della zona artigianale di Lases. L’episodio avrebbe dovuto risolversi in danno dello stesso operaio, denunciato dai suoi stessi assalitori, anche grazie a numerose complicità, prima fra tutte quella degli allora Carabinieri della Stazione di Albiano. Il loro coinvolgimento in quella vicenda gli è valso una richiesta di rinvio a giudizio, da parte della Procura della Repubblica di Trento, nel secondo troncone del processo “Perfido” che prenderà avvio il prossimo 14 marzo presso il Tribunale di Trento.
“L’Italia è una Repubblica democratica fondata sul lavoro”
art. 1 della Costituzione della Repubblica Italiana
Si apre oggi il processo d’appello nei confronti di 8 imputati, ritenuti colpevoli in primo grado, dei reati di “associazione a delinquere di stampo mafioso” (art. 110, 416 bis co.1, 2, 3, 4, 5 e 6 c.p.) e “sfruttamento di manodopera” (art. 603 bis co.1 n.2 c.p.).
Ricordiamo che il reato originariamente contestato era “riduzione in schiavitù” (art. 600 c.p.) e la sua riqualificazione è avvenuta sulla base degli accordi di conciliazione sottoscritti dai Sindacati confederali con le aziende gestite dagli imputati. Accordi che sarebbero testimonianza della libertà goduta dai lavoratori occupati in tali aziende di rivolgersi ai propri rappresentanti sindacali, che mal si concilierebbe con lavoratori ridotti in schiavitù.
In particolare sono stati considerati gli accordi sottoscritti dall’allora segretario Filca-Cisl Fabrizio Bignotti con i titolari della Cava Porfido Saltori, operante in concessione nel comune di Albiano. Tali accordi di conciliazione in sede sindacale sono stati firmati dopo la stipula, il 9 luglio 2018, di un “Verbale di accordo tra le parti” sottoscritto dal rappresentante legale della ditta, dall’allora segretario della Filca-Cisl e dagli allora amministratori comunali di Albiano (sindaco ed assessore all’industria), alla presenza del direttore di So.Ge.Ca. e della responsabile legale del Comune.
Peccato che, dagli atti d’indagine, risulti come pressoché tutti i contatti con il Sindacato siano presi per decisione dei titolari della ditta, al fine di regolarizzare la posizione della stessa nei confronti del Comune di Albiano. Fin dal 2014, infatti, l’Amministrazione comunale era stata invitata a vigilare in merito al rispetto del disciplinare cave in materia di regolarità retributiva e contributiva nei confronti di varie ditte, tra le quali anche la Cava Porfido Saltori.
Il 29 settembre 2015, stante l’inerzia dell’Amministrazione comunale di Albiano nell’eseguire i controlli richiesti e prendere i provvedimenti previsti dalla legge (diffida, sospensione e revoca della concessione) nel caso di conclamate inadempienze, il Coordinamento Lavoro Porfido presentava un Esposto alla Procura della Repubblica presso il Tribunale di Trento chiedendo “di verificare se è stata rispettata la L.P. 7/2006 e il disciplinare cava in merito al pagamento dei salari (…)”.
Esposto per il quale il PM ha chiesto ed ottenuto l’archiviazione il 27 aprile 2018 (con l’indagine “Perfido” in corso), dopo ben due opposizioni da parte del Clp ed una udienza in Camera di consiglio, a seguito della identificazione degli “ignoti” nei confronti dei quali la Procura aveva aperto il fascicolo. Le indagini relative fecero comunque emergere una situazione di grave degrado dal punto di vista dei rispetto dei diritti dei lavoratori, con palesi irregolarità in quasi un terzo delle ditte concessionarie; ben 7 rappresentanti legali di aziende concessionarie sono stati condannati per aver affermato il falso nell’atto notorio presentato al Comune!
Tuttavia, se tale degrado è iniziato subito dopo la nota “vertenza delle trancette” del 1993, che vide l’intervento dell’allora senatore leghista Boso che, in spregio alle norme a tutela della sicurezza dei lavoratori aveva tagliato i sigilli posti dalla Magistratura alle trance per cubetti fuori norma. La situazione è nettamente peggiorata con il crescente impiego di manodopera immigrata (maggiormente ricattabile) e il massiccio ricorso alle partite Iva, ma è stato con l’inserimento nell’elite della lobby del porfido di personaggi oggi a processo che tali condizioni si sono fatte, in alcuni casi, di feroce sfruttamento.
L’acquisto, nel 1999-2000, della cava di Camparta (situata nel comune di Trento) per 12 miliardi di lire, da parte di una cordata imprenditoriale costituita da due di questi soggetti e dai cugini Odorizzi (definita da uno dei PM nel processo “Perfido” una “probabile operazione di riciclaggio” ha segnato questo passaggio, incentivando in tutto il settore l’esternalizzazione delle lavorazioni ad aziende artigiane che, occupando prevalentemente manodopera immigrata, ha comportato un netto peggioramento delle condizioni di lavoro. Centinaia di lavoratori sono stati privati delle tutele contrattuali relative al Contratto integrativo di settore, al godimento della Cassa integrazione invernale e, mediante la reintroduzione del “cottimo puro”, sono stati loro sottratti ferie, permessi retribuiti, indennità di infortunio e di malattia.
Solo approfittando di queste devastanti condizioni generali, gli imputati oggi a processo, hanno potuto realizzare, nelle ditte controllate, quelle condizioni di sfruttamento che, a tutti gli effetti, rientrerebbero nella fattispecie della “riduzione in schiavitù”.
Condizioni generali e particolari che sono state rese possibili dagli ampi margini di discrezionalità che la legge di settore ha consentito alle Amministrazioni comunali, spesso in palese conflitto d’interesse. Leggi provinciali approvate sempre sotto il ricatto e con l’intervento di autorevoli esponenti della lobby del porfido, dalla prima del 1980 fino a quella del 2006 (approvata sotto la supervisione dell’allora consigliere provinciale Tiziano Odorizzi), o per compiacere la stessa. Questo è senz’altro il caso delle modifiche introdotte nel 2017 dall’assessore Olivi che, spostando al 31 dicembre 2017 i termini per adempiere a quanto era previsto al co. 5 dell’art. 33 della L.P. 7/2006, relativo alla tutela occupazionale, ha sanato con un colpo di spugna non solo un decennio di inadempienze da parte di concessionari e Comuni ma pure le eventuali responsabilità penali per i mancati adempimenti di amministratori comunali e provinciali, come avevamo evidenziato in un nostro esposto.
Condizioni generali e particolari che sono state rese possibili anche dall’acquiescenza, più che ventennale, delle Organizzazioni sindacali di categoria! Organizzazioni sindacali che del tutto “abusivamente” siedono in questo processo tra le parti civili, ma che sono da ritenersi in parte corresponsabili di tale situazione. Come possiamo tacere che proprio in virtù degli accordi di conciliazione dalle stesse sottoscritti si deve la riqualificazione del reato di “riduzione in schiavitù” originariamente contestato? Come mai nelle ultime udienze del processo di primo grado, quando la difesa degli imputati portava in aula tali accordi, gli avvocati rappresentanti i sindacati confederali di categoria erano assenti? Si trovavano forse in imbarazzo nel dichiarare che probabilmente i rappresentanti sindacali erano fortemente condizionati dagli imputati? O sono lecite altre ipotesi?
Sì, perché dagli atti d’indagine si evince chiaramente che a chiedere l’intervento del Sindacato siano, quasi nella totalità dei casi, i titolari delle aziende non i lavoratori!
Negli atti d’indagine che hanno supportato l’accusa si legge chiaramente come sia uno degli imputati, gestore di fatto della ditta Cava Porfido Saltori, ad affermare che “chiamerà i sindacati perché due o tre devono mandarli a casa, di corsa”. In un altro passaggio lo stesso soggetto parla con il titolare formale dell’impresa dicendogli “di chiamare il sindacalista per farlo venire e dirgli quali sono le problematiche e che rischiano il fallimento”, e il socio risponde che “lo chiamerà”.
Siamo nel 2018 e, a queste telefonate, farà seguito l’accordo siglato col Comune sopra menzionato e i successivi accordi di conciliazione individuali con i dipendenti, tutti sottoscritti dall’allora segretario della Filca-Cisl Fabrizio Bignotti.
In questo momento lo stesso Bignotti è nel settore del porfido in rappresentanza della FeNeal-Uil e sarebbe interessante sentire per quali motivi ha sottoscritto quegli accordi, in tutta fretta e senza alcuna verifica approfondita in merito alle dichiarazioni dell’azienda.
Sarebbe bene sapere anche perché fino ad oggi né Filca-Cisl né Fillea-Cgil hanno mai convocato un’assemblea per informare i lavoratori del porfido in merito al processo “Perfido”, nel quale sono costituite parte civile.