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Il capomafia di Partinico, Leonardo Vitale, detenuto al 41 bis, potrebbe non pagare 900 mila euro di spese di giustizia. Il boss, detenuto al carcere di Viterbo, fra tre anni finirà di scontare un cumulo di pena di 20 anni ma i processi sono diventati grosso debito con l’erario.
Dopo la notificazione di diverse cartelle esattoriali l’avvocato Francesca Vianello Accorretti ha chiesto la remissione del debito.
Vitale non ha i soldi per pagare dal momento che il suo reddito si basa solo ed esclusivamente, come per altro accertato dalla finanza, sui soldi che guadagna con il lavoro in carcere.
Il tribunale di Sorveglianza aveva detto no alla remissione, sottolineando che “è notorio che Cosa Nostra fornisce uno stipendio agli associati detenuti e garantisce ad essi i proventi delle attività illecite”.
La motivazione è troppo generica secondo la Corte di Cassazione. La prima sezione (presidente Monica Boni, relatore Giorgio Poscia) ha accolto il ricorso della difesa: “Bisogna indicare un concreto e specifico elemento a conferma del possesso di redditi sufficienti ad adempiere il suo debito verso l’erario”.
I supremi giudici ricordano che “il requisito delle disagiate condizioni economiche è integrato non solo quando il soggetto si trovi in uno stato di assoluta indigenza, ma anche quando l’adempimento del debito comporti un serio e considerevole squilibrio del bilancio domestico tale da precludere il soddisfacimento di elementari esigenze vitali e compromettere quindi il recupero e il reinserimento sociale”.
Insomma la disponibilità economica non va presunta “ogni qualvolta il condannato sia stato ritenuto responsabile di un reato che abbia comportato il conseguimento di un profitto illecito, come elemento costitutivo del reato stesso”.
Il criterio di indigenza “si confronta con un criterio concreto ed effettivo di incapienza reddituale”.
La valutazione sul detenuto al 41 bis dovrà essere portata all'attenzione d'un nuovo tribunale di Sorveglianza.

Foto © Imagoeconomica

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