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di Aaron Pettinari

L'arrivo di Gian Carlo Caselli alla guida della Procura di Palermo dopo Pietro Giammanco. Una sorta di "primavera" con lo sviluppo di una serie di inchieste, poi sfociate in processi, contro uomini delle istituzioni come Bruno Contrada, Marcello Dell'Utri e Giulio Andreotti, con cui si dimostrava che "lo Stato potrebbe processare sé stesso". Gli ostacoli incontrati con l'inchiesta sulla trattativa Stato-mafia e le assoluzioni definitive della Cassazione per tutti gli imputati.
Sono questi gli argomenti affrontati nella terza parte dell'intervista con Antonio Ingroia, ex procuratore aggiunto di Palermo ed oggi avvocato.
Proprio commentando la sentenza Stato-mafia Ingroia parla di "una sentenza politica". "La Cassazione ha cercato di chiudere i conti mostrando la volontà di dare indirizzi a tutta la magistratura, inquirente e giudicante, a non avventurarsi su certi terreni. Prima dicevo che lo Stato potrebbe processare sé stesso. La Cassazione dice che non deve processare sé stesso".
Ingroia ha poi parlato della situazione attuale dove si respira un'aria di revisionismo storico. "Con enfasi, quando ero ancora in magistratura, dissi che eravamo entrati nell'anticamera della verità. L'anno successivo dissi che eravamo nella stanza della verità, ma che c'erano ancora degli angoli bui. Ora, come nel gioco dell'Oca, non siamo tornati al punto di partenza, ma si sono fatti dei passi indietro. E dalla verità ci stiamo allontanando sempre più. Leggo dai giornali di nuove verità e nuove acquisizioni che mi lasciano scettico, se non altro per il tempo trascorso in cui sono venute fuori. Non si capisce perché sono venute fuori 31 anni dopo. Senza sminuire l'impegno di tanti magistrati e investigatori che stanno approfondendo, con questa attività, sono abbastanza scettico".

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