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Il Procuratore aggiunto di Firenze denuncia i pericoli nelle proposte di riforma del governo

“E’ in atto un tentativo di riscrittura dei rapporti tra la magistratura e il potere che la stessa esercita e gli altri poteri dello Stato, che corre il rischio di compromettere l’autonomia e l’indipendenza dell’ordine giudiziario e l’equilibrio dei poteri, secolare principio della nostra democrazia, attraverso multiple leve che agiscono su princìpi cardine dell’attuale disciplina della magistratura: l’obbligatorietà dell’azione penale, la partecipazione politica al governo della magistratura, il principio della separazione dei magistrati solo per funzioni”. E’ questa la denuncia di Luca Tescaroli, procuratore aggiunto di Firenze, contenuta in un articolo scritto per l’ultima edizione della rivista Micromega. Le “leve” di cui parla il magistrato “agiscono a margine del proposito di assicurare la separazione delle carriere tra giudici e pubblici ministeri, che per essere raggiunta potrebbe nutrirsi di differenti concorsi di accesso, di distinti Consigli superiori separati (con immutata componente laica)”, ha continuato nel suo ragionamento Tescaroli. “Il marcato e significativo intervento della componente politica crea i presupposti concreti per incidere sull’indipendenza e sull’autonomia”, ha affermato il magistrato. “La tendenza internazionale - scrive Tescaroli - imposta dall’evoluzione della criminalità e dall’esigenza di contrastarla in modo sempre più efficace, concretizzatasi nella creazione di organismi inquirenti e giudicanti sovranazionali e l’operare di uffici di Procura di coordinamento sovranazionale richiede, poi, su un ulteriore versante, una particolare attenzione alla difesa degli assetti ordinamentali inerenti all’indipendenza e all’autonomia della magistratura”. Infatti, ha spiegato il procuratore, “sono stati costituiti organismi di indubbia importanza, quali la Corte internazionale permanente, l’Olaf nel settore antifrode, Eurojust, il procuratore europeo”. “Per quanto attiene agli organismi inquirenti i poteri di ingerenza che sono previsti nelle funzioni giudiziarie di indagini, i loro compiti di coordinamento, di impulso e d’iniziativa rispetto agli organi inquirenti nazionali e in settori criminali di oggettivo rilievo suggeriscono l’esigenza di preservare l’assetto della magistratura attuale, che potrà garantire la presenza in quegli organismi di magistrati italiani indipendenti dall’esecutivo, caratterizzati dalla cultura della giurisdizione che impone una valutazione equilibrata delle risultanze e delle iniziative”. “Similmente - ha aggiunto il magistrato della Dda - la crescente attribuzione di compiti alla Procura nazionale antimafia e antiterrorismo esige il mantenimento dell’attuale assetto e la direzione da parte di magistrati portatori di una marcata cultura della giurisdizione e il massimo rispetto delle competenze dei singoli procuratori della Repubblica distrettuale per evitare derive gerarchiche e interferenze sull’indipendenza e sull’autonomia delle scelte investigative dei magistrati e dei pubblici ministeri”. “Le esigenze e le aspettative dei cittadini nei confronti del processo penale non sono rappresentate dall’individuazione di nuovi assetti costituzionali per la magistratura, proiettate a incidere su princìpi che corrono il rischio di comprometterne l’indipendenza e l’autonomia. Sono, invece - ha affermato Tescaroli - le esigenze di celerità della risposta giudiziaria e la certezza di conoscere, nel campo penale, se un imputato sia innocente o colpevole ad assumere rilievo preminente, esigenze che sarebbe auspicabile fossero in vetta alle priorità del legislatore, con previsione di iniezioni di risorse umane adeguate (personale amministrativo e organici giudiziari) per migliorare il funzionamento della giustizia nell’interesse della collettività”.

Crisi della divisione dei poteri, l’attacco del sistema politico

Nel suo lungo articolo Tescaroli ha fatto una disanima dello stato di salute della magistratura in Italia. Ha riassunto il funzionamento del sistema, gestito dal Csm, gli obblighi e i doveri, disciplinati dalla Carta Costituzionale, di giudici e pm e i loro rapporti con altre istituzioni.

Ha illustrato codici, leggi e modifiche al sistema penale sottolineando l’importanza del principio di obbligatorietà di procedura penale. Quindi cosa significa avere un sistema giudiziario sano per un paese democratico. E ricordato gli sforzi e i traguardi degli organi inquirenti e giudicanti nel corso di questi 75 anni, e oltre, di Repubblica.

“L’assetto delineato ha consentito alla magistratura - in questi 75 anni e, soprattutto, a partire dagli anni Ottanta - di ottenere nel settore penale notevoli risultati nel ripristino della legalità vituperata, per contrastare efficacemente le più gravi forme di delinquenza: il terrorismo, la criminalità mafiosa e la corruzione”, scrive Tescaroli. “Risultati resi possibili concretamente in virtù di pubblici ministeri e di giudici autonomi e indipendenti, che hanno consentito di celebrare processi, senza distinzione di condizioni personali, professionali e sociali, sesso, razza, lingua, religione, opinioni e appartenenze politiche, dimostrando che nessuno poteva essere considerato legibus soluti”. Tuttavia Tescaroli ha rammentato come “l’agire ha generato tensioni tra la magistratura e il mondo politico ed economico” sottolineato che, però, “in nessuna parte del mondo il livello di tali contrasti ha portato, come in Italia, a una situazione di vero pericolo per l’indipendenza della magistratura e al rischio di violazione del principio della separazione dei poteri, che è alla base di ogni ordinamento democratico. Basti pensare alle accuse scomposte di parzialità e di malafede rivolte ai magistrati anche da chi rivestiva e riveste talune importanti cariche istituzionali”. Quindi Tescaroli ha approfondito il tema del pericolo di toghe dipendenti dal potere politico e non più dalla Costituzione.

“La separazione dei poteri e l’indipendenza di quello giudiziario da quello politico, attraverso un delicato equilibrio di assegnazione delle funzioni, è un caposaldo dell’ordinamento costituzionale democratico italiano”, scrive. “I tentativi di intervenire su tale indipendenza sono costanti, e negli ultimi anni si sono moltiplicati. Vanno in questo senso anche le diverse proposte di riforma sulla separazione delle carriere fra magistrati e giudici”.

I pericoli della riforma sulla separazione delle carriere

Venendo all’attualità, il procuratore aggiunto ha segnalato che “oggi, nel corso della diciannovesima legislatura, sono in discussione, in commissione Affari costituzionali della Camera dei deputati, quattro proposte di legge di revisione costituzionale in materia di separazione delle carriere della magistratura giudicante e requirente, e ve ne è una in Senato, presentate da più esponenti di diversi partiti politici. Il ministro della Giustizia ha manifestato pubblicamente la sua propensione per un pubblico ministero indipendente, avvocato dell’accusa privo di potere sulla polizia giudiziaria”. “Della separazione delle funzioni e delle carriere di giudici e pubblici ministeri si discute nel nostro Paese da decenni”, ha rammentato il magistrato. “Sono state avviate iniziative referendarie e sono note le argomentazioni poste a fondamento delle contrapposte valutazioni sul punto specifico”. “Invero - ha affermato - la separazione delle carriere in sé ha poco senso perché tale separazione è già esistente o, comunque, si è in larga misura prodotta, a seguito di due successivi interventi: la riforma Castelli e la riforma Cartabia, che hanno previsto diversi percorsi professionali e una diversa dipendenza interna per i giudici e i pubblici ministeri”.

Secondo il procuratore aggiunto “è di fatto in atto una divaricazione quasi totale dei percorsi professionali come emerge, del resto, dal ridotto numero di passaggi di funzioni registrati negli ultimi anni. Un percorso normativo evolutivo ha portato a una differenziazione delle figure di giudici e pubblici ministeri. L’indipendenza interna dei giudici può dirsi piena, mentre i magistrati del pubblico ministero operano in uffici nei quali vige un regime di gerarchia temperata”, ha denunciato Tescaroli. “I procuratori della Repubblica, infatti, sono titolari di un potere organizzativo, esercitato secondo procedure partecipate, e di un potere gerarchico, il cui esercizio deve essere sorretto e giustificato da motivazione, mentre i procuratori aggiunti e i sostituti sono tenuti a uniformare la loro attività al programma organizzativo predisposto dal procuratore, con la loro partecipazione, e alle direttive del capo dell’ufficio, a pena della revoca motivata della delega da parte del procuratore. Il giudice deve operare costantemente in modo imparziale dall’inizio alla fine del giudizio; il pubblico ministero è tenuto a svolgere, in modo imparziale, «accertamenti su fatti e circostanze a favore della persona sottoposta alle indagini» (articolo 358 del codice di procedura penale), mentre nel dibattimento è chiamato a interpretare con rigore il ruolo di parte pubblica, per rivestire l’abito dell’imparzialità al momento delle conclusioni”. Secondo il pm, “le proposte in discussione incidono anche sul principio di eguaglianza dei magistrati all’interno delle carriere separate e aprono la via a differenziazioni di tipo diverso da quelle inerenti alle funzioni. Pertanto, rappresentano un possibile preludio della riproposizione della struttura gerarchica e di emolumenti economici difformi tra i diversi magistrati sulla base delle funzioni e degli incarichi svolti, diversamente da quanto avviene oggi”.

Le cinque proposte di legge costituzionali attualmente in discussione, infatti, “non si limitano solo alla creazione di due itinerari professionali distinti per giudici e pubblici ministeri, ma mirano a ridefinire i complessivi equilibri di governo della magistratura, a vantaggio della politica, a comprimere la valenza costituzionale dell’obbligatorietà dell’azione penale, a eliminare il principio per cui i magistrati si distinguono solo in base alle funzioni svolte, con il rischio concreto di attribuire all’esecutivo il concreto esercizio dell’iniziativa penale, a introdurre due separati Consigli superiori della magistratura per giudici e pubblici ministeri, prevedendo un aumento del numero dei membri laici dei Consigli superiori, che diventerebbero la metà delle distinte compagini consiliari”. Quindi il magistrato ha affermato che “le proposte di Costa, Giacchetti, Morrone e altri prevedono che il parlamento in seduta comune nomini l’intera componente laica e il presidente della Repubblica continuerebbe a presiedere i due Consigli. La proposta di Calderone e altri stabilisce che la presidenza dei due Consigli spetti, rispettivamente, al procuratore generale presso la Corte di Cassazione e al primo presidente della Corte di Cassazione e attribuisce la nomina dei membri laici dei Consigli per un quarto al parlamento in seduta comune e per un quarto al presidente della Repubblica”. “Appare dunque evidente - ha concluso sul punto - che l’implemento della componente laica non è necessario per separare le carriere dei magistrati ed è proiettato a imprimere un peso maggiore nella gestione concreta dell’attività della magistratura, nelle promozioni, nei trasferimenti, nei provvedimenti disciplinari e nell’attribuzione degli incarichi nei diversi uffici, con la conseguenza di accrescere l’influenza della politica nel governo della magistratura, che si vuole separare, così incrinando il delicato equilibrio voluto dai padri costituenti”.

Sull’obbligatorietà dell’azione penale

Altro tema affrontato dal magistrato è il principio di obbligatorietà dell’azione penale.

“Nei disegni di legge presentati dagli onorevoli Jacopo Morrone, Tommaso Antonio Calderone, Enrico Costa e Roberto Giachetti si propone di aggiungere all’attuale previsione dell’articolo 112 della Costituzione, "Il pubblico ministero ha l’obbligo di esercitare l’azione penale», l’espressione «nei casi e modi previsti dalla legge ordinaria», con la conseguenza di privare il principio della sua valenza costituzionale”. Il rischio sotteso a tale previsione, ha allertato Tescaroli, “è che si apra all’eventualità che sia la maggioranza di turno col varo di norme ad hoc a delimitare il perimetro d’azione delle procure, che potrebbero legiferare prevedendo il se, il quando e le modalità dell’esercizio dell’azione penale, sotto l’influenza di spinte emotive e di emergenze contingenti, finendo dunque per sostituire l’obbligatorietà con la piena discrezionalità del legislatore, con la prospettiva di sottoporre indirettamente il pubblico ministero al potere esecutivo. Si va dunque ben oltre rispetto allo stabilire «forme e priorità dell’azione penale» come previsto dalla legge delega 134 del 27 settembre 2021 di riforma della giustizia penale (riforma Cartabia), che ha affidato tale compito a una legge ordinaria, che costituisce, comunque, un temperamento del principio costituzionale. Si tratta, in ogni caso, di una legge antecedente alla presentazione delle proposte di legge costituzionale nel cui ambito viene ignorata”.

“È pur vero - ha precisato il magistrato - che l’enorme numero di reati previsti suggerisce l’opportunità di razionalizzare l’esercizio dell’azione penale, tuttavia appare necessario scongiurare i rischi descritti che porterebbero a depotenziare il principio di obbligatorietà, che va difeso con convinzione perché, va ribadito, «fonte essenziale della garanzia di indipendenza del pubblico ministero» (sentenze della Corte costituzionale 420/1995 e 84/1979) e dell’eguaglianza di tutti i cittadini di fronte alla legge. Si obietta, però, che, nonostante, quanto previsto dall’articolo 112 della Costituzione, solo una parte dei reati commessi viene effettivamente perseguita, in quanto le notizie di reato pervenute e le investigazioni conseguenti sarebbero troppo numerose e non gestibili, costringendo gli inquirenti a operare una selezione, sicché l’obbligatorietà non troverebbe una effettiva applicazione nella realtà”. Secondo Tescaroli questo problema “potrebbe essere risolto procedendo a una razionale selezione delle condotte idonee a integrare reati, eliminando una miriade di reati di natura bagatellare che potrebbero essere trasformati in illeciti amministrativi, e/o aumentando il numero dei magistrati e del personale amministrativo”. Una soluzione ulteriore, secondo il procuratore, “per tentare di mantenere l’equilibrio disegnato dalla carta costituzionale, in linea con la normativa vigente, potrebbe essere rappresentata dal lasciare spazio ai procuratori della Repubblica per integrare detti criteri di selezione delle priorità nell’esercizio dell’azione penale, che dovrebbero essere generici, con quelli derivanti dalla specificità dei territori ricadenti sotto la loro giurisdizione, in modo da assicurare una risposta giudiziaria calibrata a livello locale, più efficace per la tutela della collettività che vi è radicata e in modo - ha concluso - da gestirle a livello organizzativo con la migliore dislocazione delle risorse materiali, tecnologiche e umane, demandando a legge ordinaria la regolamentazione”.

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