Salvatore Borsellino: "Si porta i suoi misteri nella tomba e Cosa nostra è più forte di prima"
È morto senza parlare portandosi dietro i segreti indicibili delle stragi del 1992 - '94. Nelle ultime settimane all'ex primula rossa, dopo l'intervento d'urgenza per il blocco intestinale, era stata somministrata la terapia del dolore. Il boss mafioso è stato curato dal gruppo di medici che lo hanno preso in carico dal giorno del suo arrivo al carcere di sicurezza dell'Aquila. Gli hanno somministrato diversi cicli di chemioterapia, ma la malattia era ormai a uno stadio molto avanzato.
"Se fossi credente, visto che non c'è stata una giustizia in terra, potrei confidare in una divina, purtroppo essendo laico non posso sperare neppure in quella. L'arresto di Matteo Messina Denaro non è stata una vera e propria cattura, sapeva di essere malato e ha pensato di farsi curare dallo Stato invece che in latitanza. Oggi, con la sua morte si porta i suoi terribili segreti nella tomba. D'altra parte era impensabile che un criminale di quello spessore si potesse pentire. Era assolutamente improbabile" ha detto all'Adnkronos Salvatore Borsellino, fratello di Paolo Borsellino, il magistrato ucciso nella strage di via d’Amelio insieme agli agenti della scorta il 19 luglio 1992. "Con la sua fine non credo si chiuda niente - ha aggiunto -. La mafia non è stata sconfitta, anzi è più forte di prima. Non parlo di quella degli anni '90, della Cosa nostra stragista, ma di una mafia molto più pericolosa, che si è insinuata nell'economia, nelle amministrazioni, che è si resa invisibile e che, per questo motivo, è difficile da scoprire ed estremamente più pericolosa". C'è amarezza nelle parole del fondatore del movimento delle Agende rosse. "Non ho motivo per rallegrarmi. Penso solo che oggi è morto un criminale, ma nessuno mi ridarà mio fratello né la verità sulla strage in cui ha perso la vita".
Ma chi era Matteo Messina Denaro?
Senza dubbio è stato uno dei protagonisti dell'attacco sfrontato che Cosa nostra intraprese contro lo Stato. Classe ’62, trapanese di Castelvetrano, già condannato all’ergastolo per decine di omicidi, tra i quali quello del piccolo Giuseppe Di Matteo, il figlio del pentito, strangolato e sciolto nell’acido dopo quasi due anni di prigionia.
Con il suo arresto, avvenuto lo scorso 16 gennaio, la narrazione ufficiale ha voluto raccontare, per l'ennesima volta, la storia di una mafia sconfitta e di uno Stato trionfante.
Ma molte domande erano e restano senza risposta così come certi segreti sono rimasti segreti. Uno di questi è certamente quello riferito alle "carte" di Salvatore Riina. Il collaboratore di giustizia Nino Giuffrè aveva dichiarato che a lui sono stati consegnati i documenti segreti della cassaforte dell'ex capo dei capi.
“Probabilmente una parte di questi è finita a Matteo Messina Denaro - ha riferito in diversi processi l'ex boss di Caccamo - Posso dire che si tratta di una intuizione, più che una fonte. Perché non l’ho data per sicura, l’ho data per probabile che una parte di questa, sempre dai ragionamenti che ho fatto che si agganciano alla vicinanza di Salvatore Riina a Matteo Messina Denaro, dalla statura, dallo spessore mafioso di Matteo Messina Denaro e dalle indiscrezioni, diciamo, di Provenzano stesso che asseriva sempre come Matteo Messina Denaro era uno dei soggetti più fidati e più vicini a Riina. L’ipotesi è data da un complesso di piccole cose. Che a casa di Riina c’erano dei documenti me l’ha detto Provenzano, su questo punto non ho dubbi, e d’altronde so perfettamente che Riina mandava delle lettere a Provenzano”.
E' dietro a quelle carte riservatissime che si nasconde parte dell'immenso potere di cui ha goduto Messina Denaro? È grazie ad esse che ha potuto vivere una latitanza dorata fino a quel 16 gennaio 2023?
Nonostante i numerosi arresti di fedelissimi, familiari e continui sequestri di beni (secondo le stime ad oggi sarebbero stati sequestrati beni per oltre 3,5 miliardi di euro, ndr), il boss trapanese aveva continuato ad essere libero e ad intrecciare importanti rapporti con soggetti di altissimo livello nell'ambito politico ed imprenditoriale e ad accumulare infinite ricchezze.
Salvatore Borsellino
Un esempio sarebbe dato dai rapporti che la sua famiglia avrebbe avuto con l'ex senatore di Forza Italia Antonino D’Alì, ex sottosegretario agli Interni dal 2001 al 2006, condannato in via definitiva per concorso esterno in associazione mafiosa. Si legge nella sentenza della Cassazione, di una stabile, affidabile, comprovata e ventennale disponibilità a spendersi in favore di Cosa Nostra.
Altri rapporti di estrema importanza sarebbero stati con la massoneria deviata. Nel gennaio 2017, il magistrato Teresa Principato, quando era procuratore aggiunto a Palermo, diede a lungo la caccia al boss trapanese, spiegò in Commissione antimafia che "Messina Denaro è protetto da una rete massonica". E infatti tra le figure arrestate con l'accusa di aver favorito la latitanza vi è il medico Alfonso Tumbarello, che era affiliato alla loggia Valle di Cusa – Giovanni di Gangi di Campobello di Mazara, del Grande Oriente d’Italia (dal quale è stato subito “sospeso a tempo indeterminato”).
Tumbarello è di Campobello di Mazara ed è stato per decenni medico di base in paese, sino a dicembre scorso, quando è andato in pensione.
Altro tassello è senza dubbio la cosiddetta "borghesia mafiosa" di cui aveva parlato il procuratore capo di Palermo Maurizio de Lucia durante la conferenza stampa a poche ore dalla cattura del latitante: cioè “quel mondo amorale al quale appartengono alcuni esponenti delle professioni, della politica e dell’imprenditoria allenati da generazioni a risolvere i problemi attraverso la mediazione di una mafia sempre disponibile”.
Le parole di Salvatore Baiardo
A Novembre dell'anno scorso al programma 'Non è l'Arena' il giornalista Massimo Giletti presentava una sua intervista a Salvatore Baiardo, già condannato per essere stato fiancheggiatore dei fratelli Filippo e Giuseppe Graviano.
Rispondendo alle domande di Giletti aveva parlato di diversi temi (tra cui l'ergastolo ostativo) ma 'profetizzò' anche l'arresto di Matteo Messina Denaro: "L'unica speranza per Giuseppe Graviano, sinceramente me lo auguro anche io per loro perché sono giovani. Che venga abrogato questo ergastolo ostativo". "C'è anche un nuovo governo e chi lo sa che non arrivi un regalino. E chissà che magari presumiamo che un Matteo Messina Denaro sia molto malato e faccia una trattativa per consegnarsi lui stesso per fare un arresto clamoroso? E così arrestando lui esca qualcuno che c'ha l'ergastolo ostativo senza che ci sia clamore...”.
Sulla questione si è espresso anche il senatore Roberto Scarpinato il quale fin da subito ha detto che Baiardo “non si può permettere di fare queste dichiarazioni in televisione senza l'autorizzazione e il mandato di Giuseppe Graviano”, e quindi “in realtà chi parla è Giuseppe Graviano per bocca di Baiardo”.
"Credo per la prima volta nella storia - aveva detto Scarpinato - un capomafia della statura di Giuseppe Graviano ha deciso di rivolgersi alla vasta platea televisiva tramite il suo portavoce Salvatore Baiardo per annunciare che di lì a poco Messina Denaro si sarebbe fatto catturare come epilogo di una complessa e segreta trattativa la cui posta in gioco è la sua speranza di uscire dal carcere. Nella stessa trasmissione Graviano ha fatto lanciare altri avvertimenti che riguardano i suoi rapporti con Berlusconi. Chi conosce le regole del mondo mafioso sa bene che Baiardo mai avrebbe potuto osare trattare simili delicatissimi temi senza mandato di Graviano”. E' sconcertante che “dinanzi a un annuncio ‘urbi et orbi’ così autorevole della sua prossima cattura, Messina Denaro non si sia immediatamente allontanato dal suo covo, e ciò tenuto anche conto che il precedente 6 settembre 2022 erano stati tratti in arresto 35 uomini d’onore a lui vicinissimi alcuni dei quali frequentavano un bar sito a pochi metri dal suo rifugio e che, come persino il sindaco di Campobello di Mazara sapeva, il paese era disseminato di microspie e telecamere grazie alle quali era stata compiuta quella operazione di arresto”. Non solo non fugge, aveva sottolineato Scarpinato, “ma per di più continua a recarsi a fare la spesa personalmente nei supermercati del luogo, con l’elevatissima probabilità di essere inquadrato da qualche telecamera delle forze di polizia, a farsi ritrarre in selfie, a chattare, a utilizzare due cellulari, a usare la carta di identità del nipote di un capomafia invece che di un insospettabile, e a tenere altri comportamenti da dilettante sideralmente dissonanti dalla maniacale cura adottata negli anni precedenti per non lasciare alcuna traccia dei propri passaggi rendendosi così imprendibile”. Quanto alla “scelta”, come l’ha chiamata Scarpinato, di Graviano di fare “un pubblico annuncio” in mondovisione, a ben riflettere “i reali destinatari del suo messaggio non erano i comuni telespettatori privi delle cognizioni di base indispensabili per decifrarne i contenuti e le intenzioni, ma altri ai quali non a caso si era deciso di parlare coram populo”. Secondo il senatore, i comuni telespettatori piuttosto che ricevere un messaggio, “sono stati chiamati in realtà a essere testimoni di quanto stava per accadere a opera di altri, appunto i reali destinatari del messaggio”. Secondo Scarpinato, “Graviano ha fatto dinanzi a costoro una pubblica esibizione di forza dimostrando di essere in grado di venire a conoscenza di informazioni segretissime nonostante il regime del 41-bis e di essere pronto a fare in pubblico altre rivelazioni molto più compromettenti se qualcuno dovesse pensare di non mantenere le promesse che lo riguardano personalmente. In termini pokeristici potremmo dire che con la prima mossa è stata calata sul tavolo una coppia di assi, con la prossima potrebbe essere calata un’altra coppia facendo poker”.
Il pericolo del ritorno della mafia stragista
Matteo Messina Denaro è stato senza dubbio un protagonista di quella strategia di ‘sommersione’ che ha caratterizzato Cosa nostra dopo le stragi.
Tuttavia è sbagliato pensare che il tritolo sia stato messo definitivamente da parte e l’ordine di colpire il magistrato Nino Di Matteo, oggi sostituto procuratore nazionale antimafia, ne è la prova. “L’ordine di colpire Di Matteo resta operativo" concludeva la Procura di Caltanissetta nell'indagine archiviata sul progetto di morte nei confronti del pm palermitano, al tempo uno dei magistrati dell'inchiesta "Trattativa Stato-Mafia". C'era stata la condanna a morte del Capo dei capi Totò Riina (oggi deceduto), poi nel 2014 le dichiarazioni di Vito Galatolo sull'organizzazione dell'attentato, l'arrivo di 150 chili di tritolo a Palermo, acquistati in Calabria, e quella richiesta di esecuzione proveniente da Matteo Messina Denaro per conto di altri soggetti (“Gli stessi di Borsellino”). Anche altri collaboratori di giustizia avevano portato elementi a riscontro di quelle dichiarazioni.
La morte di Matteo Messina Denaro non revoca l’ordine di uccidere il magistrato palermitano. Per questa ragione il ritorno allo stragismo è reale; un pericolo che potrà essere sventato solo con la scoperta della verità su quei misteri di cui il capo mafia di Trapani si era fatto portatore e di cui ora, e questo è certo, altri ne sono i detentori.
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