Ieri il corteo del “coordinamento 19 luglio”. Scarpinato: “Via d’Amelio ha il potere di tenere lontana la retorica di Stato”
“Fuori la mafia dallo Stato”. Era il 21 luglio 1992, a Palermo si celebravano i funerali di Stato degli agenti di scorta di Paolo Borsellino: Agostino Catalano, Emanuela Loi, Walter Eddie Cosina, Claudio Traina e Vincenzo Li Muli. Una città inferocita contro la classe dirigente del tempo, rea, nel migliore dei casi, di aver abbandonato il magistrato al proprio destino e nel peggiore di aver partecipato alla strage stessa, si scagliava contro le massime cariche dello Stato presenti alla Cattedrale che ospitava le salme dei martiri di via d’Amelio. Quel grido possente, inatteso, quella rabbia, è nuovamente riecheggiata ieri tra le strade del capoluogo siciliano in occasione del 31° anniversario della strage Borsellino.
Per l’evento molte delle realtà sindacali, sociali e studentesche che a maggio si erano unite in un coordinamento per l’anniversario della strage di Capaci, si sono riassemblate in un nuovo coordinamento, ancora più ampio da cui è nato anche un manifesto politico, per un nuovo corteo, questa volta dedicato alla memoria del magistrato ucciso il 19 luglio 1992. Anche questo è stato un corteo all’insegna di un’antimafia interstazionale che da un lato rivendica verità per le stragi e dall’altro rivendica la giustizia sociale. Dal diritto al lavoro, al diritto alla casa.
“Siamo qua per fare memoria e chiedere verità e giustizia su una strage di Stato-mafia che vede complicità ai più alti vertici delle istituzioni”, ha detto Jamil El Sadi di Our Voice, una delle realtà promotrici del corteo. Prima di iniziare la marcia, il coordinamento ha rivolto un pensiero al giornalista Andrea Purgatori, morto ieri all’età di 70 anni dopo aver condotto una vita raccontando e indagando sui misteri della repubblica, tra cui anche le stragi del ’92. “L’assenza di Purgatori lascerà un vuoto nella democrazia, nel giornalismo d’inchiesta che è un pungolo contro i potenti”, ha aggiunto il giovane.
Ecco quindi che si è srotolato il serpentone. Caldo e fatica non hanno fatto desistere le 1500 anime riunitesi davanti all’Albero Falcone, nel luogo esatto in cui lo scorso 23 maggio molti dei volti presenti ieri sono stati repressi dalle forze dell’ordine per aver tentato di raggiungere, e quindi contestare, la commemorazione ufficiale. L’ennesima passerella politica su cui hanno sfilato ipocrisia e retorica.
“57 giorni fa in questo luogo venivamo fermati con la forza, oggi siamo qui per dimostrare una cosa molto semplice”, ha affermato Claudio Pecoraino, membro del sindacato studentesco del liceo Regina Margherita di Palermo. “Siamo qui per dimostrare che questo corteo scomodo è il corteo della nostra città, dei palermitani e delle palermitane e di chi non si accontenta di vuota memoria”.
Il corteo è quindi entrato subito nel vivo con le rivendicazioni del coordinamento che si è fatto bocca di popolo.
“Questo corteo è promosso da cinque realtà studentesche palermitane”, ha ricordato Pecoraino. “Sindacati e collettivi studenteschi, le studentesse e gli studenti ci sono ancora una volta per gridare che l’antimafia si vive ogni giorno e si pratica nel quotidiano. L’antimafia è sinonimo di scuola pubblica, che però sta cadendo a pezzi, che sta diventando privilegio per pochi. Pretendiamo una scuola pubblica aperta e inclusiva come presidio permanente contro l’inquietante tasso di dispersione scolastica, terreno fertile per la mafia e per la criminalità”.
Le lotte sindacali
Non solo diritto allo studio. La lotta alla mafia è anche la lotta per la casa e per un lavoro sicuro e ben retribuito rivendicano i sindacati. Il coordinamento si fa portavoce di “un’antimafia sociale e popolare che deve rispondere alle esigenze del popolo e delle masse che sono sotto ricattabilità e che poi sono costrette a lavorare in nero in luoghi poco salubri e dove si rischia la morte”, ha denunciato Gabriele Rizzo, del sindacato USB Palermo, altra realtà promotrice dell’iniziativa.
Un pensiero è andato quindi al giovane Daouda, operaio ivoriano scomparso nel ragusano dopo aver denunciato le sue condizioni lavorative nello stabilimento di cemento in cui lavorava. Il suo corpo ancora non è stato trovato.
Insieme a USB presente anche la CGIL Palermo. “Questo è l’inizio di una nuova mobilitazione che mette assieme lotta alla mafia e lotta per i diritti per superare un potere che si autocelebra, che si autoassolve, che mentre posa sulle lapidi corone di fiori, mette sulle teste delle persone corone di spine fatte di leggi che impoveriscono il lavoro che producono sfruttamento e insicurezza, leggi che rendono il lavoro una merce e il lavoratore una cosa che si può comprare, subappaltare, delocalizzare fino ad esodare”, ha affermato Mario Ridulfo, segretario della CGIL Palermo.
Guerra e patriarcato sono mafia
Spazio, nel corteo, anche al transfemminismo, una delle tante lotte sociali che si intersecano con la lotta alla mafia. “L’antimafia è transfemminista per natura”, ha spiegato Federica Bellomia, del centro sociale “Officina del Popolo”. “Riconosce la mafia come sistema di dominio patriarcale incentrato sulla mercificazione e sullo sfruttamento delle donne, delle persone della comunità LGBT e dei corpi non conformi e di ogni altra soggettività. Rigettiamo la società del dominio, della competizione, del binario sistemico e della discriminazione omofoba. Abilista, razzista e maschilista che sono alla base della mentalità mafiosa”.
La mafia è un sistema di dominio, dunque. Proprio come è la guerra. Tutte le guerre sono sistemi di dominio. E in Sicilia mafia e guerra, con Cosa Nostra e NATO, da decenni controllano abusivamente il territorio.
“In Sicilia siamo la testa di ponte per una guerra che sta sconvolgendo il mondo e di cui nessuno vuole parlare. Il coordinamento 19 luglio è molto chiaro lo diciamo al PD, ai 5 Stelle, al governo fascista di questo momento: inviare armi in Ucraina è mafioso. Peppino Impastato, Pio La Torre ce l’hanno insegnato. Anche la guerra è mafia”, ha detto al microfono Elio Teresi, di Casa Memoria Felicia e Peppino Impastato.
L’arrivo in via d’Amelio al grido “resistenza!”
Con l’avvicinarsi del corteo alla strada di via d’Amelio sono partiti di nuovo i cori fuori la mafia dallo Stato.
E le rivendicazioni di verità e giustizia della folla. In mezzo alla gente anche il senatore Roberto Scarpinato, ex procuratore generale di Palermo che ha applaudito il coordinamento ribadendo l’esigenza di conoscere l’identità dei mandanti della strage di via d’Amelio. Un luogo magico della città, secondo Scarpinato, che ha il potere di tenere lontani la retorica di Stato e tutti quelli che vengono qui solo per farsi fotografie e poi tornare nei palazzi del potere. Oggi, a questo proposito, c’è un movimento di giovani che si è organizzato per proteggere quel luogo sacro e chiedere, loro sì, verità e giustizia. “Sarà lotta finché non avremo verità e giustizia. Sarà lotta finché non avremo verità su questa agenda rossa”, ha incitato la folla Andrea La Torre, leader di Attivamente sollevando un’agenda rossa.
L'ex procuratore generale di Palermo, oggi senatore, Roberto Scarpinato
“Resistenza!”, è stata la risposta dei manifestanti. Il coro, dirompente, inarrestabile, è proseguito lungo tutto il corteo e lo ha colorato, insieme a musica, striscioni e persino un flash-mob, fino all’entrata di via d’Amelio dove Salvatore Borsellino, dal palco, ha salutato la folla dondole il benvenuto, diversamente da quanto si fece in occasione del 23 maggio per Falcone. “Vi aspettavo con ansia perché si cancellasse in via d’Amelio quello scandaloso episodio avvenuto all’Albero Falcone dove voi giovani, voi operai siete stati fermati prima di andare, come avevate diritto, a manifestare lì per ricordare la strage di Capaci”, ha detto dal palco Borsellino. “Qualcuno non ha voluto che disturbaste le personalità a cui era stato dato accesso su quel palco. Qui però quelle persone non le troverete mai e voi siete sicuramente i benvenuti”.
Salvatore Borsellino, fratello del giudice Paolo
Verità sulle stragi dello Stato-mafia
Diverse le personalità presenti in via D’Amelio, dai familiari delle vittime della strage ai familiari di altre stragi e altre attentati, come quello alla stazione di Bologna del 2 agosto. Due stragi, quella di Bologna e di via D’Amelio, che in realtà andrebbero inserite nello stesso progetto eversivo. “Ci sono le stragi, ci sono i morti. Mancano i colpevoli e mancano perché lo Stato non può processare sé stesso. La verità è che in questa strage lo Stato c’è dentro fino al collo”, ha spiegato ai nostri microfoni Borsellino. “Io è dal 2007 che ho chiamato questa strage una strage di Stato quindi purtroppo lo Stato purtroppo non può processare sé stesso e i suoi complici. Ed è per questo che sarà veramente difficile arrivare alla verità e alla giustizia”.
Da sinistra: Roberto Scarpinato, Giuseppe Antoci e Giulia Sarti
Presenti in Via D’Amelio anche ex magistrati e alcuni di quei politici che concretamente hanno combattuto e tuttora combattono contro la mafia come Giulia Sarti che ha attaccato l’attuale governo di ipocrisia la sua rappresentante Giorgia Meloni, la quale, se da un lato dice di essere cresciuta politicamente sull’esempio di Borsellino, dall’altro si contraddice stabilendo “il lutto nazionale proclamato nei confronti di Silvio Berlusconi” o acclamando, con il suo esecutivo, “personaggi come Marcello Dell’Utri o Totò Cuffaro che è tornato a fare politica, Antonino D’Alì o Nicola Cosentino”. “Sono personaggi - ha spiegato Sarti - che non vengono più nominati e se vengono nominati viene fatto per celebrarli e non raccontare chi erano e come hanno tradito lo Stato. Per questo è importante parlare delle stragi del 1992 e delle bombe del 1993 e continuare a parlare di quello che è successo 31 anni fa. Perché è ancora di un’attualità disarmante, se non sappiamo chi ha rubato l’agenda rossa di Paolo Borsellino o chi ha depistato le indagini a tutti i livelli è chiaro che non avremo mai la contezza di quello che è combattere le mafie oggi”.
La fuga della Meloni
Non sono mancate né al corteo prima, né in Via D’Amelio poi le critiche al governo Meloni e soprattutto al ministro della giustizia Carlo Nordio che sta di fatto cercando di tagliare i principali strumenti della lotta alla mafia: dalle intercettazioni ai reati di abuso d’ufficio o concorso esterno. La premier ha deciso di non partecipare alla fiaccolata proprio per paura di contestazioni sul proprio operato.
“Contestazioni non violente una presidente del consiglio deve aspettarsele e può riceverle”, ha affermato Borsellino. “L’unica cosa che avrei fatto è di avvicinarla e di chiederle come concilia il suo a parole impegno antimafia, dice di essere entrata in politica dopo la strage di Via D’Amelio, con le esternazioni di un suo ministro che sceglie proprio il giorno dell’anniversario di questa strage per esternare la sua volontà di attentare a uno di quegli articoli fondamentali della legislazione antimafia studiata da Borsellino e Falcone cioè il concorso esterno in associazione mafiosa senza il quale salterebbero almeno tre quarti dei processi veri contro la mafia”.
“Siamo qui per smuovere le coscienze”
Presente in Via D’Amelio anche Don Luigi Ciotti, fondatore di Libera e del Gruppo Abele.
“Oggi i mafiosi sono più forti di prima e hanno bisogno meno di sparare perché ci sono delle connivenze inquietanti e ci sono proposte che vengono fatte dalla politica in questo momento che ci fanno andare indietro, non in avanti. Si vanno a demolire quei pilastri fondamentali come il concorso esterno. Siamo qui per umilmente dire forza per smuovere le coscienze”, ha affermato.
Il benvenuto al corteo si è concluso con la lettura dei nomi dei caduti in via d’Amelio da parte dei loro familiari, il minuto di silenzio. E infine la toccante lettera “giudice Paolo” di Marilena Monti, letta tra le lacrime, da Salvatore Borsellino.
“E i vivi respirano amore, in questo momento, non odio, e pioggia di fiori, scomposta freschezza, e lacrima ennesima e tenerezza. Ti giuro, Giudice Paolo dagli occhi di miele e mestizia, che noi ti faremo giustizia!”.
Foto © Paolo Bassani
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