Il premier Giorgia Meloni, in base a retroscena di Palazzo Chigi, ha telefonato al ministro della Giustizia Carlo Nordio per "chiedergli" di abbassare i toni in merito alla sua ultima trovata: "rimodulare" il concorso esterno in associazione mafiosa.
Reato da lui definito "evanescente" nonostante sia stato la base per il maxi-processo di Palermo istruito da Giovanni Falcone e Paolo Borsellino e la cui esistenza e applicabilità è già stata strutturata da numerose sentenze della Corte di Cassazione.
L'intervento di Nordio ha destato molti dissapori all'interno del governo e della maggioranza (con Forza Italia pronta a sostenere Nordio, mentre la Lega contraria), anche perché il tema è stato tirato fuori a pochi giorni dalle commemorazioni della strage di via d’Amelio.
La premier ha ribadito il concetto anche al termine della visita al Parco archeologico di Pompei: “Sul tema del concorso esterno io comprendo benissimo sia le valutazioni che fa il ministro Nordio, sempre molto preciso, sia le critiche che possono arrivare, però mi concentrerei su altre priorità".
Questa presa di pozione ha costretto il Guardasigilli a intervenire con una nota per sottolineare la "perfetta sintonia" con Meloni e che la modifica del concorso esterno "non fa parte del programma di governo".
Oltre a Meloni era stato il suo braccio destro Alfredo Mantovano a intervenire al riguardo giovedì scorso.
Il sottosegretario alla presidenza del Consiglio è stato netto: “Ai parenti delle vittime di mafia, a Salvatore Borsellino e Maria Falcone, dico che modificare il reato di concorso esterno in associazione mafiosa non è un tema in discussione, il governo non farà alcun passo indietro nella lotta alla criminalità organizzata".
C'è chi invece è andato in soccorso del ministro della giustizia: a rompere il fronte del partito della premier era stato sabato Guido Crosetto. Il ministro della Difesa, considerato un membro del quartier generale meloniano, ha detto che Nordio “ha tutta la mia solidarietà perché si trova stretto nella morsa tra chi vuole mantenere il potere di utilizzare la ‘giustizia’ come uno strumento di lotta politica e chi ha paura di sfidare l’ingiustizia facendo una scelta giusta, perché teme ‘ritorsioni’”. Ha commentato su Twitter Crosetto.
Il ministro della Giustizia Carlo Nordio
La questione 'intercettazioni'
Le intercettazioni sono fondamentali, indispensabili e non devono assolutamente essere limitate. È questo il risultato dell'indagine conoscitiva della commissione giustizia del Senato riguardo al tema delle intercettazioni.
E menomale che “i veri mafiosi non parlano al telefono”, come sentenziava poco prima di Natale il ministro Nordio.
Il tema è immediatamente diventato anche un caso politico: la premier Giorgia Meloni, parlando a Quarta Repubblica, su Rete4, aveva tentato di rimediare a quanto detto da Nordio: “Le intercettazioni per come sono utilizzate nei procedimenti di mafia sono fondamentali, sono uno strumento di indagine del quale non si può fare a meno e nessuno, per questo genere di reati, lo ha mai messo in discussione”.
In vero era stato lo stesso ministro della giustizia a farlo durante il suo intervento del 22 dicembre a L’aria che tira, su La7: “L’indagato più è delinquente e più sa di essere intercettato. Crediamo veramente che la mafia parli per telefono? Un mafioso vero non parla né al telefono né al cellulare perché sa che c’è il trojan, né in aperta campagna perché ci sono i direzionali”.
A questa linea di pensiero hanno aderito in larga misura i berlusconiani: infatti si sono premurati di cavalcare la battaglia anti-intercettazioni, presentando anche una proposta per impedire l’utilizzo del trojan per i reati contro la Pubblica amministrazione, cioè quelli che vanno "a braccetto con certa mafia e con certa politica", aveva detto il procuratore capo di Catanzaro Nicola Gratteri a Jesi.
Ma secondo Nordio e Francesco Paolo Sisto, il viceministro in quota FI, le intercettazioni “costano troppo” e quindi vanno tagliate: “Gran parte di queste si fanno sulla base di semplici sospetti – ha attaccato il ministro qualche settimana fa – e non concludono nulla”.
Tranne ad arrestare Matteo Messina Denaro e a far intascare allo Stato 35 miliardi di euro di sequestri e 11,7 miliardi di confische.
Foto © Imagoeconomica
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- Luca Grossi