Il procuratore commenta il disegno di legge del Guardasigilli sul Domani e il Giornale
Continua a far discutere il disegno di legge del ministro della Giustizia Carlo Nordio, presentato oggi al Consiglio dei ministri, in cui, di fatto, verrà abolito il reato di abuso d’ufficio oltre a modificare una serie di norme in tema di traffico di influenze illecite, limiti alla possibilità per i pm di ricorrere in appello e altro. A contrastare la proposta del ministro ci sono numerosi addetti ai lavori, come ad esempio politici, avvocati e magistrati, che intravedono numerosi pericoli in questa riforma. Tra questi vi è Sebastiano Ardita, già consigliere togato al Csm e oggi procuratore aggiunto a Catania, che sulle pagine del Domani e del Giornale ha commentato il disegno di legge del Guardasigilli dicendo che “creerà un vuoto nell’ordinamento penale, che travolgerà anche i processi già celebrati”.
“Si tratta di interventi che appaiono ispirati alla tutela della classe dirigente politico finanziaria del nostro Paese, in altri termini adottati a tutela dei colletti bianchi - ha detto il magistrato al telefono con il Giornale -. Non so se per i cittadini sia meglio avere una classe politica debole e posta al riparo dalle possibili iniziative giudiziarie oppure una politica autorevole che dia corpo ad istituzioni forti e non timorose di svolgere per intero, con fermezza ed onestà, il proprio ruolo”.
Il reato di abuso d’ufficio, ha spiegato Ardita a Giulia Merlo sul Domani, “non è semplicemente da provare, ma la sua funzione è quella di impedire l’esercizio di funzioni pubbliche a uso privato, o per interessi personali. Al di là di ogni considerazione, rappresenta un deterrente per mantenere l’esercizio dei poteri pubblici sul binario della correttezza”. La riforma colpisce anche il traffico di influenze illecite. Una modifica che “finirà per liberalizzare comportamenti che, benché tenuti da privati, finiscono per procurare danni all’immagine della pubblica amministrazione - ha detto al Domani -. La cosiddetta millanteria in realtà serve a punire comunque una quota di condotte certamente finalizzate a turbare lo svolgimento di funzioni pubbliche ma per le quali non risulta provato il rapporto con il pubblico ufficiale”.
Ardita si spinge poi in una considerazione. “Nel codice penale italiano a partire dal 1930 l’interesse privato in atti d’ufficio è stato sempre reato - ha sottolineato -. Gli effetti dell’abolizione di un crimine non operano soltanto per il futuro, ma in base all’art. 2 del codice penale travolgono anche i processi già celebrati”. Dunque, ha specificato il magistrato, “anche per coloro che sono stati condannati con sentenza definitiva, cessano l’esecuzione e gli effetti penali”.
Un giudizio tranchant quello di Ardita, condiviso da molti colleghi magistrati, ma visto di cattivo gusto dal Guardasigilli che poche ore fa, intervenendo a Sky TG24 dal Palazzo Reale di Milano, ha alluso a una “patologia” tutta italiana. Ovvero, “che molto spesso la politica ha ceduto alle pressioni della magistratura sulla formazione delle leggi. Non è ammissibile - ha continuato Nordio -, il magistrato non può criticare le leggi come il politico non può criticare le sentenze. È un principio elementare della divisione dei poteri. Ascoltiamo tutti ma poi il governo propone e il parlamento dispone''. Parole che dimostrano il suo agnosticismo nei confronti dei problemi reali della pubblica amministrazione e della gente.
Nella prima tranche del pacchetto di riforma del ministro ci sono aspetti che riguardano anche le intercettazioni - su cui Nordio ha voluto mettere mano dall’inizio del suo mandato ministeriale - e, in particolare, il divieto di pubblicazione di quanto non riprodotto nella motivazione o non utilizzato nel dibattimento, al fine di preservare soggetti terzi non indagati. “Il principio della tutela dei terzi estranei è di per sé condivisibile, anche se trova un limite nelle esigenze del processo; - ha spiegato Ardita - ma tutte le iniziative adottate in questi anni non hanno dato buona prova di sé”.
Foto © Imagoeconomica
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