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I familiari delle vittime della strage di Bologna: “È una vergogna, siamo schifati”

Che ci fa la firma dell’autore della strage di Bologna in cima a un pezzo pubblicato da L’Unità? Se lo sono chiesti in tanti, soprattutto i familiari delle vittime della bomba alla stazione che fece 85 morti e più di 200 feriti. “Democrazia VS Guantanamo, uno a zero: il carcere super-duro non ha funzionato”, è il titolo di un articolo uscito il 29 maggio, ancora facilmente reperibile online. In cima, accanto alla categoria “giustizia“, compare il nome dell’autore: Valerio Fioravanti. Chi è questo Fioravanti? Che sia un omonimo di Giusva, cioè Giuseppe Valerio, il terrorista nero autore – tra le altre cose – della bomba del 2 agosto 1980? No, non si tratta di omonimia: è proprio quel Fioravanti, già esponente dei Nuclei armati rivoluzionari, neofascista ed eversivo, condannato per la strage alla stazione. Una carneficina che il neo collaboratore de L’Unità ha sempre negato di aver compiuto, nonostante una condanna definitiva all’ergastolo.

La nuova attività pubblicistica dell’ex terrorista, dunque, provocala reazione dei parenti delle vittime di Bologna. “Innanzitutto è una vergogna che Valerio Fioravanti scriva su un giornale, poi è una vergogna che scriva su un giornale che si chiama l’Unità. Ma è ancora più vergognoso che il direttore Sansonetti faccia scrivere uno pseudo giornalista. Più chiaramente: noi siamo schifati”, dice al ilfattoquotidiano.it Paolo Bolognesi, presidente dell’associazione dei familiari delle vittime della strage nel capoluogo emiliano. Federico Sinicato, avvocato dei familiari delle vittime della strage di piazza Fontana a Milano e piazza della Loggia a Brescia, ricorda che “tutti i detenuti e i condannati hanno diritto ad avere una progettualità di vita, secondo i principi costituzionali. Tuttavia – dice il legale – questo non significa che tutti possano fare tutto. Ci sono anche la dignità e i diritti delle vittime che vanno difese. Offrire spazi mediatici a una persona che si è macchiata, tra gli altri, del reato di strage non è accettabile”. Si dice “sconcertata” invece Ilaria Moroni, direttrice dell’archivio Flamigni: “Sono allibita dal fatto che il nome di Fioravanti compaia come collaboratore di una testata che ha rappresentato i valori democratici e antifascisti nel nostro paese”.

E in effetti a destare perplessità non è solo l’attività editoriale di Fioravanti, ma soprattutto il fatto che i suoi contributi siano ospitati da L’Unità, il giornale fondato quasi un secolo fa da Antonio Gramsci e ora finito in mano ad Alfredo Romeo. L’imprenditore napoletano, già prescritto per tangenti e attualmente co-imputato di Tiziano Renzi in uno dei filoni dell’inchiesta Consip, ha acquistato all’asta la prestigiosa testata dal fallimento della società editrice. L’ha quindi riportata in edicola affidando la direzione a Piero Sansonetti, che ha lasciato la guida del Riformista a Matteo Renzi. Proprio dal Riformista Sansonetti ha portato con sè la collaborazione di Fioravanti, autore su quel giornale di numerosi articoli – soprattutto sulla pena di morte negli Stati Uniti – pubblicati sulla pagina dedicata a Nessuno tocchi Caino, l’ong che si occupa dei diritti dei detenuti. Per l’associazione guidata da Sergio D’Elia l’ex terrorista nero lavora come dipendente fin dal 1999, quando ottenne la semilibertà dopo 18 anni di carcere. Dieci anni dopo è tornato a essere un uomo libero visto che è stata considerata definitivamente estinta la pena di otto ergastoli, 134 anni e 8 mesi di reclusione.

Fioravanti era stato condannato per 95 omicidi, la maggior parte dei quali sono le persone uccise dalla bomba alla stazione di Bologna, la strage che Fioravanti ha sempre negato di aver compiuto. Per l’eccidio del 2 agosto 1980 vennero condannati anche la sua compagna di una vita Francesca Mambro, poi sposata in carcere, e Luigi Ciavardini, di recente tornato agli onori della cronaca per i legami con Chiara Colosimo, deputata di Fdi e nuova presidente della commissione Antimafia. Nonostante siano passati quasi 43 anni su Bologna i punti da chiarire restano molteplici. Sono ancora in corso i processi a Gilberto Cavallini e Paolo Bellini, altri due ex estremisti neri condannati recentemente in primo grado. Secondo i giudici ci sono prove eclatanti sul fatto che all’attuazione della strage contribuirono “in modi non definiti” Licio Gelli e Federico Umberto D’Amato, storico capo dell’Ufficio Affari riservati del Viminale, individuato come “il vertice di una sorta di servizio segreto occulto”. Per la procura generale il mastro venerarabile della P2 era il finanziatore della strage, che fu compiuta dai Nar. Nelle motivazioni la corte d’Assise ripercorre anche “i silenzi, le contraddizioni e i repentini mutamenti di versione di Fioravanti”. L’ex neofascita che oggi è una firma de L’Unità, il giornale fondato da Gramsci, morto in carcere dopo essere stato imprigionato dai fascisti.

Tratto da: ilfattoquotidiano.it

Foto © Imagoeconomica

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