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I giudici: "Prove eclatanti sul coinvolgimento di Gelli. Mandanti ambivano a Stato autoritario"

A 42 anni di distanza un nuovo capitolo di storia viene scritto sull’attentato terroristico che il 2 agosto 1980 strappò la vita a 85 persone alla stazione di Bologna. Esattamente un anno fa la Corte d’Assise di Bologna ha condannato all’ergastolo Paolo Bellini (in foto), ex killer di Avanguardia Nazionale e della 'Ndrangheta, con l’accusa di essere il quinto uomo che mise in atto la strage. Oggi i giudici hanno depositato le motivazioni di quell’importantissima sentenza e in 1724 pagine hanno fatto una disamina di quello che viene considerato il fatto di sangue più grande del dopo guerra in ipotesi commessa in concorso con Licio Gelli, Umberto Ortolani, Federico Umberto D'Amato e Mario Gotti Tedeschi, tutti deceduti. I giudici Francesco Caruso, a latere Massimo Cenni, hanno individuato responsabilità, in primis di Bellini, e poi degli altri imputati: l’ex capitano dei carabinieri Piergiorgio Segatel (condannato a sei anni per depistaggio), e l’ex amministratore del condominio dei misteri in via Gradoli Domenico Catracchia (condannato a quattro anni per false informazioni ai pm). Per la Corte l’ex estremista nero, che si è sempre dichiarato innocente, fu il quinto membro del commando composto dei Nar (Nuclei armati rivoluzionari) che svolse l’attentato. Il commando sarebbe stato costituito da Valerio Fioravanti, Francesca Mambro, Luigi Ciavardini, condannati in via definitiva (i primi due all'ergastolo, il terzo a 30 anni), e Gilberto Cavallini (il quarto Nar condannato anch’egli all’ergastolo ma in primo grado).
"All'esito dell'istruttoria, si deve ritenere raggiunta la prova che Paolo Bellini fece parte del commando che eseguì materialmente la Strage del 2 agosto 1980, con mansioni esecutive e di raccordo con gli altri concorrenti”, si legge nella sentenza. “Sia consentito affermare - per quanto si tratti di una notazione non giuridica e che attiene invece a una valutazione di comune buon senso - che gli elementi di prova ravvisabili a carico di Paolo Bellini si palesano, sia dal punto di vista quantitativo che qualitativo, come di gran lunga maggiori e più incisivi rispetto a quelli ravvisati a carico di altri soggetti che sono stati condannati per lo stesso fatto”, aggiungono i giudici."Si deve necessariamente partire dalla constatazione - si legge ancora nelle motivazioni - della prova granitica della presenza di Bellini il 2 agosto 1980 alla stazione di Bologna, poiché egli fu ripreso in alcuni fotogrammi di un filmato amatoriale girato dal turista Harald Polzer, che si riferiscono ad un momento di pochi minuti successivo alla deflagrazione". Per la Corte "la predetta conclusione è autorizzata da un altro elemento, che è sopravvenuto nel corso dell'istruttoria dibattimentale e che era, invece, ancora incerto nella fase delle indagini preliminari, consistente nell'avvenuto riconoscimento dell'imputato in termini di certezza da parte di Maurizia Bonini (ex moglie di Paolo Bellini, ndr)". Secondo i giudici la deposizione di Maurizia Bonini segna infatti "due profili decisivi" di questo processo. "Da un lato la donna ha demolito l'alibi che all'epoca permise di scagionare Bellini, affermando che la mattina del 2 agosto 1980 questi arrivò a Rimini non alle 9, ma molto più tardi, verso l'ora di pranzo". Dall'altro, appunto, Maurizia Bonini "ha riconosciuto l'ex marito nel filmato di Polzer, girato alla stazione di Bologna la mattina del 2 agosto 1980, mentre camminava sul binario 1, subito dopo l'esplosione", avvenuta alle 10.25.


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L'ex Nar Gilberto Cavallini


La mano nera stragista
I giudici non hanno dubbi che ad organizzare ed eseguire materialmente l’attentato siano state mani della destra eversiva. Terroristi, neofascisti, che agirono indisturbati grazie all’aiuto e le coperture di soggetti appartenenti ai servizi segreti. “Deve ritenersi che l'esecuzione materiale della Strage di Bologna sia imputabile ad un commando di soggetti provenienti da varie organizzazioni eversive, tra i quali era presente Paolo Bellini, uniti dal comune obiettivo di destabilizzazione dell'Ordine democratico, coordinati dai funzionari dei servizi segreti o da altri esponenti di apparati dello Stato, che a loro volta rispondevano delle direttive dei vertici della Loggia P2, a cui avevano giurato fedeltà, con un vergognoso tradimento della Costituzione Repubblicana”, scrive la Corte di assise di Bologna nelle motivazioni. "In questo processo è emersa per la prima volta ed è stata ritenuta plausibile - sottolineano i giudici - una componente di natura retributiva, nel senso che coloro che parteciparono alla Strage di Bologna percepirono un compenso in denaro". I giudici, tuttavia, parlano di compensi plausibili, non prove. “Non ci sono prove di un passaggio effettivo di denaro a favore degli esecutori materiali della Strage della stazione di Bologna, e cioè degli ex Nar condannati in via definitiva”.
Nell'indagine la ricostruzione fatta dalla Procura generale riguardava l’immissione di cinque milioni di dollari utilizzati per finanziare i terroristi. Soldi sottratti dal Banco Ambrosiano di Roberto Calvi e transitati sui conti di Licio Gelli, del suo prestanome e factotum Marco Ceruti, e del suo braccio destro Umberto Ortolani, per poi arrivare agli esecutori. L’accusa, durante il dibattimento, aveva collegato la presenza a Roma, nello stesso periodo di Ceruti e dei terroristi. Ma per i giudici "se i silenzi, le contraddizioni e i repentini mutamenti di versione di Fioravanti e Mambro lasciano intendere che essi avessero sicuramente qualcosa da nascondere in relazione ai loro spostamenti nelle giornate del 30 e 31 luglio 1980 - e ciò avvalora la tesi della loro responsabilità per la Strage - tuttavia, un simile contegno non può ritenersi sufficiente a provare anche la ricezione della predetta somma di denaro da parte dei terroristi, in ordine alla quale non consta la sussistenza di prove dirette". Resta tuttavia, "come dato indiziante grave, la considerazione che a partire da un certo momento nella loro difesa, Mambro e Fioravanti hanno cercato di trovare un modo per spostarsi lontano proprio nella giornata del 31 luglio, che è quella in cui ragionevolmente potrebbe essere stata loro consegnata una somma di denaro in contanti".


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Francesca Mambro e Valerio Fioravanti, ex membri del Nucleo Armato Rivoluzionario © Imagoeconomica


Ad ogni modo tornando a Paolo Bellini, secondo i giudici esisteva attorno a lui “un'efficace rete di protezione di esponenti politici del MSI (Movimento Sociale Italiano, ndr) e anche di alti funzionari dello Stato e un rapporto di contiguità con apparati dei servizi segreti". La "rete di protezione", proseguono i giudici, "si manifestò non solo nelle manovre di depistaggio nel 1975 in occasione dell'omicidio Campanile ma anche in seguito quando Bellini tornò dal Brasile e si trasferì a Foligno ove, nonostante apparisse cittadino straniero, godette di favori e di facilitazioni inimmaginabili imputabili a personaggi inseriti nel Msi ma che avevano al contempo correnti relazioni con apparati dei servizi o con altre strutture di tipo paramilitare che si avvalevano a loro volta della collaborazione dei servizi". Restando sugli esecutori, o presunti tali, della strage, la Corte d’Assise di Bologna ritiene vada rivista la posizione di Sergio Picciafuoco, morto nel marzo dello scorso anno, presente alla stazione e nel 1997 prosciolto da tutte le accuse. "Fermo restando ovviamente il giudicato di assoluzione nei confronti di Sergio Picciafuoco ai sensi dell'articolo 649 cpp, si tratta di un giudizio che merita oggi di essere rivisto, sia alla luce delle nuove emergenze probatorie, sia alla luce di una visione di insieme di tutto il materiale acquisito nell'ambito di più procedimenti”, scrive la Corte.
Inoltre viene inquadrata la dinamica interna al gruppo “Costruiamo l'Azione” riguardante il coinvolgimento del terrorista Giusva Fioravanti. "Anche un terrorista della nuova generazione come Fioravanti, nella sua smania di protagonismo, si avvicinò progressivamente ad elementi di spicco del neocostituito gruppo 'Costruiamo l'Azione' come Paolo Signorelli e Fabio De Felice, i quali a loro volta erano strettamente legati ai servizi segreti e a Licio Gelli”, sottolinea la Corte di assise di Bologna. La prossimità di Fioravanti ai soggetti sopra menzionati - prosegue in un passaggio successivo la sentenza - così come i suoi accertati rapporti diretti con Licio Gelli, inducono a ritenere che l'idea di colpire Bologna nacque in quello stesso contesto e fu coordinata da un livello superiore, avvalendosi anche dell'opera dei servizi deviati". Per i giudici non si deve dimenticare che Giusva Fioravanti, ex Nar condannato in via definitiva, "in quel momento era considerato sul piano operativo il soggetto più determinato ed incontenibile e, dunque, di fronte all'invito a partecipare ad un'impresa così eclatante, si poteva prevedere che non si sarebbe tirato indietro". Altri esecutori materiali "furono scelti, probabilmente da figure di vertice dell'eversione nera o forse da esponenti dei servizi, tra personaggi che offrivano garanzie assolute di riserbo, per la loro appartenenza politica o per la loro condizione di latitanza". Infine, "dietro a tale macchinazione si muoveva, sulla base di consistenti indizi, Licio Gelli (...)".


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Luigi Ciavardini © Imagoeconomica


Licio Gelli coinvolto
E a proposito di Licio Gelli, ex Gran maestro della Loggia P2, i giudici dedicano pagine e pagine della sentenza. "Possiamo ritenere fondata l'idea, e la figura di Bellini ne è al contempo conferma ed elemento costitutivo, che all'attuazione della Strage contribuirono in modi non definiti, ma di cui vi è precisa ed eclatante prova nel documento Bologna, Licio Gelli e il vertice di una sorta di servizio segreto occulto che vede in D'Amato la figura di riferimento in ambito atlantico ed europeo". Parole nette, quelle dei giudici, che nero su bianco scrivono che “l’ipotesi sui 'mandanti' non è un'esigenza di tipo logico-investigativo, ma un punto fermo”. E aggiungono: “La strage di Bologna ha avuto dei 'mandanti' tra i soggetti indicati nel capo d'imputazione, non una generica indicazione concettuale, ma nomi e cognomi nei confronti dei quali il quadro indiziario e talmente corposo da giustificare l'assunzione di uno scenario politico, caratterizzato dalle attività e dai ruoli svolti nella politica internazionale da quelle figure, quale contesto operativo della strage di Bologna". Secondo i giudici "anche la causale plurima affonda radici nella situazione politico-internazionale del paese e nei rapporti tra estremisti neri e centrali operative della strategia della tensione sul finire degli anni Settanta". E' quindi "nella complessa realtà politica di quegli anni che vanno trovate le causali della Strage, una causale la cui individuazione va compresa allargando ancora di più il campo di osservazione cui ci si è dovuti necessariamente contenere in questo processo". Secondo la procura generale e i familiari delle 85 vittime della strage dietro l’attentato ci fu la precisa volontà di Licio Gelli che avrebbe, come detto, finanziato il progetto di attentato. Gelli, però, è morto, e così anche Ortolani, D’Amato e Gotti Tedeschi (ritenuti a vario titolo, mandanti, finanziatori e organizzatori dell'attentato). Quindi improcessabili. Ma per i giudici “l’impunità per 'morte del reo' non chiude necessariamente la sequenza che riguarda il dovere di preservare la memoria, combinando il diritto di sapere delle vittime col complesso di garanzie che possono renderlo effettivo nonostante l'impraticabilità di un giudizio di responsabilità". Nella parte iniziale delle 1.714 pagine, i giudici affrontano alcuni temi, come quelli che li portano a valutare fatti compiuti dai quattro potenti del tempo (Gelli, Ortolani, Tedeschi e D'Amato), indicati nelle imputazioni, ma anche Sergio Picciafuoco. "Resta il punto ineludibile che il diritto alla riparazione e a qualsiasi forma risarcitoria inizia con la verità dei fatti, principio che vale non solo per il processo penale, ma per qualsiasi forma giudiziale in cui un diritto può essere tutelato fino a prescrizione", prosegue la Corte.


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Il Maestro Venerabile della P2, Licio Gelli © Imagoeconomica


Il progetto politico-eversivo dietro la bomba
Quindi la Corte d’Assise di Bologna ha delineato il quadro politico nel quale si svolse la strage e i probabili moventi che portarono alla realizzazione dell’attentato quella mattina di 42 anni fa.
“Qui abbiamo accertato che Gelli, la P2, i servizi segreti e quel centro occulto di potere coagulatosi intorno all'ex capo dell'Ufficio affari riservato avevano gestito e destinato ingenti somme di denaro all'esecuzione di un fatto che gravi convergenti indizi indicano nella strage di Bologna. Le complesse e intrecciate causali che portarono quel gruppo di potere, al cui servizio operavano le diverse squadre di eversori neri sempre a disposizione per manovre di attacco alla democrazia e alla Costituzione, sono tuttora questioni aperte e hanno solo parzialmente formato oggetto di analisi in questo processo”, sostengono i giudici. “Uno dei moventi emersi - continua la Corte - è consistito nella necessità di impedire ogni prospettiva di accesso della sinistra al potere in Italia, in una fase di ripresa formidabile della guerra fredda sul finire degli anni '70 e all'inizio degli '80, con l'invasione sovietica dell'Afghanistan e il dispiegamento dei missili Cruise in Sicilia. Poi ancora l'attuazione del Piano di Rinascita democratica attraverso l'impiego misurato della strategia delle bombe in una prospettiva di guerra psicologica, di provocazione e di preparazione dell'opinione pubblica al taglio delle ali estreme del sistema politico". E ancora. “Anche coloro che si resero verosimilmente mandanti e/o finanziatori della Strage, pur senza appartenere in modo diretto a gruppi neofascisti, condividevano i predetti obiettivi antidemocratici di fondo ed ambivano all'instaurazione di uno Stato autoritario, nell'ambito del quale fosse sostanzialmente impedito l'accesso alla politica delle masse”, sostengono i giudici della Corte d’Assise di Bologna. Tornando invece agli esecutori di estrema destra, secondo la Corte, “le nuove formazioni neofasciste degli anni 1978-'80, altro non erano che l'espressione e la continuazione del progetto eversivo sorto nella stagione precedente ed evidentemente mai sopito, con riferimenti politici peraltro diversi da quelli che avevano indirizzato il periodo della prima parte della strategia della tensione nel 1969-1974, ma con obiettivi che miravano pur sempre ad un rafforzamento autoritario dello Stato stretto nella morsa degli opposti terrorismi di destra e sinistra". In un paragrafo i giudici parlano dell'"ipocrisia" dello spontaneismo armato dei gruppi terroristici, come quello dei Nar, di cui facevano parte Fioravanti, Mambro, Ciavardini e Cavallini. Nel contesto di quel periodo "i gruppi terroristici erano a disposizione di chiunque riuscisse a dare loro una prospettiva politica".


strage bologna da wikipedia


Probabilmente, "non tutti i militanti neofascisti se ne resero conto - proseguono i giudici - perché non erano al corrente di ciò che avveniva alle loro spalle, nella segretezza delle relazioni con i servizi deviati o con elementi della massoneria, riservate probabilmente soltanto a coloro che occupavano posizioni di vertice". Ad ogni modo, i giudici ritengono che “le modalità subdole dell'azione terroristica, la dimensione del fenomeno, la gravità delle sue conseguenze, l'univoca direzione di provocare la morte di un numero indeterminato di persone e la precisa volontà di colpire con tale gesto eclatante il cuore delle istituzioni democratiche sono elementi tutti che inducono a ritenere che si trattò di una Strage di natura politica". "La scelta di agire il primo sabato di agosto, in una stazione gremita di persone in partenza per le vacanze, appare emblematica", sottolinea la Corte. "Allo stesso modo appare fortemente simbolica l'opzione di colpire il capoluogo emiliano, città roccaforte del partito comunista, simbolo della resistenza in Italia e da sempre portatrice di valori progressisti e democratici". Per la Corte “si è finalmente giunti a porre un punto fermo che considera la strage del 2 agosto 1980 a Bologna come il momento conclusivo, sia pure sui generis ed atipico rispetto ai momenti precedenti della c.d. 'strategia della tensione'". Si legge ancora nelle oltre 1700 pagine che “è ormai appurato, grazie alle indagini sul quinto terrorista, l'ex militante di Avanguardia Nazionale Paolo Bellini, e grazie alle nuove acquisizioni su Sergio Picciafuoco che la compagine degli esecutori materiali non agiva nel vuoto di strategia e fuori da contesti politici nazionali e probabilmente internazionali. Gli esecutori erano strettamente collegati a chi la strage aveva deciso, agevolato e finanziato, attraverso una fitta rete di legami e di mediazioni, di cui tuttavia si intravede ora il vertice, come è stato per le stragi politiche dei primi anni Settanta, la cui funzione fu tutta interna alle strategie atlantiche di prevenzione dell'espansione del comunismo in Europa, mediante operazioni connesse al contrasto alla 'guerra rivoluzionaria' con l'impiego della controguerriglia psicologica che prevedeva anche il ricorso a stragi e provocazioni nelle varie forme delineate nell'''operazione Chaos'''. Conclude la corte. "La strage di Bologna rispecchia questa strategia in un modo sui generis, in un mondo che e diventato molto più complesso e vede in atto il consueto tentativo, questa volta riuscito definitivamente, di influire sulla politica nazionale attraverso la strage indiscriminata per chiudere definitivamente con il passato resistenziale del nostro Paese, di cui l'omicidio dell'onorevole Moro e poi del presidente Mattarella furono precisi momenti attuativi".

Foto di copertina: realizzazione grafica
by Paolo Bassani

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