Intervengono anche Grasso e Nando dalla Chiesa
"A Palermo, la città di Falcone e Borsellino (ed anche la mia), succede che una docente di diritto procedurale penale, a distanza di tanti anni, consideri il maxi-processo addirittura un 'obbrobrio' termine che significa 'vergogna', 'disonore', 'infamia'! La sentenza-ordinanza di rinvio a giudizio ed il processo al quale ha dato l’imput sono stati istruiti e condotti con il rispetto assoluto dei diritti di difesa degli imputati dei quali, oltre un centinaio, sono stati assolti. Le affermazioni della dott.ssa Chinnici suonano come un pesante insulto alla memoria di Giovanni Falcone, Paolo Borsellino e degli altri componenti del pool-antimafia guidati dal consigliere Antonino Caponnetto". E' così che Leonardo Guarnotta, ex Presidente del Tribunale di Palermo, nonché membro del pool antimafia proprio con Falcone, Borsellino e Di Lello, ha commentato le parole dette dalla docente di Procedura penale dell'Università di Palermo, Daniela Chinnici, all'incontro dibattito organizzato nei giorni scorsi a Palermo dagli studenti dell'associazione "Contrariamente".
"Quel processo fu un obbrobrio", aveva dichiarato la professoressa. E ancora: "Nei processi ai mafiosi devono esserci le stesse garanzie dei processi ai ladri di auto (...) Il processo non deve fare vendetta".
L'ex magistrato, Pietro Grasso © Paolo Bassani
All'evento era presente il sostituto procuratore nazionale antimafia, Nino Di Matteo che aveva immediatamente replicato: "Le sue parole sono inaccettabili rappresentano un insulto alla memoria di Falcone e Borsellino, nei processi di mafia non c’è stata mai alcuna violazione dei diritti di difesa".
Sul punto, raggiunto da La Repubblica, è intervenuto anche Piero Grasso, che nel mai processo fu giudice a latere: "L’ignoranza è grande. Vorrei chiedere alla professoressa se ha mai letto la sentenza di primo grado o quella della Cassazione. Lo sa che in quel processo ci furono 114 assoluzioni? Anche Giovanni Brusca e Luciano Liggio vennero assolti, perché in quel momento non c’erano prove contro di loro: del primo parlava all'epoca solo un anonimo, il secondo era rimasto in carcere dal 1974 al 1986". E poi ancora ha aggiunto: "Dico all’università che sono disponibile a tenere un ciclo di seminari per spiegare cosa fu davvero il maxiprocesso. Potrei raccontare di quando, riuniti in camera di consiglio, portai le carpette dei 459 imputati: dentro c'era non solo il materiale dell'istruttoria, ma tutto quanto era emerso nel corso del processo, soprattutto le considerazioni dei difensori. Altro che processo sommario, senza rispetto delle garanzie e dei diritti".
Nando dalla Chiesa, figlio del generale Carlo Alberto © Imagoeconomica
Sull'argomento è anche intervenuto il professore Nando dalla Chiesa, figlio del generale Carlo Alberto dalla Chiesa, ucciso nel settembre 1982: "Questa è una vecchia polemica, alimentata da qualche professore che difendeva i mafiosi. Poi, anche, Sciascia aveva espresso delle riserve sul processo, ma dovette ricredersi. Nelle università si studi davvero la mafia, in modo sempre più approfondito, e non solo nelle facoltà di Giurisprudenza".
(Prima pubblicazione: 19 marzo 2023)
Foto di copertina © S.F.
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