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Nell'operazione "Hybris", 49 arresti. Ai domiciliari anche un prete e un finanziere

Da questa mattina i Carabinieri del Gruppo di Gioia Tauro sono impegnati nell'esecuzione di un provvedimento di applicazione di misure cautelari personali, emesse dal Gip del Tribunale di Reggio Calabria Stefania Rachele, a carico di 49 soggetti (34 in carcere e 15 agli arresti domiciliari) a cui vengono contestati a vario titolo i reati di "associazione di tipo mafioso", "concorso esterno in associazione di tipo mafioso", "porto e detenzione di armi comuni e da guerra"; "estorsioni"; "danneggiamento seguito da incendio"; "turbata libertà degli incanti"; "importazione internazionale di sostanze stupefacenti". Oltre alle misure personali, il provvedimento dell'Autorità giudiziaria ha riguardato anche il sequestro preventivo di una ditta (con il relativo compendio aziendale), attiva nel settore della trasformazione dei prodotti agricoli, e di due proprietà immobiliari utilizzate per agevolare le attività criminali della cosca e che rappresentano il profitto delle medesime attività delinquenziali, per un valore complessivo stimato in circa un milione di euro.
L'inchiesta, denominata "Hybris", coordinata dalla Procura della Repubblica di Reggio Calabria - Direzione Distrettuale Antimafia, diretta dal Procuratore Giovanni Bombardieri, si è sviluppata tra il 2020 ed il 2021 ed ha permesso di individuare gli assetti funzionali della cosca Piromalli - di cui è giudiziariamente accertata la primazia nel narcotraffico e l'incidenza territoriale nel controllo della Piana. Tra i soggetti raggiunti dall'ordinanza figurano nomi importanti come Girolamo Piromalli detto “Mommino” (ritenuto la figura apicale del clan), Salvatore Copelli, Aurelio Messineo, Francesco Cordì, Rocco Delfino detto “U Rizzu”, Arcangelo Piromalli, Cosimo Romagnosi e Antonio Zito detto “U Palisi”, ma anche Antonio Molé detto “U Jancu”, considerato il reggente della consorteria, e per Ernesto Madaffari alias “U Capretta”.

Il riavvicinamento ai Molé
Le indagini hanno permesso di accertare il riavvicinamento tra le storiche cosche dei Piromalli e dei Molé. Dopo il lungo periodo di guerra, scattata 14 anni fa a seguito dell'omicidio di Rocco Molé, le due famiglie si erano riavvicinate alla vigilia della scarcerazione di Pino Piromalli detto “Facciazza”.
In questo senso, spiegano gli investigatori, viene registrato il fervore dei consociati per recuperare una unità monolitica della cosca (segnata da personalismi quali la mancata condivisione degli utili), chiudendo un periodo ritenuto di transizione.
Un punto di incidenza che segna il rinnovato dialogo tra le due famiglie storiche si è mosso dall'esigenza di controllo del mercato ittico di Gioia Tauro.
Così la ricostruzione dell'incendio di un peschereccio in un cantiere navale alla Tonnara di Palmi nell'ottobre 2020 ha permesso di dimostrare come l'evento fosse stato pianificato dalla cosca Molé, perché il proprietario dell'imbarcazione non aveva conferito il pescato al mercato ittico di Gioia Tauro, disattendendo le imposizioni mafiose relative alla gestione dell'intero settore.


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Giovanni Bombardieri, procuratore capo di Reggio Calabria © Imagoeconomica


La distruzione del peschereccio, reso inutilizzabile, ha innescato una dinamica criminale di estremo interesse, in quanto la vittima, invece di ricorrere alle strutture preposte, ha ritenuto utile cercare la copertura mafiosa dei componenti della cosca Piromalli.
E' a quel punto che si è aperto il dialogo tra i due gruppi. La pace sarebbe stata sugellata in un summit organizzato il 3 dicembre 2020 all’interno del cimitero dove si è discusso delle dinamiche e degli equilibri mafiosi tra i due clan e della ripartizione delle estorsioni.
“Il quadro che restituisce l’indagine - è scritto nell'ordinanza - è quello di una consorteria di ‘Ndrangheta perfettamente oliata e funzionante, impegnata nello svolgimento di attività tradizionalmente mafiose, quali in primis le estorsioni”.
Infatti nelle carte si parla di "sistematica attività estorsiva ai danni degli imprenditori".
In particolare, è stato documentato come un imprenditore sia stato costretto ad assumere un appartenente al sodalizio in una fabbrica attiva nella zona industriale del porto di Gioia Tauro. Il responsabile della ditta, oltre a non poter scegliere le maestranze da assumere, non poteva neanche sindacare sul rendimento e sull'apporto lavorativo dei malavitosi assunti.
Ciò che è emerso è che le due famiglie operavano nel settore ittico, ma anche nella gestione immobiliare.
Spiegano gli inquirenti che in questo ambito si sono evidenziati alcuni equilibri criminali con un atteggiamento incurante delle iniziative rivolte a regolamentare questo settore, considerato il principale volano che avrebbe dovuto contribuire a valorizzare la zona del "retroporto" di Gioia Tauro. Beni "banditi all'incanto" verso i quali sono stati rilevati convergenti interessi per la loro aggiudicazione, dove chi non era gradito agli esponenti della malavita locale veniva preventivamente scoraggiato a partecipare.
In due diverse circostanze gli indagati hanno avuto la necessità di operare fuori dalla Calabria e lo hanno fatto rivolgendosi agli omologhi esponenti criminali del posto, inseriti rispettivamente nei consessi di criminalità organizzata pugliese e siciliana.
Un ambito nel quale sono state rilevate le alleanze trasversali tra le organizzazioni. In entrambe le circostanze gli esponenti dei Piromalli hanno fatto leva sull'intimidazione dei criminali che potevano esercitare il loro potere mafioso nella zona di interesse.
L'inchiesta ha anche evidenziato l'immagine di una "'Ndrangheta economica", sempre alla ricerca del profitto, ma anche saldamente legata ai simboli ed alle tradizioni criminali. Tra le forme di aggressione del territorio gli esponenti della cosca attuavano anche un diffuso racket, con particolare incidenza verso quello delle cosiddette "Guardianie" (estorsioni poste in essere nei confronti dei proprietari dei fondi agricoli i quali, pagando una quota annuale alle rappresentanti della cosca competente per territorio, evitano che i terreni vengano depredati dei raccolti o danneggiati nelle culture).


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Il boss Pino Piromalli detto “Facciazza”


Affari di famiglia
Altro segmento investigativo quello che riguarda i familiari stretti del boss Piromalli.
Agli arresti domiciliari, con l’accusa di estorsione, sono finite anche Maria Martino e Grazia Piromalli, rispettivamente moglie e figlia del boss Pino “Facciazza”.
Secondo gli inquirenti la moglie del boss si sarebbe fatta consegnare da due imprenditori un piatto doccia, due condizionatori e una caldaia che le servivano perché stava ristrutturando casa in vista della scarcerazione del marito. Una terza vittima, invece, è stata costretta a consegnarle diversi quintali di legna da ardere.
La figlia, invece, sarebbe stata coinvolta in un'altra estorsione ad un soggetto, non identificato, che avrebbe consegnato alla cosca una mazzetta da 25mila euro.
Nel blitz non mancano anche figure istituzionali. Agli arresti domiciliari è finito pure un finanziere, Salvatore Tosto, che, assieme alla moglie (allo stato indagata), è accusato di aver rivelato ad uno degli arrestati, ritenuto appartenente al clan, l’esistenza di un’indagine a suo carico.
La gip ha disposto i domiciliari pure per un prete, don Giovanni Madafferi, parroco della chiesa “Santa Maria Assunta” di Castellace.
Secondo i magistrati della Dda avrebbe attestato “falsamente, in certificati destinati a essere prodotti all’autorità giudiziaria, qualità personali, rapporti di lavori in essere o da instaurare relativi ad un soggetto imputato che avrebbe in tal modo dovuto beneficiare dell’affidamento in prova”.

Armi e droga
Le indagini hanno anche dimostrato che i Piromalli avevano un'importante disponibilità di armi anche da guerra affidate a custodi fidati: una scelta, quella di parcellizzare i luoghi di detenzione delle armi, oculata per quel che concerne pronta disponibilità sul territorio e schermatura da sequestri imponenti da parte delle forze dell'ordine.
Emerge da un'intercettazione in cui uno degli indagati afferma: “L’altro giorno per scherzo… quando ho aperto il bidone… ho trovato qualche dieci pezzi… non sapevo nemmeno che li avevo posati… L’altro giorno ne ho aperto uno… un bidone… l’ultimo che ho aperto l’altro giorno… c’erano cinque kalashnikov… con il doppio caricatore”.
Secondo gli inquirenti, nell’arsenale c’era pure una mitragliatrice Uzi di fabbricazione israeliana.
Altro settore di interesse, ovviamente, è il traffico internazionale di stupefacenti di cui la 'Ndrangheta è da anni leader mondiale.
Ad occuparsi del traffico sarebbero stati i i fratelli Domenico e Cosimo Romagnosi, ufficialmente venditori di frutta e verdura ma in realtà due affiliati dei Piromalli ai quali i carabinieri hanno sequestrato nel giro di poche settimane oltre mezza tonnellata di cocaina proveniente dal Sudamerica: 298 chili sono stati intercettati al porto di Santos, in Brasile, mentre altri 216 chili sono stati bloccati al porto di Gioia Tauro.


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Gli incontri dei membri della cosca dei Piromalli


L'asse con la Sicilia
Come detto in precedenza nell'inchiesta emergono collegamenti con altre organizzazioni criminali, in particolare con la mafia siciliana. E nelle carte vi sono chiari collegamenti a fatti avvenuti oltre trent'anni addietro, nei primi anni Novanta, con richiami proprio alla stagione delle stragi e alle alleanze che furono sancite con quell'operato.
Nello specifico emerge che il boss Pino Piromalli “aveva composto la 'commissione' costituitasi per decidere se la 'Ndrangheta calabrese avrebbe dovuto partecipare o meno alle stragi di Stato attuate dalla mafia siciliana" nel corso della quale il boss votò attraverso Nino Pesce, anche noto come 'Testuni', a favore delle stragi.
Di questo si parla in un'intercettazione registrata dai carabinieri il 17 gennaio 2021 che vede come protagonista Francesco Adornato detto “Ciccio u biondu”, non indagato, ma ritenuto dagli investigatori come “un soggetto particolarmente titolato” all'interno della famiglia Piromalli. Si tratta di un “navigato esponente della ‘Ndrangheta, condannato in via definitiva” per associazione mafiosa “negli anni 90, dunque proprio nel periodo di attuazione della cosiddetta ‘strategia stragista’”.
Adornato dialoga con uno degli arrestati, Giuseppe Ferraro spiegando che “la commissione si era riunita presso il resort 'Saionara' sito a Nicotera e che era presente Pesce ed era assente Pino Piromalli ma che quest'ultimo aveva conferito a Pesce il mandato a rappresentarlo”. Sempre nella stessa conversazione, il settantaduenne ha spiegato che “Pesce, in proprio ed in nome e per conto di Piromalli, aveva votato a favore della partecipazione alle stragi anche da parte della 'Ndrangheta”.
Nella conversazione Adornato si lamenta della lunghissima detenzione a cui è stato sottoposto il boss PinoFacciazza”: “Non lo so perché non sta uscendo… furbescamente io i conti me li faccio senza che mi dice niente nessuno… penso che vogliono tirare la corda… questo è già dal novanta che covava…”.
Secondo Adornato una delle motivazioni starebbe nel placet che i calabresi avevano dato alle stragi.
“Gli dice che nella commissione che doveva … che hanno deciso di avallare la strage di Stato con i siciliani … Pino Piromalli non c’era …. ma che lo avrebbe rappresentato Nino Testuni… è stato a suo tempo Nino Testuni che avrebbe risposto anche per lui… guarda come ti dico che certe volte per quanto riguarda lui no… siccome che c’è un articolo maledetto… questo è un articolo maledetto Pino che trova spazio per farsi le ragioni in un magistrato… Pino ha sempre un attenuante perché nella commissione che hanno deciso di mettersi a fianco dei siciliani … e compagnia bella non c’era”.


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E poi ancora: “Gli dice Piromalli è assente … ‘Testuni’ … dice questo signor Pesce che lo chiamano ‘Testuni’ questo si è messo avanti gli ha detto … e ha sostenuto che bisogna attuare le stragi di Stato”.
Non tutti erano d'accordo secondo il racconto di Adornato. Qualcuno avrebbe “pestato i piedi” ai siciliani: il boss di Vibo Valentia Luigi Mancuso detto il “Supremo”: “Luigi… in questa commissione al Saionara gli dice che lui non è d’accordo… perché gli dice Luigi… noi dobbiamo trattare con questi personaggi, gli ha detto, non dobbiamo andare a sparare… per quale motivo”. “E chi la vince la guerra… con lo Stato vinci la guerra”.
Ferraro, da par suo, nella conversazione esalta la lungimiranza di Mancuso, “certo che da una ‘guerra frontale con lo Stato - si legge nell’ordinanza - la ‘Ndrangheta come qualsiasi organizzazione mafiosa, non sarebbe potuta uscire vittoriosa”.
Ed è a questo punto della conversazione che Francesco Adornato dà ragione al suo interlocutore e commenta che “la ‘Ndrangheta, all’epoca, – riassume il gip -non aveva interesse a insinuarsi in una situazione così plateale creata per giunta dalla stessa mafia”.
In conclusione, però, alle stragi avrebbero dato il benestare anche i calabresi: “No, ma quelli dicono ma noi … ma noi perché ci dobbiamo imbrattare dici Luigi dice va bene … dice noi dobbiamo dare ascolto ai siciliani … loro hanno voluto l’Antimafia … perché l’Antimafia... poi addirittura siccome che i privilegi loro non li possono avere e ce l’hanno messa in culo anche a noi con il 41 bis ora ci dicono loro di ammazzare… un Ministro… prima di fare il colpo di stato… ma quando mai… allora capisci com’è il fatto… ricordati che queste cose qua quando si fa un consiglio sopra una persona… poi distinguono, dicono se era per questo…”.
“La conversazione - scrive il gip nell'ordinanza - conferma quanto emerso nella sentenza ''Ndrangheta stragista', mettendo in luce il preminente ruolo svolto, nel panorama criminale italiano e non solo calabrese, dalla 'Ndrangheta durante la stagione delle stragi”.
Ciò diventa di particolare rilievo considerato che siamo alla vigilia della conclusione del processo d'appello 'Ndrangheta stragista che vede tra gli imputati proprio un uomo di riferimento della cosca Piromalli, Rocco Santo Filipppone, già condannato in primo grado all'ergastolo assieme al boss di Brancaccio Giuseppe Graviano.
La scorsa settimana il procuratore aggiunto Giuseppe Lombardo ha chiesto proprio la conferma della sentenza di primo grado alla Corte d'Assise d'Appello di Reggio Calabria. Domani i giudici dovrebbero ritirarsi in camera di consiglio.

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