Le bugie del folle "Joker" che ha ucciso donne e bambini
“Non ho mai ucciso donne e bambini. Non sono la persona che viene descritta”. Sin dal suo primo giorno di cella, con queste parole parlando con alcuni medici e con il personale penitenziario, Matteo Messina Denaro, arrestato lo scorso 16 gennaio, ha cercato di allontanare da sé ogni accusa. L’ultima indiscrezione è stata riportata dal Corriere della Sera. Messina Denaro avrebbe commentato le dichiarazioni di Salvatore Baiardo, il fedelissimo dei fratelli Graviano intervenuto nuovamente domenica nel programma “Non è l’Arena”. Lo stesso Baiardo che lo scorso novembre aveva profetizzato l’imminente cattura del capomafia, riferendo della sua grave malattia e di una sua possibile resa.
“No, Baiardo non sapeva niente - avrebbe detto dalla sua cella singola del carcere de L’Aquila - Non poteva sapere che avevo un tumore. Per la semplice ragione che a casa mia che ero malato lo sapevano in cinque. Giusto cinque o sei. Come faceva a saperlo Baiardo? Ha tirato a indovinare”. E poi ancora: "Sono incazzato per le notizie che apprendo dai telegiornali... Vengono raccontate balle ed è tutto frutto di fraintendimenti".
Affermazioni quasi lapidarie accompagnate da un’alzata di spalle.
Si tiene informato, Messina Denaro. Anziché parlare con i magistrati, però, sceglie di dire la sua durante il ciclo di chemioterapia, osservato da due medici, tre infermieri e due anestesisti.
E consapevolmente sceglie di mentire, come prima di lui hanno fatto tutti i capimafia che vogliono mostrarsi irriducibili.
Le sue parole ricordano quelle del “capo dei capi” Totò Riina che nelle sue deposizioni diceva di non sapere cosa fosse Cosa nostra; affermava di aver fatto sempre e solo il contadino; di aver lavorato onestamente per portare da mangiare alla propria famiglia; si paragonava ad Enzo Tortora e diceva di essere “un parafulmine per l’Italia”.
Come Riina rifiutava l’idea di essere stato oggetto di una trattativa per garantire la latitanza di Bernardo Provenzano, così Messina Denaro vuole allontanare ogni sospetto di essere stato oggetto sacrificale in favore di altri boss stragisti: su tutti il capomafia di Brancaccio Giuseppe Graviano.
Quando in carcere hanno chiesto a “Diabolik” (o forse si dovrebbe chiamare "Joker" visto il quadro del noto personaggio dei fumetti che gli hanno trovato nell’abitazione a Campobello di Mazara, ndr) se avesse precedenti penali ha risposto di essere “incensurato”.
Mentendo platealmente, appunto.
Perché lui sa perfettamente di essere uno spietato killer sanguinario. Ai suoi fedelissimi aveva confidato di aver “ucciso tante persone da poter riempire un cimitero”.
Cresciuto “sulle gambe” di Riina, a 14 anni sapeva già sparare mentre il suo curriculum criminale ha avuto inizio all'età di 18 anni. Gli investigatori lo ritengono responsabile di una settantina di omicidi come mandante ed esecutore.
Ha partecipato all’eliminazione di quegli appartenenti alle famiglie sconfitte dai corleonesi nella seconda guerra di mafia.
Fu tra i responsabili del rapimento e della morte del piccolo Giuseppe Di Matteo (il bambino di dodici anni ucciso e sciolto nell’acido a seguito del pentimento del padre).
Fu lui a far parte del commando che uccise Vincenzo Milazzo, capomafia di Alcamo che, raccontano alcuni collaboratori di giustizia come Armando Palmeri, avrebbe voluto ribellarsi alla strategia stragista di Riina.
Sempre lui fu ad uccidere la compagna di Milazzo, Antonella Bonomo, incinta di tre mesi, che aveva un parente appartenente all’Arma dei Carabinieri che aveva lavorato anche per il Sisde.
Nel 1993, a soli 31 anni, fu favorevole alla continuazione della strategia degli attentati dinamitardi insieme ai boss Leoluca Bagarella, Giovanni Brusca e i fratelli Filippo e Giuseppe Graviano.
A causa delle bombe di Firenze, Milano e Roma morirono dieci persone (tra cui Nadia e Caterina Nencioni, rispettivamente di 9 anni e di 50 giorni) e vi furono 106 feriti a cui sono da aggiungersi i danni al patrimonio artistico. Stragi per cui è stato condannato all'ergastolo con sentenza definitiva nel 2002.
Messina Denaro è stato condannato anche per essere il mandante delle stragi del 1992 in cui morirono i giudici Giovanni Falcone, Francesca Morvillo, Paolo Borsellino e gli agenti delle scorte.
Di tutti questi delitti conosce retroscena e segreti. Lui è il possessore, così come ha raccontato il collaboratore di giustizia Nino Giuffré, dei documenti di Totò Riina. Potrebbe spiegare quel che avvenne
Nel gennaio 1992 quando, assieme ad altri boss di Brancaccio, il giovane “Diabolik” venne richiamato da Roma dove era stato inviato a valutare la possibilità di uccidere Giovanni Falcone, e l’allora ministro di Grazia e Giustizia Claudio Martelli, a colpi di kalashnikov, fucili e revolver.
Sembrava tutto pronto quando Salvatore Riina, forse “preso per la manina” da qualcuno come ha poi raccontato il pentito Salvatore Cancemi, cambiò idea optando per un altro luogo ed un'altra modalità per la strage, virando sull’autostrada Palermo-Punta Raisi, fatta saltare in aria con il tritolo all’altezza dello svincolo per Capaci.
Matteo Messina Denaro conosce la verità sul progetto di attentato contro il magistrato Nino Di Matteo, secondo gli inquirenti ancora in corso. Ai mafiosi di Palermo, nella missiva che aveva inviato nel dicembre 2012, così come raccontato dal pentito Vito Galatolo, uccidere il magistrato era una richiesta che proveniva da altri mandanti perché Di Matteo “si era spinto troppo oltre”.
Matteo Messina Denaro, gravemente malato, sa bene di non avere molto tempo. Ai medici che hanno parlato con lui ha dimostrato di tenere alla propria vita chiedendo di ricevere “farmaci e terapie migliori”.
Che venga curato. Perché pur essendo un capomafia feroce e sanguinario noi non ci auguriamo la sua morte.
Ci auguriamo, invece, una scelta di coraggio: quella di arrendersi per davvero, collaborando con la giustizia senza se e senza ma.
E’ quello l’unico modo per ridare dignità a sé stesso. Così facendo, magari, potrebbe anche vedere per la prima volta quella figlia che non ha mai avuto modo di conoscere e che ha solo avuto una disgrazia nella vita: avere un padre come lui.
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Dossier Arresto Matteo Messina Denaro
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