Dopo 50 anni, la testimonianza inedita della compagna del neofascita Silvio Ferrari
Sulla strage di Piazza della Loggia continua la ricerca di verità da parte degli organi inquirenti. Di recente, una nuova testimone ha accettato di raccontare quello che ha visto. Una donna che al tempo aveva 19 anni ed era la fidanzata di Silvio Ferrari, neofascista pagato dai Servizi, saltato in aria il 19 maggio 1974 sulla bomba che stava trasportando sulla sua Vespa. Sono trascorsi quasi 50 anni dal terribile attentato terroristico con cui - il 28 maggio 1974 - la destra eversiva provocò otto morti e oltre cento feriti con una bomba esplosa durante un comizio antifascista. La testimone è ancora terrorizzata per ciò che potrebbe succederle ma, nonostante ciò, ha deciso di mettere a verbale le sue parole: “Debbo rivelare di avere fatto alcuni viaggi a Verona con Silvio. (...) Lui parlava di un ‘gruppo’ di Verona, a Verona c’erano le persone importanti, a Brescia quelle normali. Silvio mi diceva che a Verona si incontrava con i carabinieri”. Nei viaggi in auto, “io ero seduta sui sedili posteriori e il Silvio era a fianco del conducente”. A dare la notizia ieri sulle pagine de Il Fatto Quotidiano è stato Gianni Barbacetto il quale ha ricostruito il racconto reso dalla testimone sul preludio della strage.
La donna ha riferito di aver partecipato ad almeno due “riunioni” presso la caserma dei carabinieri di Verona-Parona-Valpolicella. A portarla, sempre secondo il suo racconto, sarebbe stato proprio Silvio Ferrari. L’autista sarebbe stato l’appuntato dei carabinieri Vittore Sandrini, fedelissimo dell’allora capitano Francesco Delfino. “Poi quando io vedo Sandrini nell’incontro importante… egli fu molto chiaro, io ero viva per un pelo e se non avessi dimenticato tutto, ma proprio tutto, se io avessi fatto anche un minimo errore, sarei morta. Ma non perché mi avrebbe ucciso lui, perché io sono convinta che lui tra gli uomini di Delfino era tra i più buoni, ma perché altri mi avrebbero eliminato”. Stando al racconto della donna, in quella riunione erano presenti il capitano Delfino, l’appuntato Sandrini, alcuni giovani neofascisti (Silvio Ferrari, Nando Ferrari, Marco Toffaloni) e “altre due persone, di età, una delle quali era da Silvio chiamata Angelo”. E ancora: “Io sapevo che l’Angelo era uno importante dell’Arma”. Come ha ricostruito Barbacetto, da una foto la ragazza lo riconosce. Si tratta del tenente colonnello Angelo Pignatelli, che nel 1974 è capocentro di Verona del Sid, il servizio segreto militare. Gli investigatori guidati dal colonnello Massimo Giraudo del Ros affermano che: “Presso la Stazione carabinieri di Verona-Parona erano avvenute riunioni clandestine tra elementi dell’Arma, estremisti di destra e, verosimilmente, elementi del Sid”.
Come ha ben ricordato Barbacetto, che i carabinieri di Brescia e Verona parteciparono a queste riunioni lo afferma anche Giampaolo Stimamiglio il quale specifica che “i carabinieri di Parona già negli anni Settanta avevano avuto rapporti con la Legione di Spiazzi poiché nel loro territorio c’era un deposito di armi clandestino a cui avremmo potuto appoggiarci noi, e forse anche altre realtà, la cui ubicazione era nota appunto ai Carabinieri di Parona”. “Deposito di armi” che successivamente si scoprirà essere di Gladio.
L’ex compagna di Silvio Ferrari, nel suo racconto, ha precisato che nella caserma di Parona si pianificò un attentato presso un locale notturno di Brescia, il Blue Note. “Due-tre mesi prima della morte del Silvio – ha detto la donna – seppi dallo stesso Silvio che al Blue Note avrebbe dovuto essere messa una bomba e che proprio lui avrebbe dovuto collocare l’ordigno. Il Blue Note era un locale frequentato da gay e da prostitute e magnaccia. Io non posso ricordare i discorsi di 40 anni fa, ma il Silvio dava una spiegazione politica. Cioè questo attentato avrebbe aiutato la destra, o meglio, avrebbe aiutato a far venire in Italia un regime militare. Più volte avemmo occasione di parlare di questo attentato nei mesi che precedettero la sua morte. Egli mi precisò che agiva per i carabinieri ed erano i carabinieri che volevano questo attentato, ma egli era del tutto d’accordo. Lui aveva intensi rapporti con il capitano Delfino”. La strage però non avvenne al Blue Note, ma in Piazza della Loggia.
Nel corso della testimonianza, inoltre, la donna ha fatto riferimento ad altri viaggi in cui la stessa ha accompagnato il compagno Ferri. Luoghi insoliti come, ad esempio, la sede del Centro Sid di Verona e la sede del comando Nato delle “Forze Terrestri Alleate per il Sud Europa” di Verona. Come ha ricordato Barbacetto, dopo la morte di Ferri la compagna – terrorizzata – giura che non avrebbe mai detto a nessuno di aver incontrato, “insieme al Silvio”, anche alcuni carabinieri. Una promessa fatta a garanzia di tre uomini dell’Arma: il capitano Delfino; il tenente colonnello Pignatelli del Sid di Verona; e l’allora capitano Mario Mori. Quest’ultimo, che al tempo era anch’egli in servizio al Sid, non è indagato. Nel 1974, mentre la ragazza si trovava reclusa al carcere di Venezia, il capitano Delfino e Mori le fanno visita. Sarebbe stata quella l’occasione in cui la giovane, impaurita, gli assicurò il silenzio.
Dopo l’attentato di Piazza della Loggia, Federico Marzollo, al tempo capo del Raggruppamento di controspionaggio di Roma, diede incarico a Mori di “coordinare l’attività informativa sulla strage di Brescia. Un incarico fuori da ogni regola, fa notare agli investigatori l’allora suo diretto superiore al Sid, il maggiore Mario Venturi: perché il Centro Cs di Roma non aveva alcuna competenza sulla Lombardia”, ha scritto Barbacetto. Successivamente, nel 1975, “il capo dell’Ufficio D del servizio, Gianadelio Maletti, aprì un’indagine interna sul gruppo di ufficiali fedelissimi a Vito Miceli (direttore del Sid, ndr), coinvolti tra il 1970 e il 1973 nelle operazioni eversive dei neofascisti, dal tentato golpe Borghese alla Rosa dei Venti, e alle successive stragi. Al termine dell’indagine, Mori e Marzollo sono allontanati dal Sid e rimandati all’Arma”, si legge su Il Fatto Quotidiano. Su questi fatti si è parlato anche nel processo Trattativa Stato-mafia. Il colonnello Massimo Giraudo rispondendo alle domande del pm Roberto Tartaglia affermò che in alcune indagini e, in riferimento a sentenze passate in giudicato, “si è identificato un’attività deviata del Servizio d’informazione e difesa rispetto ai compiti istituzionali del servizio, ed anche un coinvolgimento nelle trame eversive. Quindi c’era tutta un’attività di sostegno agli eversori e di ostacolo nelle attività di indagini che si sviluppavano per non far emergere l’attività eversiva”.
Tornando a parlare della strage di Piazza della Loggia la Corte di Cassazione, con la sentenza del 20 giugno 2016, aveva confermato l'ergastolo per i neofascisti Carlo Maria Maggi, mandante, e Maurizio Tramonte, ex collaboratore dei servizi segreti e partecipe del piano stragista. Con il nuovo processo si sta cercando di andare avanti nella ricerca di verità sulla strage. L’ultima inchiesta dei magistrati di Brescia, infatti, ha due nuovi indagati, Marco Toffaloni e Roberto Zorzi, militanti neonazisti di Ordine nuovo di Verona, accusati di aver portato in piazza l’ordigno dell’attentato. Le loro udienze preliminari inizieranno a Brescia il prossimo 23 marzo (Zorzi) e ad aprile per Toffaloni. Il primo nel 74 aveva vent’anni, il secondo invece ne aveva 17 e per questo sarà processato dal Tribunale dei minori. L’obiettivo è quello di dimostrare anche l'accertamento di eventuali deviazioni di apparati dello Stato.
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