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Intervento del magistrato all'evento "Mafie, neofascismo, apparati deviati dello Stato e stragismo"

La ricerca della verità su stragi e misteri; la compartecipazione di cosiddetti soggetti esterni a Cosa nostra che non solo possono aver ordinato, ma anche aver avuto un ruolo diretto nell'esecuzione materiale di atroci delitti; il valore della memoria, la necessità che la politica non tema di confrontarsi con certi argomenti, l'impegno che passa dalle giovani generazioni. 
Sono questi alcuni degli argomenti che sono stati affrontati a Catania in occasione dell'incontro "Mafie, neofascismo apparati deviati dello Stato e stragismo", inserito all'interno del ciclo dei Seminari di Ateneo Territorio Ambiente e Mafie, giunto alla decima edizione, promosso dal Disum (Dipartimento di scienze umanistiche) dell'Università di Catania e dall'associazione Memoria e Futuro. 
Ospiti di questo incontro, che ha visto la partecipazione di tantissimi studenti sia in presenza che on line, il magistrato Antonino Di Matteo, l'avvocato Armando Sorrentino, Paolo Lambertini (vice presidente associazione familiari  vittime 2 agosto).
Rispondendo ad alcune domande degli studenti l'ex consigliere togato ha evidenziato come la mafia non si pone, nella sua azione, necessariamente contro lo Stato, anzi "certe volte purtroppo si sono incontrati, nel tutelare interessi che ritenevano comuni". 
E poi ancora: "Non è che esiste la deviazione fine a sé stessa. Esiste la deviazione in quanto persone e organi della pubblica amministrazione e delle istituzioni contemporaneamente accettano l’interlocuzione con altri poteri. Da questo punto di vista i casi in cui parliamo di deviazioni da parte di servizi e alti esponenti delle forze dell’ordine non sono quasi mai riconducibili ad ipotesi di collusione o corruzione vera e propria, ma ad una concezione pericolosa dell’esercizio della 'ragion di Stato'". Quindi, rispondendo ad un quesito sulla latitanza di Matteo Messina Denaro ha aggiunto: "Quando qualcuno avanza dubbi su alcuni aspetti, alcuni definiscono questo ragionare come il solito modo complottista. Ma il problema è che noi abbiamo avuto una sentenza che ha affermato che quegli imputati hanno volutamente protetto Provenzano in un periodo dove era latitante e lo hanno fatto per una malintesa 'ragione di Stato'. Cioè perché ritenevano che in quel momento Provenzano libero fosse più utile per contrastare l’altra ala di Cosa nostra. In una democrazia compiuta, in uno Stato libero e democratico, se lo Stato intende far valere una ragione di Stato lo deve dichiarare con un atto di responsabilità politica che non c’è stato. Perché altrimenti avallare il riconoscimento di questi motivi di opportunità politica contro il diritto è pericoloso per la nostra democrazia".
E infine ha concluso: "Rispetto a quella sentenza si sarebbe dovuto scatenare un dibattito. Come possiamo accettare l’ipotesi che uno Stato moderno tratti con Provenzano, perché in quel momento viene definito appartenente ad una mafia moderata, quando in quel momento Provenzano era stato mandante di altri omicidi? Oggi noi stiamo silenti tutti, tutti i partiti politici dalla sinistra alla destra, rispetto a quello che c’è scritto in questa sentenza".

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