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La Procura di Palermo indaga sulla rete di protezione

"Come ti chiami?". "Sono Matteo Messina Denaro". E' passato un mese da quando il boss trapanese è stato arrestato dai carabinieri del Ros presso la clinica "La Maddalena" di Palermo, ponendo fine a trent'anni di latitanza.
Il capomafia si era recato presso la clinica privata per sottoporsi ad alcune terapie oncologiche. Il boss di Cosa Nostra era in cura presso la struttura già da un anno.
Lunedì scorso il Procuratore capo di Palermo Maurizio de Lucia e l’aggiunto Paolo Guido si sono recati presso il carcere de L'Aquila, dove si trova detenuto al 41 bis, per interrogarlo.
Alle condanne già ricevute per le stragi del 1993 ed omicidi (oggi è imputato in un processo a Palermo per estorsione ed in appello a Caltanissetta, in quanto mandante delle stragi del 1992) al boss trapanese vengono ora contestati anche nuovi reati, come quello di sostituzione di persona perché ha usato l'identità del geometra Andrea Bonafede e di detenzione abusiva di arma, in relazione al revolver ritrovato nel suo ultimo covo.





Non si è avvalso della facoltà di non rispondere, ma con i magistrati ha parlato per un'ora. L'interrogatorio, definito come "normale prassi", non è stato secretato.
Nonostante un mese di "carcere duro", ben lontano da quella vita agiata che ha sempre vissuto in latitanza, resta un irriducibile.
E la scelta di avere come legale un familiare, ovvero la nipote Lorenza Guttadauro, non apre certo a possibili collaborazioni con la giustizia.
Ricostruire la rete che ha permesso per trent'anni al capomafia di rendersi irreperibile è uno degli obiettivi principali della Procura di Palermo e punto di partenza sono i favoreggiatori più stretti.





Dall'indagine all'arresto
L'indagine, così come è stata raccontata, ha avuto un'accelerazione negli ultimi mesi grazie ad una serie di elementi che portavano in una direzione: seguire la pista della malattia. Di tumore avrebbe parlato una segnalazione giunta agli investigatori. Quindi una serie di intercettazioni telefoniche delle persone più vicine al boss che parlavano di metastasi epatiche, di tumori al colon, o ancora riferimenti al morbo di Crohn e alla chemioterapia. Gli investigatori, dopo aver tracciato un identikit clinico, hanno passato al setaccio gli elenchi di pazienti sulla sessantina che potessero essere in cura per un tumore al colon. E' così che si sono imbattuti in un nome di rilievo: Andrea Bonafede.
Quest'ultimo è nipote di uno dei più fidati collaboratori di Messina Denaro.
L’uomo risultava in cura nella clinica La Maddalena di Palermo.
Incrociando i tabulati telefonici è emerso che il cellulare intestato a Bonafede (incensurato geometra di Campobello di Mazara), non si era mai mosso da Trapani nei giorni in cui, secondo la sua storia sanitaria, si trovava sotto i ferri o in chemioterapia a Palermo.


bonafede andrea carta identita


Andrea Bonafede e l'identità rubata
L'identità di Andrea Bonafede sarebbe stata usata non solo per farsi curare, ma anche per comprare il suo ultimo covo, in vicolo San Vito a Campobello di Mazara, e due macchine.
Lo stesso geometra è stato arrestato con l'accusa di associazione mafiosa.
Nel provvedimento disposto dal gip di Palermo Alfredo Montalto su richiesta della Procura viene detto che il geometra "ha consapevolmente fornito a Matteo Messina Denaro, per oltre due anni, ogni strumento necessario per svolgere le proprie funzioni direttive: identità riservata, un 'covo' sicuro, mezzi di locomozione da utilizzare per spostarsi in piena autonomia". Inoltre "il Bonafede, infatti, con le condotte descritte nelle pagine precedenti, ha senza dubbio fornito all'associazione mafiosa un contributo continuativo di estrema rilevanza, che va ben oltre quello pacificamente attribuito all'autista".
Dunque la figura di Bonafede viene indicata come quella di un "affiliato 'riservato' al servizio diretto del capomafia".





L'autista Luppino
Il giorno dell'arresto, quando si era recato presso la clinica "La Maddalena" di Palermo, assieme a lui c'era il suo autista, Giovanni Luppino. Agli inquirenti ha detto di non aver mai conosciuto Messina Denaro, e di avergli dato "solo un passaggio". Una scusa inverosimile secondo il gip di Palermo, Fabio Pilato, che ne ha convalidato l'arresto il 20 gennaio. "L’incarico di autista - scrive il giudice - viene assegnato a persone di massima fiducia". E poi ancora: "La versione dei fatti fornita dall'indagato è macroscopicamente inveritiera, non essendo credibile che qualcuno, senza preavviso, si presenti alle cinque del mattino a casa di uno sconosciuto per chiedergli la cortesia di accompagnarlo in ospedale per delle visite programmate, in assenza di una situazione di necessità e urgenza".


tumbarello alfonso pb ima 1856406


In manette anche il medico Tumbarello
Lo scorso 7 febbraio il Gip Montalto ha anche emesso un'ordinanza di custodia cautelare anche nei confronti del medico Alfonso Tumbarello, 70enne di Campobello di Mazara, paese in cui il boss trapanese si è nascosto nell'ultimo periodo della latitanza.
Tumbarello risulta iscritto, ed oggi sospeso, alla loggia massonica del Goi.
L'accusa è di quelle che pesano: concorso esterno in associazione mafiosa e falso ideologico. Secondo il giudice Tumbarello non solo "ha personalmente visitato il paziente Matteo Messina Denaro, raccolto l'anamnesi, indicatogli un percorso terapeutico, poi seguito con estrema attenzione, prescritto in più di un centinaio di occasioni farmaci e analisi mediche, per patologie molto gravi, di cui effettivamente soffriva e soffre il boss, intestandole ad un proprio assistito, che in realtà godeva di ottima salute".
Azioni che "hanno garantito a Matteo Messina Denaro non solo le prestazioni sanitarie necessarie per le gravi patologie sofferte, ma soprattutto, per quel che qui rileva, la riservatezza sulla sua reale identità".





L'omonimo Bonafede
Oltre al medico è stato arrestato anche un altro Andrea Bonafede, cugino e omonimo del geometra che ha prestato la propria identità al boss. Al cugino di Bonafede sono contestati i reati di favoreggiamento e la procurata inosservanza di pena aggravati dall'aver favorito Cosa Nostra. In particolare si ritiene che abbia fatto la spola con lo studio di Tumbarello per consegnare al boss le ricette mediche e al professionista i documenti sanitari che il padrino trapanese di volta in volta gli sottoponeva.
Rispetto all'inchiesta sulla prima rete dei fiancheggiatori dell'ex superlatitante nel registro degli indagati risultano i figli di Luppino, ed un altro medico.
Ma è ovvio che la rete di protezione è più ampia e di alto livello, ben superiore a quella “borghesia mafiosa” di cui ha parlato il Procuratore capo de Lucia in conferenza stampa.
Anche magistrati come l'ex Procuratore generale di Palermo Roberto Scarpinato e Nino Di Matteo hanno sottolineato l'esistenza di coperture istituzionali di alto livello che hanno permesso la latitanza trentennale del boss. Coperture dentro e fuori le istituzioni.
Un'ipotesi tutt'altro che peregrina se si ricorda la “rete massonica” di cui ha parlato Maria Teresa Principato, magistrato oggi in pensione che per anni gli ha dato la caccia.
Certo è che ci sono tanti elementi da approfondire come, ad esempio, la "profezia" di Salvatore Baiardo (noto favoreggiatore della latitanza dei fratelli Giuseppe e Filippo Graviano negli anni Novanta) che già a Novembre aveva ipotizzato una possibile cattura di Messina Denaro, parlando anche della sua malattia.





Caccia ai covi ed ai documenti
Tornando alle indagini sull'ex primula rossa sin dal 16 gennaio il radar degli investigatori si è concentrato su Campobello di Mazara.
E' in questa cittadina, sita a pochi chilometri da Castelvetrano, che l'ex “primula rossa” avrebbe vissuto stabilmente per almeno quattro anni, utilizzando anche un'altra identità, quella di 'Francesco'.
E grazie alla collaborazione attiva di Carabinieri, Polizia e Guardia di Finanza sono stati trovati più luoghi dove il padrino avrebbe vissuto o trascorso momenti della propria latitanza.
Nei giorni successivi all'arresto sono stati individuati tre "covi", tutti a poca distanza l’uno dall’altro.
Il primo, scoperto il 17 gennaio, è l’appartamento in cui il boss ha vissuto negli ultimi sei mesi. Il secondo è invece un bunker, un ripostiglio nascosto, all’interno di un’altra casa. Il terzo è ancora una volta un appartamento, a poche centinaia di metri dal primo, che Messina Denaro avrebbe occupato fino allo scorso giugno.





L'appartamento di Vicolo San Vito
Al primo appartamento gli investigatori sono arrivati grazie a una chiave ritrovata nel borsello del boss dopo l'arresto a Palermo. Attraverso il codice della chiave, sono risaliti a un'Alfa Romeo 164 e - grazie a un sistema di intelligenza artificiale - hanno ricostruito ogni spostamento. La casa formalmente, è di proprietà di Andrea Bonafede.
Qui sono state trovate diverse tracce con cui ricostruire la vita di Messina Denaro, come sigle, nomi e numeri di telefono.
E poi sneakers costose, profumi di lusso, occhiali da sole e anche pillole per le prestazioni sessuali. Oggetti che si aggiungono ad alcuni quadri come quello con l'immagine de Il Padrino o il quadro a colori di Joker, il famoso personaggio dei fumetti, nella versione interpretata al cinema da Joaquin Phoenix.
In un secondo momento, grazie ad ulteriori perquisizioni, sono state trovate anche altre cinque carte di identità contraffatte ed una pistola “Smith & Wesson” calibro 38 special, con 5 cartucce pronte per l’uso, nascoste in un mobile della cucina dell’appartamento.
La pistola, ovviamente consegnata al Ris per gli accertamenti tecnici, aveva la matricola abrasa. Gli esperti dei carabinieri dovranno verificare se l’arma è stata utilizzata di recente e verrà comparata con le armi analoghe utilizzate per altri omicidi.





Il bunker nascosto
Il 18 gennaio è la data in cui viene scoperto, sempre a Campobello di Mazara, in via Maggiore Toselli 34, un altro luogo riferito al capomafia. Si tratta a tutti gli effetti di un bunker, blindato e nascosto da un armadio pieno di vestiti. Si accede all’interno passando da un fondo scorrevole. Quel luogo, di proprietà di tal Enrico Riservato (indagato e poi assolto, nel 2001, dall'accusa di associazione mafiosa) è stato definito quasi più come un ripostiglio. All'interno sono stati trovati scatoloni, gioielli, e pietre preziose.
Il diciannove gennaio gli inquirenti perquisiscono un altro appartamento in via San Giovanni. Non è distante né da Vicolo San Vito né dal bunker.
In questo luogo si ritiene che Messina Denaro avesse vissuto fino all’inizio dell’estate. Qui, gli inquirenti sono arrivati seguendo un trasloco.
Il comandante del Ros, Pasquale Angelosanto, ha affermato più volte che non è possibile dire se gli stessi siano stati o meno ripuliti.





I misteri di Messina Denaro
Certo è che il capomafia trapanese conosce i segreti nascosti ed indicibili del rapporto tra Stato e mafia. Un collaboratore di giustizia come Nino Giuffrè ha dichiarato che a lui sono stati consegnati i documenti segreti della cassaforte di Riina.
Inoltre conosce la verità nascosta dietro la strage di Pizzolungo, dalla Chiesa, Chinnici, Capaci e via d'Amelio.
Se collaborasse con la giustizia potrebbe spiegare il perché Cosa nostra, anziché uccidere Falcone a Roma con armi convenzionali, virò su Capaci adottando quelle modalità terroristico-militari che hanno sventato un'intera autostrada.
Messina Denaro potrebbe raccontare il perché la strategia delle bombe venne esportata in Continente a Firenze, Roma e Milano.
Messina Denaro potrebbe svelare il volto di chi, nel 2012, gli chiese di uccidere il magistrato Nino Di Matteo perché si era “spinto troppo oltre”.
Misteri e segreti che potrebbero far crollare un intero sistema di potere.

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