L’allarme del magistrato intervistato nella trasmissione “Perfidia”: “Cedere alla protesta potrebbe aprire una voragine nel sistema”
“La situazione che si è venuta a determinare è veramente delicata e scivolosa perché a fronte di una protesta consistita in uno sciopero della fame, la revoca del 41-bis a quel detenuto potrebbe costituire un precedente di rilievo che può aprire una voragine nel sistema”. A dirlo è il magistrato Nino Di Matteo, intervenuto nel corso dell’ultima puntata della trasmissione “Perfidia” condotta da Antonella Grippo su LaC Tv. L’ex consigliere togato del Csm ha parlato della vicenda dell’anarchico Alfredo Cospito, attualmente detenuto al carcere Opera in regime di 41bis, contro il quale ha avviato, da ottobre, uno sciopero della fame con lo scopo di spingere lo stato ad abolirlo anche per gli altri detenuti, inclusi i capi mafia.
“Le ipotesi possono essere o quelle di una saldatura tra i gruppi anarchici e della criminalità organizzata, ma io non so se siamo in presenza di una strategia ideata in comune, o invece si tratta di una convergenza di interessi che induce i mafiosi a sfruttare iniziative di altri”, ha affermato Di Matteo. “È nel Dna della mafia la subdola capacità di strumentalizzare a proprio favore iniziative e battaglie che vengono concepite in altri contesti. Credo comunque che da qui a pochi mesi si potrà capire la reale intenzione della politica italiana rispetto al contrasto alle mafie e capiremo bene anche quale sarà la reazione delle mafie che sono ancora molto forti nel nostro Paese”. Per quanto concerne il 41 bis, il magistrato ha detto che rimane uno strumento imprescindibile e rimane nel recinto costituzionale se vengano rispettati i confini.
“Più volte è stata sottoposta al vaglio della Corte Costituzionale che ha stabilito che, rispettando determinati limiti e condizioni, quel trattamento penitenziario è costituzionalmente legittimo. Noi non dobbiamo pensare che il 41-bis sia un eccesso di afflizione verso alcuni detenuti, non ha un carattere punitivo, di vendetta, ma deve avere soltanto una funzione di prevenzione. È nato per evitare che i capi delle organizzazioni in grado di influenzare le decisioni di chi sta in libertà continuino ad esercitare il loro ruolo. E in questo senso l’applicazione deve essere rigorosa ed effettivamente limitata nei casi in cui queste esigenze di prevenzione risultino concrete”. Di Matteo, sempre sulla questione dei boss detenuti e il regime di carcere duro, ha affermato. “È certo che la mafia, soprattutto Cosa nostra, ha sempre puntato moltissimo, sin dal periodo delle stragi, sull’abolizione dell’ergastolo ostativo e sull’attenuazione del 41-bis. Per un certo periodo io credo che le mafie abbiano sperato in una svolta positiva, soprattutto dopo le sentenze della Corte europea e della Corte Costituzionale. Ritengo che in questo momento, il decreto approvato dal governo Meloni possa avere raffreddato quelle aspettative, quindi la storia ci dovrebbe insegnare ad essere particolarmente cauti, anche nell’escludere il ritorno di una strategia di più violento attacco alle istituzioni. Dico questo perché non credo che una intera generazione di condannati all’ergastolo ostativo, magari arrestati già da 25, 28 o 30 anni, sia disposto a morire in carcere”.
L’arresto di Messina Denaro
Nino Di Matteo ha anche risposto ad alcune domande sull’arresto del boss stragista Matteo Messina Denaro, alle quali hanno risposto anche gli ospiti Stefania Craxi, Angelo Bonelli, Klaus Davi, Enza Bruno Bossio e Anna Laura Orrico.
“È stato arrestato a casa sua - ha esordito Di Matteo sulla questione Messina Denaro - in un territorio nel quale almeno negli ultimi 15 anni, dopo l’arresto di Bernardo Provenzano, la pressione era stata incessante e penetrante da parte delle forze dell’ordine. Ha utilizzato documenti di un soggetto del luogo che a Campobello di Mazara continuava a vivere, ha utilizzato telefonini, tutti comportamenti sorprendenti che si possono spiegare col fatto che o era così sicuro di avere protezioni talmente alte da ritenere di non poter essere arrestato, oppure ha accettato in qualche modo di poter essere arrestato. Aggiungo un’ulteriore anomalia, e cioè la previsione che un soggetto già condannato per la latitanza dei fratelli Graviano, Salvatore Baiardo, aveva preconizzato questa cattura e perfino la tempistica”.
La conduttrice ha poi chiesto al magistrato cosa può succedere se Messina Denaro cominciasse a parlare, facendo tremare segmenti istituzionali importanti più che i vertici di Cosa nostra.
“Le mie non sono e non possono essere previsioni - ha spiegato Di Matteo -. Quello che ho detto ("Se collaborasse in maniera autentica potrebbe causare un terremoto dentro e fuori Cosa Nostra", ndr) deriva dalla conoscenza di atti investigatici e processuali. Messina Denaro è stato protagonista nella sua storia criminale di vicende che hanno coinvolto la mafia e non solo. Innanzitutto è stato un protagonista assoluto dell’agire mafioso in una provincia particolare come quella di Trapani, anche per i legami che Cosa Nostra ha avuto con pezzi deviati dello Stato, con la massoneria e con vicende che hanno riguardato anche campi di addestramento di Gladio. Poi - ha aggiunto - se rileggiamo le sentenze sulle stragi sappiamo che Messina Denaro è stato organizzatore, esecutore e uno degli strateghi di quella stagione. Tutto ci induce a pensare che sappia perché, dopo il 23 gennaio del 1994, quando è fallito per un cattivo funzionamento di un radiocomando il tentativo di uccidere cento carabinieri allo Stadio Olimpico di Roma, improvvisamente quel progetto studiato così a lungo rientrò. È vero che il 27 gennaio furono arrestati i fratelli Graviano, ma c’era tutto un armamentario di uomini e mezzi che avrebbero consentito di compiere quella strage”.
Riflessioni che partono dal presupposto che Messina Denaro ha vissuto da protagonista i momenti salienti della strategia mafiosa, di cui alcuni aspetti tuttora sono sconosciuti.
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