Nella puntata di Report gli elementi sul Delle Chiaie, leader di Avanguardia Nazionale
Le Procure di Firenze, Palermo, Caltanissetta, Reggio Calabria ed anche quella di Roma, coordinate dalla Procura nazionale antimafia, in questi mesi sono impegnate in un importante lavoro di rilettura sulle stragi degli anni Novanta.
Stragi di mafia, certamente, ma non solo. Sono sempre più evidenti quelle tracce che potrebbero portare all'individuazione di altri responsabili: i cosiddetti mandanti e concorrenti esterni.
Anche di questo ha parlato ieri la prima puntata del 2023 del programma Report, condotto da Sigfrido Ranucci.
Nel reportage di Paolo Mondani, intitolato "Facce da mostro" sono stati messi in fila alcuni spunti investigativi che indicano possibili responsabilità di una figura ambigua come Stefano Delle Chiaie (fondatore di Avanguardia Nazionale e cofondatore di Ordine Nuovo).
Quest'ultimo, morto nel 2019, fu prosciolto o assolto non solo per le stragi del 1993 ma anche per altre stragi come quella di piazza Fontana del 1969, dell'Italicus del 1974, della stazione di Bologna del 1980 e anche per il golpe Borghese.
Le scorse settimane è emerso che la Procura di Firenze, così come quella di Caltanissetta, stanno effettuando nuovi accertamenti su quelli che furono i suoi spostamenti negli anni delle stragi di mafia del 1992 e del 1993.
Così nel corso della puntata è stato mostrato il contenuto di quell’informativa redatta dall’allora capitano dei carabinieri Gianfranco Cavallo, dove si segnalava proprio la presenza di Stefano Delle Chiaie a Capaci per ricercare esplosivo, nei giorni precedenti all'attentato. Una informazione dal grande valore investigativo, ma che non è stata mai approfondita. Almeno fino ad oggi.
Il racconto di Palmeri e l'esplosivo
Il primo tassello evidenziato nel corso della trasmissione è quello portato dalla testimonianza del collaboratore di giustizia Armando Palmeri, factotum del capomafia di Alcamo Vincenzo Milazzo (ammazzato per vendetta dai corleonesi nel luglio del 1992). Così come aveva già fatto negli anni Novanta e nel corso dei processi, Palmeri ha riferito di tre incontri che Milazzo avrebbe avuto con uomini dei servizi segreti che "chiedevano la destabilizzazione dello Stato con attentati, l'inquinamento di acquedotti e delle bombe". Milazzo sarebbe stato contrario a questa strategia e per questo motivo fu ammazzato, così come la compagna, Antonella Bonomo, in quanto i boss temevano che potesse aver detto qualcosa ad un suo parente che aveva lavorato proprio per il Sismi ed il Sisde.
Al processo trattativa Stato-mafia Palmeri ha detto di ricordare ancora oggi alcuni dettagli somatici dei due soggetti che vide con Milazzo. Ma quando nel 1998 gli mostrarono un album fotografico per individuarli i volti di queste persone non c'erano. "Questa è la vera mafia, mi diceva Milazzo, noi siamo dei semplici burattinai al loro cospetto" ha raccontato al giornalista Mondani.
Successivamente ha raccontato delle confidenze ricevute da Antonino Gioé, ex boss di Altofonte morto in circostanze misteriose nel carcere di Rebibbia la notte tra il 28 e il 29 luglio del 1993 (venne ritrovato impiccato con i lacci delle scarpe nella cella in cui trascorreva la detenzione).
Un soggetto che, secondo un'informativa dei carabinieri, non era solo un mafioso, ma un uomo di destra, ex paracadutista, nonché soggetto adatto ad operazioni riservate. Non a caso Francesco Di Carlo (deceduto, ndr), che era suo parente, lo definiva come uomo in collegamento con i servizi segreti.
"A volte lo accompagnai ad incontri particolari con uomini delle istituzioni - ha detto Palmeri - Se parlammo di Capaci? Mi disse ufficiosamente che a 'Giovannieddu (Brusca, ndr) ci paria che era iddu a farlo esplodere'. Mi diceva che il dispositivo per lanciare l'impulso era un giocattolo e che era in sinergia con altra gente. Cosa mi sta dicendo? Era un'operazione militare perfetta".
Ma Gioé non avrebbe parlato solo di Capaci con Palmeri, ma anche di un traffico di materiale radioattivo e dell'arrivo di elicotteri con materiale fissile nucleare che sarebbe stato scaricato proprio nel territorio di Alcamo. Addirittura ha affermato di aver visto queste casse.
Alla domanda se questo traffico serviva anche a finanziare le stragi il pentito ha preferito non rispondere in quanto vi sarebbero delle indagini in corso.
Del resto anche la Commissione parlamentare antimafia, in una sua relazione, sostiene che "ad Alcamo, in provincia di Trapani, è emerso un traffico di materiale fissile verso la Libia, in atto almeno dal 1976 e proseguito perlomeno sino al 1993".
Sul punto, viene fatto notare nel servizio andato in onda su Rai Tre, nel 1983 l'ex ufficiale Cia Edwin Wilson venne condannato in quanto membro di un'alleanza clandestina tra varie forze di intelligence (anche noto come Secret Team) che gestiva proprio un traffico di armi verso la Libia. E vi erano anche complici italiani.
Una coincidenza, forse. O forse qualcosa di più.
La relazione di Giuseppe Peri
Certo è che quel territorio, così come la Sicilia, è stato teatro di vari misteri.
Nell'autunno del 1977 il Comandante di Alcamo, Giuseppe Peri mise in evidenza in un rapporto inviato a sette procure della repubblica dei collegamenti che emergevano tra quattro sequestri di persona, sette omicidi e la sciagura aerea di Montagna Longa con l'esplosione del Dc 8 che era prossimo ad atterrare all'aeroporto di Punta Raisi.
La strage che fece 115 vittime - 108 i passeggeri sul volo AZ 112 per tornare a casa in prossimità delle elezioni - resta tuttora senza colpevoli né ragioni, ricondotta ad un errore umano che ha portato il velivolo allo schianto contro la montagna.
Fatti che secondo il militare dovevano essere ricollegati alla strategia della tensione.
Poco tempo fa i familiari delle vittime hanno affidato una perizia al professore Rosario Ardito Marretta da cui emerge che sull'aereo esploso il 5 maggio 1972 c'era una bomba. Il figlio di Peri, Roberto, intervistato da Report, ha ricordato che nella relazione del padre emergeva la relazione tra mafia, massoneria e terrorismo di destra. Un filo che torna con le stragi degli anni Novanta?
Le stragi e il piano politico-eversivo
Nell'intervista all'ex Procuratore generale di Palermo, Roberto Scarpinato, viene ricordato come diversi pentiti raccontino che nella seconda metà del 1991, "un numero ristretto di capi di Cosa nostra discusse a lungo su un progetto di destabilizzazione suggerito da entità esterne che prevedeva, attraverso l'esecuzione di stragi, di destabilizzare l'ordine politico esistente per aprire la strada ad un nuovo soggetto politico per garantire l'impunità e l'interesse della mafia, della destra eversiva e della massoneria". E' quello il periodo della nascita di numerose leghe del Sud.
E' in questo contesto del racconto che si inserisce la figura di Stefano Delle Chiaie.
Lo spunto investigativo, ripreso da Report e oggetto delle indagini, è quello che fu raccontato dal collaboratore di giustizia Alberto Lo Cicero (autista del boss Mariano Tullio Troia, anche detto 'U Mussolini) prima, già negli anni Novanta, all'ex brigadiere Walter Giustini, ma anche da Maria Romeo, compagna del pentito e sorella di Domenico Romeo, segretario ed autista di Stefano Menicacci (avvocato di Delle Chiaie ed ex Msi).
Secondo il racconto della donna Delle Chiaie sarebbe stato a Capaci prima della strage. "Alberto - ha detto nell'intervista - pensava che Delle Chiaie era l'aggancio tra la mafia e lo Stato. Un portavoce di quelli di Roma".
Già nel 1992 fu redatta un'informativa che conteneva queste indicazioni.
Quella nota con le dichiarazioni della Romeo, però, scomparve per tanto tempo dai radar dell'autorità giudiziaria, così come ha raccontato l'ex Pg di Palermo Scarpinato. "In quel documento - ha aggiunto - si fa riferimento all'arrivo di Delle Chiaie a Palermo nell'aprile 1992. Si parla dell'incontro con il boss Troia e della ricerca per l'esplosivo di Capaci. La cosa rilevante è che nell'ottobre 1992 nessuno sapeva il ruolo di Antonino Troia nella strage di Capaci. Solo dopo emersero le prove che portarono alla condanna e si accerta che è lui l'uomo che ospita il commando di Capaci e che custodisce l'esplosivo".
A redigere la nota era stato il carabiniere, Gianfranco Cavallo, oggi Generale di Corpo di Armata. Il documento fu inviato ai magistrati Aliquò, Celesti e Tinebra, oltre che agli ufficiali Borghini ed Adinolfi.
La Romeo, intervistata da Mondani, ha detto di aver parlato sia con Cavallo che con altri militari, tra cui il capitano Arcangioli. Non uno qualunque, se si pensa che la sua figura è quella che fu fotografata con in mano la borsa di Paolo Borsellino nel giorno della strage di via d'Amelio. Che fine hanno fatto verbali ed informative? Che fine hanno fatto le registrazioni che la donna dice di aver dato alla Procura nazionale antimafia nel 2007?
La questione Sparacio
Altro argomento approfondito nel corso della puntata ed oggi oggetto di indagini dalle Procure che indagano sulle stragi sono le dichiarazioni del collaboratore di giustizia Luigi Sparacio.
Anche lui parlava di Delle Chiaie e riferì ai magistrati di Firenze di un incontro che si sarebbe tenuto a Roma tra l'eversore nero e Nino Mangano, uomo di fiducia di Leoluca Bagarella. Addirittura mise a verbale che Delle Chiaie aveva consegnato una mappa con delle x segnate sui luoghi per gli attentati da fare.
Come abbiamo detto anche in altre occasioni Delle Chiaie, a seguito di queste dichiarazioni, fu iscritto nel registro degli indagati, ma poi venne archiviato nel 2002 su richiesta degli stessi pm.
Le dichiarazioni dello Sparacio non furono ritenute attendibili al tempo e anche oggi vengono prese con le pinze dagli investigatori.
Nel 2000, quando venne sentito dai magistrati fiorentini Nicolosi e Crini, raccontò di un incontro nel gennaio-febbraio 1993 che si sarebbe tenuto a casa dell'imprenditore Michelangelo Alfano, in cui Delle Chiaie avrebbe dato anche degli "input" su come fare gli attentati. E tra quelli in programma vi sarebbe stato anche uno ai danni dell'allora capo della Dia Gianni De Gennaro.
Il progetto politico delle Leghe meridionali
Tra le persone intervistate vi sono anche Massimo Pizza, ex Sismi e a suo dire ex esponente di Gladio, e Antonio D'Andrea, vice segretario nazionale della lega meridionale "Centro Sud e isole". Il primo ha raccontato che la lega meridionale era la "longa manus" di Cosa nostra per l'attuazione di un progetto di destabilizzazione politica ispirato al Venerabile della P2 Licio Gelli. Un piano che fu discusso in una riunione a Roma, a cui parteciparono varie componenti e che vedeva anche il progetto di riciclare un'enorme quantità di denaro.
Di denaro ha poi parlato D'Andrea riferendo di cento miliardi di lire raccolti da imprenditori vicini alla mafia e che furono in qualche maniera parcheggiati sotto il controllo del monsignor Cassise, vescovo di Monreale, e che tramite Lima vennero poi drenati verso lo Ior.
Ma D'Andrea ha anche rivelato che Vito Ciancimino, che al tempo era interessato al progetto delle Leghe meridionali, raccontò degli incontri con i carabinieri ai tempi delle stragi dicendo che era proprio lo Stato a "voler trattare" e non Riina, nell'esigenza di tutelare "interessi indicibili".
Quindi ha raccontato che in una riunione pubblica nell'aprile 1991 presso l'hotel Jolly, in cui si parlava della Lega Meridionale, "un signore venne verso la presidenza urlando per dire 'va bene così, amuninne'. Io sciolsi la riunione. C'erano la Digos, le istituzioni con ruolo. Io quella persona che aveva detto quelle parole, dicendo che potevamo andare via, lo rividi tempo dopo in televisione. Era Totò Riina. Probabilmente voleva mostrare a tutti che c'era lui dietro questa cosa".
Rossella Lombardo, figlia del maresciallo Antonino Lombardo
Il capitolo sulla morte del maresciallo Lombardo
Altro argomento ha poi riguardato la morte del maresciallo dei carabinieri Antonino Lombardo. Ad oggi viene considerato come un "suicidio", ma vi sono tante e troppe anomalie sul caso per non ritenere che in realtà possa esservi altro. Da tempo la famiglia ha chiesto la riapertura delle indagini alla Procura di Palermo. I figli hanno prodotto una perizia in cui viene proprio avvalorata l'ipotesi di omicidio. Così Report ha ricordato che nei giorni prima della sua morte Lombardo aveva accompagnato più volte il collaboratore di giustizia Totò Cancemi, che aveva parlato di Silvio Berlusconi e Marcello Dell'Utri (oggi indagati come mandanti esterni delle stragi a Firenze, ndr). Sempre Lombardo doveva recarsi negli Stati Uniti per convincere Tano Badalamenti a venire a testimoniare in Italia e pochi giorni prima della sua morte aveva detto ad Agnese Borsellino che presto avrebbe portato i nomi dei responsabili della morte del marito su un vassoio d'argento. Circostanza quest'ultima che è stata raccontata dalla figlia, Rossella Lombardo.
Vengono quindi messe in evidenza le stranezze sulla lettera che fu ritrovata in cui si "spiegava la morte" su cui non venne fatta una perizia calligrafica. O ancora l'assenza di sangue all'interno della lettera. E così via. Stranamente non vi è alcun riferimento all'uomo che trovò Lombardo nell'auto: il capitano Ultimo, ossia Sergio De Caprio.
Le stragi del 1993 e i documenti spariti dalla Procura nazionale antimafia
L'ultimo tassello messo in evidenza nella puntata di Report ha poi riguardato le stragi del 1993 ripercorrendo le conclusioni dell'ultima relazione della Commissione antimafia sulla possibile partecipazione di soggetti esterni a Cosa nostra. Come evidenziato dal magistrato Gianfranco Donadio c'è la presenza di esplosivo di tipo militare che viene aggiunta rispetto a ciò che viene detto dai collaboratori di giustizia. Così come testimonianze parlando della presenza di una donna, tanto a Firenze, quanto a Milano.
Donadio alla Procura nazionale antimafia, prima di essere trasferito, aveva sviluppato diversi spunti investigativi. Secondo una fonte istituzionale, interpellata da Report, parte di quel lavoro era in 14 faldoni che sarebbero poi spariti. "Questi faldoni interi - ha detto - erano in un solaio all'ultimo piano di via Giulia. I primi mesi del 2019 un ufficiale di polizia giudiziaria certificò la sparizione". Come fatto notare da Mondani siamo esattamente nel periodo in cui la Procura nazionale affida al magistrato Nino Di Matteo il coordinamento delle indagini sui mandanti esterni delle stragi. "Sì - ha detto la fonte - e poco dopo verrà allontanato dalle indagini dal vertice della Dna. Cosa contenevano quei faldoni? Le indagini sulle stragi di Falcone e Borsellino e le piste più promettenti. Anche questa su Delle Chiaie".
Una coincidenza inquietante. Segno non solo che ancora oggi c'è chi non vuole la verità sulle stragi, ma che nelle segrete stanze c'è chi teme che magistrati coraggiosi possano mettere in fila i pezzi e svelare questi segreti.
Guarda la puntata di Report: rai.it
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