Questo sito utilizza cookie tecnici e di terze parti per migliorare la navigazione degli utenti e per raccogliere informazioni sull’uso del sito stesso. Per i dettagli o per disattivare i cookie consulta la nostra cookie policy. Chiudendo questo banner, scorrendo questa pagina o cliccando qualunque link del sito acconsenti all’uso dei cookie.

Il magistrato risponde alle domande di Abruzzo Web

“Dopo il Csm tornerò alla Procura nazionale antimafia”

Abbiamo aspettato le motivazioni della sentenza di assoluzione” del processo Trattativa Stato-mafia per aggiornare il libro “Il patto sporco e il silenzio” (ed. Chiarelettere), e quelle motivazioni “ci hanno particolarmente colpiti perché dimostrano che i fatti che avevamo ricostruito nella nostra inchiesta sono ritenuti provati anche nella sentenza di assoluzione, che si riferisce soltanto ad un aspetto della asserita mancanza di dolo nel comportamento di alcuni uomini di Stato, ma i fatti che vengono rassegnati e ricostruiti in questa motivazione ultima sono assolutamente gravi ed importanti. Ed in qualsiasi Paese che coltivasse la memoria, avrebbero dovuto scatenare un dibattito a livello sociale, giornalistico e politico, invece abbiamo registrato, rispetto a questa sentenza, soltanto silenzi e mistificazioni”. A parlare è il consigliere togato al Csm Nino Di Matteo intervistato da Roberto Santilli per Abruzzo Web lo scorso 30 dicembre. Una lunga intervista in cui il magistrato palermitano - commentando la nuova edizione del suo libro scritto a quattro mani assieme al giornalista Saverio Lodato - ha risposto ad alcune domande sulle motivazioni della sentenza di appello del processo e sul suo futuro che, quest’anno, lo vedrà lasciare Palazzo dei Marescialli per tornare alla Procura nazionale antimafia che gli consentirà di proseguire il suo impegno nella lotta alla mafia “con un ruolo che l’Ufficio ha e che può essere importante, perché per le attribuzioni di legge la Direzione nazionale antimafia ha un ruolo che è sì fondamentalmente di coordinamento delle attività delle altre Direzioni distrettuali antimafia, ma è anche di impulso alle attività delle procure distrettuali. Quindi, spero di contribuire a valorizzare il ruolo che la legge attribuisce alla Procura nazionale antimafia, un ufficio che, non dimentichiamolo, fu voluto fortemente e concepito da Giovanni Falcone”, ha detto.
La prima edizione del libro “Il patto sporco” (2018) venne realizzata dagli autori all’indomani della sentenza di primo grado del processo Trattativa Stato-mafia, “perché pensavamo che quanto emerso nel corso del processo fosse meritevole di attenzione e non per un interesse nostro, ma per un interesse dei cittadini e dell’opinione pubblica, che devono essere informati su quanto i processi consentono di accertare in ordine a fatti di estrema importanza che riguardano un periodo particolarmente importante e delicato della nostra storia repubblicana, quello delle stragi del 1992, del 1993 e anche del 1994 con il fallito attentato allo Stadio Olimpico di Roma”, ha detto Di Matteo. Poi è arrivata la sentenza di parziale assoluzione in Appello e “per questo abbiamo ritenuto di aggiornare il libro - ha aggiunto -. Ritengo alcune conclusioni di questa sentenza talmente precise e gravi che non possono essere ignorate, ma il nostro è un Paese che invece di confrontarsi con il passato, in certi casi come questo preferisce ignorarlo e oscurarlo”.
Oscurare atroci verità che emergono anche dalla sentenza di appello, ad esempio che “mentre era in atto la strategia stragista” con le stragi del ’92 “una parte significativa dello Stato ha cercato la mafia per vedere cosa si potesse fare per far cessare quella strategia stragista - ha spiegato Nino Di Matteo -. C’è scritto, in questa sentenza, che quegli imputati di Stato hanno cercato l’ala cosiddetta moderata della mafia per capire come fermare l’ala cosiddetta oltranzista della mafia. In sintesi: hanno trattato con un nemico per cercare di bloccare un altro nemico ritenuto ancora più pericoloso”. “A me sembra l’affermazione di un fatto assolutamente devastante - ha aggiunto -. Uno Stato democratico, liberale, uno Stato di diritto, che tratta con il nemico. Credo che quanto hanno scritto i giudici dovrebbe provocare almeno un dibattito, anche politico, acceso. Può lo Stato trattare con Bernardo Provenzano, perché di questo si tratta, per bloccare la strategia stragista di Totò Riina?” Sempre nelle motivazioni della sentenza di appello del processo sulla trattativa Stato-mafia è scritto chiaramente che “la mancata perquisizione del covo di Riina da parte dei Carabinieri del Ros subito dopo il suo arresto, un fatto assolutamente anomalo nella storia giudiziaria italiana e non solo, fu un segnale all’ala ‘provenzaniana’ di Cosa Nostra per dimostrare la serietà dell’intento trattativista dello Stato - ha sottolineato il Consigliere del Csm -. E ancora, che i vertici dei Carabinieri del Ros per alcuni anni protessero la latitanza di Provenzano, perché in quel momento lo stesso Provenzano doveva restare libero per poter ‘costituire’ un alter ego rispetto all’ala che voleva proseguire con le stragi”.


il patto sprco mockup

Nella sentenza “si fa riferimento a ‘indicibili ragioni di interesse nazionale’ - ha continuato Di Matteo -, a un ‘superiore interesse che spingeva ad essere alleati del proprio nemico per contrastare un nemico ancora più pericoloso’. Quando si leggono queste cose scritte da giudici che comunque hanno dimostrato di non essere ‘schiacciati’ sulle nostre posizioni, tanto che hanno assolto alcuni degli imputati, mi viene da pensare a coloro i quali, e sono tanti, tra uomini di Stato, magistrati, carabinieri, poliziotti, politici, che proprio per non scendere a nessun compromesso con la mafia, per avere rifiutato ogni forma di mediazione con la mafia, sono stati uccisi. E poi, quale credibilità può avere uno Stato che ad esempio pretende dai commercianti e dagli imprenditori vessati dalle estorsioni, una collaborazione, una volontà e capacità di denuncia, dopo aver preferito, in un momento cruciale della nostra storia, per evitare una conseguenza, dialogare a distanza e trattare con una parte cosiddetta moderata della mafia? Quella stessa parte considerata moderata, Provenzano in primis, si è resa protagonista in quegli stessi anni di decine di omicidi e di attività mafiosa comunque importante e vessatoria a tutti i livelli”. Ecco, allora, che il libro “ha ragion d’essere nel riportare un minimo di attenzione su quelli che sono stati i fatti che hanno caratterizzato la storia d’Italia, in un passaggio cruciale, quello dalla Prima Repubblica alla Seconda Repubblica”, ha continuato il magistrato sottolineando come “sia troppo facile e troppo concettualmente disonesto affermare che quelle sentenze hanno evidenziato che il nostro era un lavoro costituito su un teorema e non sui fatti. Questa è una mistificazione. Perché anche quest’ultima sentenza dimostra che il nostro lavoro di ricostruzione dei fatti, oltre ad essere stato difficile ed ostacolato, nonché pericoloso, è stato un lavoro che ha consentito di accertare fatti e situazioni realmente verificatisi”.
Come già affermato durante la prima presentazione della nuova edizione de “Il patto sporco” (avvenuta a Roma lo scorso 17 dicembre), Di Matteo intravede un preoccupante oscuramento e una mistificazione dei fatti in oggetto all’inchiesta Trattativa Stato-mafia. “Sono tanti i fattori che concorrono a determinare queste amare conclusioni - ha continuato il Consigliere togato del Csm a Roberto Santilli. Da un lato c’è un fattore “culturale”. Il nostro “sta diventando un Paese senza memoria e temo che secondo questo andazzo, come tutti i Paesi senza memoria, l’Italia possa diventare un Paese senza futuro”. Dall’altro lato, invece, Di Matteo intravede la tendenza e la convenienza a parlare di mafia e di sistemi mafiosi in generale “quando si affrontano e si ricordano e si sottolineano gli aspetti, diciamo, militari dell’attività mafiosa, e non quando invece si dovrebbero affrontare gli aspetti strategici e soprattutto quando, come in questo caso, si affronta e si dimostra come lo Stato e le istituzioni non è vero che si siano, in maniera assoluta e incondizionata, sempre opposte ad ogni tentativo di influenza mafiosa della politica, ma tante volte hanno avallato una sorta di pacifica convivenza”. “Ecco perché questi sono argomenti scomodi da trattare - ha aggiunto -. Anche del periodo delle stragi si preferisce celebrare un ricordo fine a se stesso, sterile, semplicistico, che tende a curare soltanto l’aspetto emozionale. Questo Paese, al contrario, avrebbe bisogno di capire a fondo le ragioni di quello che è accaduto, perché in quello che è accaduto si possono trovare i germi anche di ciò che accade oggi. Senza dimenticare, tra l’altro, il fatto che uno dei protagonisti mafiosi assoluti di quel periodo stragista, soprattutto delle stragi di Roma, Firenze e Milano del 1993, è ancora latitante. Parliamo, ovviamente, di Matteo Messina Denaro”.
In conclusione, Di Matteo ha fatto riferimento al ruolo della Politica nella ricerca della verità su questi fatti: la “grande assente”. Con gli elementi emersi nel corso dei processi celebrati finora, “oggi mi sento di definire la probabilità di una compartecipazione alla ideazione, alla organizzazione e alla esecuzione delle stragi anche di soggetti che non appartenevano a Cosa Nostra - ha continuato -. Su questo ‘crinale’, non solo devono proseguire le indagini della magistratura e di più procure e con il coordinamento della Procura nazionale antimafia, ma sarebbe auspicabile che si verificasse quello che fino a ora non si è verificato, ossia un rinnovato interesse anche della politica, con le sue istituzioni come la Commissione parlamentare antimafia, ma pure più in generale da parte dell’opinione pubblica, anche stimolato attraverso la memoria coltivata dai media”. Ma il corso delle cose sembra orientarsi nel senso opposto, “sembra quasi che su questi argomenti alti e particolarmente delicati, una parte consistente del potere spera soltanto che vengano definitivamente archiviati non soltanto a livello giudiziario, ma anche a livello di conoscenza, discussione e attività di analisi, come se si volesse mettere una pietra tombale su una parte di storia italiana che ci ha riguardato e che continua a riguardarci, visto che anche se le mafie, almeno per il momento, sparano meno di prima, non è detto che non possano ricominciare a sparare come e più di prima”, ha detto Di Matteo. “Posto che le mafie si stanno sempre più infiltrando, anzi, addirittura in qualche caso impadronendo, dei settori ampi dell’economia, dell’imprenditoria, della finanza".

Foto © Deb Photo

ARTICOLI CORRELATI

Di Matteo: ''Regolamento di conti contro magistratura è pericoloso per i cittadini''

Torna ''Il Patto Sporco'', un libro contro bavagli e silenzi
di Giorgio Bongiovanni

Sonia Bongiovanni legge Saverio Lodato e Nino Di Matteo: ''Il Patto Sporco e il silenzio''

Stato-mafia: trattativa libera tutti!
di Lorenzo Baldo

Trattativa Stato-mafia, la Procura generale fa appello in Cassazione
di Aaron Pettinari

ANTIMAFIADuemila
Associazione Culturale Falcone e Borsellino
Via Molino I°, 1824 - 63811 Sant'Elpidio a Mare (FM) - P. iva 01734340449
Testata giornalistica iscritta presso il Tribunale di Fermo n.032000 del 15/03/2000
Privacy e Cookie policy

Stock Photos provided by our partner Depositphotos