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L’intervista esclusiva a Non è l’Arena

Ripercorse le tappe di uno dei pentiti di mafia più grandi di sempre. “Se un giorno capirò che mi staranno per uccidere dirò grazie”

Non credevo che arrivasse mai questo momento, ma è arrivato e ne sono contento”. Gaspare Mutolo, ex killer di Cosa Nostra, braccio destro di Rosario Riccobono e autista di Totò Riina, uno dei maggiori collaboratori di giustizia della storia, pentito di cuore e di fatto, si è tolto la maschera che lo accompagna da trent’anni esatti mostrandosi all’Italia e al mondo. Lo ha fatto ieri davanti alle telecamere del programma “Non è l’Arena”, in onda su La 7, e al conduttore Massimo Giletti che questa estate ha girato insieme a lui per Palermo passeggiando maggiori luoghi insanguinati dalla mafia. E’ la prima volta che Mutolo mostra il suo viso e le sue espressioni facciali in televisione (lo aveva fatto già di recente ma sulle pagine della rivista Oggi). Un gesto di grande coraggio con il quale l’ex boss - che iniziò a collaborare con lo Stato, nella persona del magistrato Paolo Borsellino, il 1° luglio 1992 - ha deciso di chiudere totalmente con i suoi primi 50 anni di vita fatti di omicidi, sequestri e traffici di droga. “Nel momento in cui accenderò la luce la sua vita cambierà perché tutti sapranno chi è lei”, gli ha ricordato Giletti in studio. Mutolo non ha esitato. “Vivo con una condanna a morte da 30 anni ma non ci faccio caso e sono contento e convinto di proseguire questa strada”. Le luci si sono accese e la penombra che lo avvolgeva in studio, la stessa che lo avvolge da decenni, è scomparsa. Milioni di spettatori, in diretta, hanno conosciuto il viso di uno dei più importanti pentiti della mafia.
Mi fa stare bene farmi vedere in tv”, ha affermato poco dopo. “Ma sarei stato ancora più contento se accanto a me ci fosse stata anche mia moglie (morta sei anni fa, ndr). Lei avrebbe condiviso la mia scelta di farmi vedere in pubblico. Quando ci siamo sposati, quasi sessant’anni fa, sapeva chi ero e condivideva tutte le scelte perché prima di me aveva scoperto che c’era in me qualcosa di buono”. Gaspare Mutolo si è quindi raccontato a Giletti, rispondendo alla miriade di domande che questi gli ha posto permettendo al pubblico da casa di entrare per un attimo nel suo controverso percorso di vita: prima uomo del male e poi uomo del bene. In questo dualismo, Mutolo ha ripercorso le tappe che lo hanno caratterizzato maggiormente: la gioventù, il suo ingresso in Cosa nostra, l’arresto, la conoscenza di Totò Riina in cella nel 1965 e poi il primo omicidio, la detenzione, la collaborazione con la giustizia e la pittura come strumento di riscatto.


borsellino mutolo abbraccio


L’abbraccio di Salvatore Borsellino
In questo viaggio, nel corso della trasmissione, è stato mostrato anche il tanto atteso ritorno di Mutolo nella sua Palermo dove non veniva da lunghi anni. Insieme a Giletti si è recato al porticciolo di Mondello dove è cresciuto; la casina a Capaci stante alla quale Giovanni Brusca, anche lui oggi pentito, schiacciò il telecomando che azionò il tritolo che uccise Giovanni Falcone, Francesca Morvillo e la scorta (anche Mutolo ritiene che Cosa nostra non fu sola in quell’attentato), e infine via d’Amelio, luogo della strage Borsellino. Qui, sotto all’ulivo piantato nel luogo del cratere provocato dalla Fiat 126 imbottita di esplosivo, Gaspare Mutolo ha rincontrato Salvatore, fratello di Paolo. I due si sono salutati con un forte e commovente abbraccio, un’immagine che sicuramente provocherà alcune reazioni secondo il fondatore del Movimento "Agende Rosse". “Oggi Gaspare è un’altra persona”, ha affermato con forza Salvatore Borsellino. “La prima volta che sono venuto a incontrare Gaspare mi ricordo che mia figlia mi disse: ‘Ma papà sei pazzo? Vai a incontrare quella persona che con le sue mani ha strangolato tante persone’. E io le ho detto che ‘sono sicuro che Gaspare è diventato un’altra persona’. E quindi io non stringo la mano a quel Gaspare di allora io stringo la mano al Gaspare di oggi. Io non soltanto gli stringo la mano, lo abbraccio pure”, ha detto a Giletti. “Perché noi due abbiamo parlato tanto e sono convinto che lui, diversamente da altri mafiosi, che hanno collaborato con la giustizia solo per avere degli sconti di pena, ha fatto un percorso diverso ed è sicuramente un’altra persona”. In quella stessa via, Salvatore Borsellino diversi anni fa ha incontrato Massimo Ciancimino, figlio del sindaco mafioso Vito, che contribuì al raggiungimento della verità nell’inchiesta sulla Trattativa Stato-mafia. Anche in quel caso “sono stato attaccato da tutte le parti, persino all’interno del mio movimento. Ora sarò attaccato perché ho abbracciato Gaspare Mutolo”.
Salvatore Borsellino ha quindi ricordato suo fratello e l’accelerazione che, secondo le sentenze, subì il progetto di attentato nei suoi confronti. Da trent'anni - la strage avvenne il 19 luglio 1992 - gli interrogativi attorno al suo compimento sono molteplici: perché quell'attentato avvenne così in fretta, appena 57 giorni dopo l'attentato di Capaci? Quali furono i motivi che portarono all'accelerazione di cui hanno parlato collaboratori di giustizia di primissimo piano come Giovanni Brusca e Totò Cancemi? Cosa aveva scoperto Paolo Borsellino?


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Un punto cruciale, nonché atto “madre” del depistaggio, è stato sicuramente il furto della sua inseparabile agenda rossa sulla quale, si ritiene, il magistrato annotava gli incontri più importanti e le sue riflessioni. Un fatto che avvenne pochi attimi dopo l’esplosione, e sicuramente non per mano di figure come Salvatore Biondino, Giuseppe Graviano o altri mafiosi. “Ci fu una fonte anonima - ha ricordato Salvatore Borsellino - che telefonò ad un giornalista di ANTIMAFIADuemila, Lorenzo Baldo, per dire che c’era in un archivio di Palermo una foto che ritraeva un capitano dei carabinieri con la borsa di Paolo in mano. E da allora si incominciò a parlare di sparizione dell’agenda rossa”. L’agenda fu solo uno dei misteri che tuttora avvolgono la morte di Borsellino. Un altro mistero è l’interrogatorio che il magistrato fece in gran segreto proprio a Mutolo il 1° luglio 1992 a Roma. In quell’occasione, come ha ricordato il pentito ieri, Borsellino ricevette una telefonata e dovette allontanarsi per recarsi al Viminale da Nicola Mancino. Un incontro a seguito del quale Borsellino tornò infuriato, ha raccontato Mutolo, tanto da “fumarsi due sigarette insieme”. “Mi disse di avere incontrato, fuori dalla stanza del ministro, Bruno Contrada (ex numero tre del Sisde) e l'ex capo della polizia Vincenzo Parisi. Contrada mostrò di sapere dell'interrogatorio in corso con me che doveva essere segretissimo. Gli disse: ‘So che è con Mutolo, me lo saluti’.


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ll terzo livello
Di nuovo in studio, Mutolo, rispondendo alle domande di Giletti, ha parlato della lotta alla mafia oggi, sempre più bistrattata. Si è trattato l’argomento dell’ergastolo ostativo, che rischia di venire abolito nonostante la recente pronuncia del nuovo governo Meloni. Secondo Mutolo, se “i mafiosi usciranno, torneranno a comandare”. Gli stessi “fratelli Graviano (Giuseppe e Filippo, ndr) sperano nell’abolizione dell’ergastolo ostativo”, ha commentato. “E’ una cosa vergognosa quella che vogliono fare” i politici. “Com’è vergognosa la cosa che vogliono eliminare il sistema dei collaboratori di giustizia. Tutto potevo pensare tranne che i collaboratori venissero maltrattati”, ha detto il pentito. A detta di Mutolo, in questo senso, il vero pericolo sono gli avvocati che siedono in Parlamento, “comandano più dei politici”, ha affermato. “Il terzo livello è quello che comanda e ha comandato sempre”, ha affermato. L’intervista si è conclusa sui maggiori rischi di incolumità che ora Mutolo e la sua famiglia dovranno affrontare. “Io non ho mai avuto paura e se un giorno capirò che mi staranno per uccidere dirò grazie”.

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